Il contrattacco della Divisione Livorno

L’11 luglio del 1943, a Gela, la Divisione Livorno si trovava in prima linea su quella che sarebbe stata, fino a quel momento, la più grande operazione di sbarco anfibio della storia: l’operazione Husky.

Argomento per decenni sottaciuto dalla storiografia oggi definita mainstream, perché diplomaticamente e politicamente non spendibile, è diventato invece negli ultimi anni tema di forte dibattito. Da una parte gli inguaribili autolesionisti storici nostrani, che minimizzano o ridicolizzano la battaglia, dall’altra chi la mitizza eccessivamente attribuendole un peso strategico esagerato. In questo breve articolo si cercherà di ripotare solamente i fatti accaduti, nel modo più asettico possibile, lasciando lo scritto scevro da giudizi di ordine personale.

L’antefatto

Sicilia, nella notte tra il 9 ed il 10 luglio 1943 il generale Alfredo Guzzoni, comandante della VIª Armata di presidio all’isola, riceve notizia dell’atterraggio dei primi alianti e paracadutisti alleati. Nella zona di Gela specificatamente si stava concentrando il lancio della 82ª Divisione Aviotrasportata americana. Il generale, conscio che non avrebbe potuto attaccare singolarmente ogni gruppuscolo di paracadutisti in fase di ricongiungimento (solo il 20% di essi raggiungerà poi gli obiettivi prefissati), decide di lasciare la difesa dei litorali in carico alle divisioni costiere e preferisce mantenere le divisioni “Livorno” (gen. Chirieleison) e “Herman Goring” (gen. Conrath) pronte per un contrattacco da lanciare contro il grosso della prima ondata di sbarco.

La 4ª Divisione di fanteria “Livorno” costituita dal 33° e 34° reggimento fanteria e dal 28° artiglieria, comprendeva anche il IV° battaglione semoventi controcarro (L40), ed era stata ottimamente addestrata in previsione di uno sbarco su Malta (poi annullato). La Divisione corazzata “Herman Goring” tedesca era invece in fase di ricostituzione dopo essere stata totalmente annientata in nord Africa, risultava perciò composta in prevalenza da reclute (cosa che come vedremo influenzerà lo svolgersi degli eventi). La Livorno era attestata nella zona Caltanissetta – Mazzarino – Butera, mentre la Goring era dispiegata su Caltagirone – Niscemi.

10 luglio 1943: la prima reazione

La mattina del 10 luglio 1943 ha inizio quella che sarebbe stata, fino a quel momento, la più grande operazione di sbarco anfibio della storia: l’operazione Husky. Gli alleati sbarcano con due armate, la VIIª americana (su Licata – Gela – Scoglitti) e l’VIIIª inglese (su Pachino – Avola – Siracusa). Nella sola baia di Gela sono concentrate quasi 600 navi, circa 1000 mezzi da sbarco ed oltre 25 mila soldati americani delle divisioni di fanteria 1ª, 3ª e 45ª. Ad attenderli in prima linea solo cinque battaglioni italiani di difensa costiera, meno di 5000 uomini, dotati di cannoni obsoleti con gittata non sufficiente.

Il I° ed il IV° battaglione Rangers americani, i primi a sbarcare, riescono quindi ad occupare il centro di Gela senza troppi problemi. I cannoni navali alleati annientano quasi all’istante le batterie costiere italiane. Inoltre, il pontile di Gela, che secondo i piani doveva essere fatto saltare alle 03.00 del mattino, per un disguido nella tortuosa catena di comando italiana, viene fatto saltare solo due ore dopo lo sbarco dei rangers non riuscendo quindi ad impedire la discesa a terra dei primi mezzi pesanti americani.

Alle 08.00 un’incursione area italo-tedesca riesce ad affondare un cacciatorpediniere ed un dragamine americani. L’assenza inziale di aviazione nemica non viene sfruttata appieno dalle forze dell’Asse che, con azioni più decise, avrebbero senza dubbio ottenuto ancora maggiori risultati. A fronteggiare la prima ondata di sbarco vengono lanciati all’attacco il Gruppo Mobile E (cap. Granieri) proveniente da Niscemi e la Goring che era stanziata a Caltagirone. Le due direttrici di attacco avrebbero dovuto costituire una sorta di tenaglia che andava ad agire ai fianchi della testa di ponte americana.

Il Gruppo Mobile, una compagnia autotrasportata e corazzata, dotata di vecchi carri di preda bellica francese Renault 35, ed addestrata in funzione anti-paracadutisti, ottiene i maggiori successi: gli italiani riescono a colpire efficacemente i rangers dislocati fuori Gela finché non intervengono le artiglierie navali americane che ne interrompono l’avanzata. I pochi sopravvissuti del Gruppo E riescono tuttavia ad entrare nell’abitato di Gela e dare del filo da torcere agli americani.

