Jesse Owens, il vincitore di colore nella Berlino di Hitler

Flashforward: 25 maggio 1935, Ann Arbor, Michigan. Jesse Owens si sveglia particolarmente ispirato. Quel giorno si sarebbe disputato il Big Ten Meet, la massima competizione atletica tra college dell’Est degli Stati Uniti. Owens scende sul selciato e nel giro di 45 minuti (avete letto bene: quarantacinque minuti) batte sei record del mondo di atletica leggera.

Salto in lungo, 220 iarde piane in rettilineo, 220 iarde a ostacoli in rettilineo, 100 iarde. Ma dal momento che i due record delle 220 iarde erano validi anche per le due gare corrispondenti di 200 metri, il totale fa sei record del mondo. Mai visto nulla del genere in passato e, forse, mai si vedrà in futuro.

Jesse Owens a Berlino

Jesse Owens giunge dunque a Berlino. È l’estate del 1936. Manca poco all’inizio delle Olimpiadi. Tutto è pronto, tutto è perfettamente ordinato. La capitale è stata spogliata di tutto ciò che potrebbe turbare i visitatori. Non sembra quasi una città nazista, nel senso più disordinato del termine. Niente scritte sui muri, niente inneggi all’antisemitismo, niente di niente. Come direbbe Mastroianni, non c’è neanche una cartaccia per terra. Wolfgang Fürstner è il comandante del Villaggio Olimpico, dove soggiornano tutti gli atleti che partecipano alle Olimpiadi. Ha passato gli ultimi anni a seguire minuziosamente i lavori di costruzione e di organizzazione dell’area.

È un militare, ex membro dei Freikorps. Nazionalsocialista convinto, come tanti altri reduci della Prima Guerra Mondiale si è sentito tradito dai politicanti per la “pugnalata alle spalle”. Qualche anno prima aveva sentito parlare di questo goffo caporale viennese che esaltava la razza germanica e definiva il Trattato di Versailles un “diktat”. Fürstner era arrabbiato. Molto arrabbiato. Aveva visto i suoi fratelli e i suoi amici morire a faccia in giù nel fango delle trincee. I loro corpi calpestati dai loro stessi commilitoni che correvano verso il nemico. Molti non sono tornati. Molti sono spariti, diventati tutt’uno con la melma del campo di battaglia.

Insomma, dopo tutto, questo Adolf Hitler non diceva cose sbagliate. Un giorno, su un giornale dal nome Judenkenner (letteralmente Il conoscitore di ebrei), un giornalista fa allusioni sulle possibili origini ebraiche del nonno di Fürstner. Chiaramente non è altro che una diceria, ma pian piano, il comandante si rende conto che gli sguardi attorno a lui si fanno più guardinghi. La mattina dell’apertura dei giochi olimpici di Berlino 1936, Wolfgang Fürstner viene rimosso dall’incarico di comandante del Villaggio Olimpico a favore di un vecchio prussiano, anch’egli nazista, di nome Werner Albrecht von Gilsa. I due si conoscono dalla Grande Guerra, ma quello è solo il primo passo della degradazione di Fürstner. Il peggio è appena incominciato. Intanto, Jesse Owens è finalmente pronto per disputare le Olimpiadi.

Le Olimpiadi di Berlino

Le Olimpiadi sono spettacolari. Un ruolo fondamentale lo svolge Leni Riefenstahl, regista, attrice, ballerina, eccetera, eccetera… e (secondo molti) amante del Führer. L’artista gode di licenze particolari. Deve girare il film-documentario Olympia; perciò, ha il permesso di scavare vere e proprie trincee al fianco delle piste da corsa, per poter muoversi liberamente con la telecamera e riprendere i corridori. Si dice che chiederà a Jesse Owens di ripetere un salto in lungo perché le inquadrature non erano delle migliori.

Sempre dal punto di vista mediatico, il Villaggio Olimpico gode di una nuova invenzione: la televisione. “Bellissima questa radio con le immagini!”, si sentirà dire nei corridoi del Villaggio. A proposito di salto in lungo, Jesse Owens rischia di rovinare la sua partecipazione alle Olimpiadi (che doveva essere un trionfo, quindi una medaglia in meno era già un fallimento) già alle qualificazioni della gara. Non riesce a trovare il punto adatto in cui staccare e il salto viene sempre annullato perché supera la linea. A un certo punto, si avvicina un giovane dai capelli color paglia. Il suo nome è Luz Long e sta competendo con Owens proprio nel salto in lungo.

I due confabulano, poi Long si allontana, si toglie la tuta e la appoggia in prossimità del punto in cui, secondo lui, Jesse Owens dovrebbe staccare. Jesse parte, stacca nel punto indicato dall’avversario e il salto è buono. I due si sfideranno nuovamente in finale, dove l’americano vincerà l’oro e il tedesco l’argento. Quando gli verrà chiesto perché ha aiutato Owens, egli dichiarerà: “Non sarebbe stata una finale olimpica senza Jesse Owens”. I due rimarranno in contatto epistolare per tutta la vita del tedesco, che purtroppo sarà breve. Infatti, Luz Long morirà a trent’anni, membro di quella parte della Wermacht che subirà l’Operazione Husky.

Bibliografia:
Oltre ad altre fonti minori, abbiamo consultato maggiormente il libro di Federico Buffa e Paolo Frusca, L’ultima estate di Berlino, BUR Rizzoli, 2020

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