La Goring entra in azione con ben cinque ore di ritardo secondo gli ordini impartiti e, causa inesperienza, indietreggia alle prime cannonate americane lasciando addirittura alcuni carri Tigre abbandonati a se stessi e privi del supporto dei granatieri al seguito. Per le reclute della HG questo è il loro battesimo del fuoco e molte non reggono il primo impatto. Il comportamento deludente della divisione corazzata tedesca costa il posto al colonnello Urban che viene immediatamente sostituito.

Alle 11.00 di mattina arriva in rinforzo il III/33° della Livorno (col. Bruni) che aveva iniziato il movimento alle 06.30 da Butera. Il battaglione del colonnello Bruni, pur agendo inizialmente in modo efficace, alle 12.00 è anch’esso costretto al ripiegamento a causa del solito fuoco navale americano. La colonna del I/33°, invece, durante l’avanzata viene mitragliata e spezzonata a più riprese da una dozzina di caccia nemici (due dei quali vengono abilmente abbattuti grazie alla contraerea da 20mm) non riuscendo a prendere contatto diretto col nemico. Entro la mezzanotte del 10 luglio tutti i superstiti ed i restanti battaglioni della Livorno non ancora impiegati sono già pronti sulle basi di partenza per scattare all’attacco il giorno seguente.

Nella prima giornata di sbarco le truppe USA avevano stabilito una testa di ponte di circa 5-6 km di diametro, ma gli americani non erano ancora riusciti a fare sbarcare il grosso dei mezzi corazzati, il successivo contrattacco delle forze dell’Asse avrebbe perciò potuto essere ancora risolutivo.

11 luglio 1943: il contrattacco

Gli osservatori di artiglieria del 28° portatesi a ridosso del litorale possono scrutare il tratto di mare antistante: è completamente pieno di naviglio americano fino alla linea dell’orizzonte. Lo stato maggiore divisionale ha quindi ben chiaro da subito che la situazione è già compromessa. Guzzoni chiede venga eseguito comunque un tentativo di ricacciare il nemico in mare.

Il generale Chirieleison tenendo fede al motto della divisione, “tenacia e valore”, non si lascia prendere dallo sconforto ed ordina immediatamente il contrattacco. Per la mattina di domenica 11 luglio 1943 viene in poco tempo stabilito un nuovo piano di avanzata a tenaglia su tre direttrici nord-sud: una colonna di sinistra con il III/34°, una colonna centrale costituita dai battaglioni I/33° e I/34°, una colonna di rincalzo sulla destra (ovest dello schieramento) con il II/33°. Sull’estrema sinistra (ad est) deve agire invece la colonna germanica con i corazzati ed i granatieri della HG la quale ha a disposizione ancora una sessantina di carri tra cui svariati Tigre.

Per una serie di inconvenienti l’ordine di attacco tarda ad arrivare. Visto che la piena luce del giorno avrebbe agevolato i difensori, senza aspettare oltre alle 06.30 il tenente colonnello Dante Leonardi di propria iniziativa lancia il suo III° battaglione del 34° reggimento alla carica. Intenti a percorrere i 6 km della piana antistante la città senza alcuna copertura, i fanti italiani vengono subito investiti dal fuoco dei cannoni navali americani degli incrociatori Boise e Savannah, e del cacciatorpediniere Glennon, ma avanzano eroicamente fino alla periferia di Gela riuscendo a travolgere le prime linee americane costituite dai rangers e catturando anche un centinaio di prigionieri più diverso materiale. I soldati USA iniziano a ritirarsi.

Finalmente comincia il fuoco di controbatteria del I° gruppo del 28° artiglieria italiano e l’avanzata del III/34° riprende travolgendo anche le seconde linee americane (poste 150 metri dietro le prime) e penetrando nell’abitato di Gela. Le navi americane interrompono quindi il fuoco per evitare di colpire i propri uomini. Gli italiani continuano ad avanzare arrivando a meno di 2km dalla spiaggia quando, alle 09.30, il generale Patton decide di sbarcare per dirigere le operazioni di persona e per infondere morale alla truppa in un momento di estrema difficoltà. In quegli stessi istanti anche gli scaglioni più avanzati del I/33° e I/34°, il cui attacco era partito con ritardo alle 07.30, riescono a sfondare le linee americane e arrivano all’abitato. I due battaglioni avevano in appoggio il III/28°. Solo il II/33° (ten.col. Mastrangeli) fatica ad avanzare fermandosi all’altezza delle prime case della periferia.

Più ad est, sulla sinistra dello schieramento a tenaglia, con estrema difficoltà a causa dei terreni agricoli terrazzati della campagna siciliana che ostacolano il movimento dei panzer, finalmente anche la colonna corazzata della Goring attacca efficacemente facendo indietreggiare gli americani. Il III/34° del ten. col. Leonardi sta ormai combattendo con deciso successo nell’abitato cittadino. Incalzati dall’avanzata italo-tedesca i fanti della 1ª Divisione di fanteria americana, la famigerata “Grande uno rosso” resa celebre dalle pellicole cinematografiche, sono costretti a ripiegare fino alla spiaggia.

Stante la situazione disperata Patton ordina la ripresa del fuoco di artiglieria navale, anche a costo di sparare sui propri uomini. Non vi erano molte altre alternative. I grossi calibri navali da 152mm fanno letteralmente scempio delle carni dei soldati italiani che sono costretti ad arrestare l’avanzata. Le compagnie del III/34° vengono falcidiate, della 10ª restano solo una trentina di uomini dei quasi 200 iniziali.

Anche i superstiti del I/33° e I/34°, sopraffatti dal fuoco navale e dalle artiglierie americane nel frattempo sbarcate, sono costretti a fermarsi. Sono le 12.30, l’aviazione dell’asse fa una sortita contro alcune navi alleate nel golfo di Noto e mitraglia le truppe americane sulla spiaggia, ma non è sufficiente. Da Licata viene inviata una colonna di carri Sherman che provvede a circondare i fanti della Livorno messisi al riparo dalla gragnuola di bombe.

Le forze dell’Asse non dispongono di altre unità da inviare in soccorso, i battaglioni italiani giunti a Gela non sono più in grado di contrattaccare. Alle 15.30 Chirieleison dà l’ordine di ritirarsi alle basi di partenza: si esaurisce così l’attacco delle forze italiane. Un’ora più tardi la stessa sorte toccherà ai tedeschi. I superstiti, circondati, combatteranno fino all’alba del 12 luglio per cercare di rompere l’accerchiamento e tornare alle posizioni di partenza nella zona di Castelluccio.

Epilogo

Su di un totale di circa 12.000 soldati, in questi due giorni di combattimenti, la Divisione Livorno ebbe 214 ufficiali e 7.000 uomini di truppa morti, feriti, dispersi o fatti prigionieri. Nonostante perse completamente la sua capacità offensiva, l’unità continuò a combattere in ripiegamento verso Messina, ostacolando metro dopo metro l’avanzata nemica. I resti della Livorno, circa 4.000 uomini, riuscirono ad imbarcarsi raggiungendo la costa calabra alla metà di agosto del 1943.

Va chiarito che, nonostante ci siano diverse voci e testimonianze scritte (di parte italiana) circa soldati e mezzi americani che tornarono sui mezzi da sbarco ancora fermi sul bagnasciuga, l’ordine di Patton di prepararsi al reimbarco non è comprovato da alcuna documentazione ufficiale dell’esercito USA.

Con azioni aeree più risolute ed una maggiore coordinazione dei comandi italo-tedeschi la battaglia per Gela avrebbe avuto con ogni probabilità un esito diverso, anche se nel complesso l’andamento della guerra ne avrebbe difficilmente risentito data la disparità di forze in campo. Oltre ad ipotesi più o meno verosimili, ottant’anni dopo quei fatti, resta a noi la certezza che i soldati italiani della Livorno si sono battuti con estremo eroismo in un contesto che appariva loro fin da subito disperato.

In chiusura la lettera che un fante del 34° invia alla sorella, in provincia di Pavia, il 15 luglio 1943 durante una breve pausa nei combattimenti di ripiegamento: «[…] ti raccomando di non pensare a me, pensa solo alla tua salute. […] Sempre ricordandoti, ti invio i miei più cari saluti, ti prego non piangere se non riceverai altre mie lettere.»

Fonti bibliografiche

  • C. Nanni, La Livorno. Divisione fantasma, International Magazines, 1978
  • P. L. Villari, L’onore dimenticato. I ragazzi della Divisione Livorno, IBN Editore, Ed. 2019
  • R. Rossotto, La Divisione “Livorno” e la battaglia di Gela, in Storia Militare, N. 333 dell’01/06/2021
  • D. Chirieleison, Dichiarazione sul combattimento dell’11 luglio 1943
  • Comando Divisione “Livorno”, Fonogrammi 3-5-6-8-9-10-12-13-14-15-16-18 dell’11/07/1943
  • Comando Divisione “Livorno”, Ordine d’operazione N.1 dell’11/07/1943 ore 01.00
  • Comando Divisione “Livorno”, Ordine d’operazione N.2 dell’11/07/1943, prot. 2/2120
  • Archivio personale dell’autore

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