La Cina cambia, ma quanto? È la potenza – confuciana e maoista – che ha sempre rifiutato approcci di conquista e ingerenza fuori dalla propria regione geopolitica, ma che si fa sempre più decisa nel difendere i propri interessi. Uno strumento nucleare triadico ma ancora limitato, la predilezione per una combinazione di strumenti simmetrici (una marina in crescita) e asimmetrici (la missilistica, l’arma informatica e lo spionaggio) nonché conclamati ritardi tecnologici nel settore aeronautico e marittimo rendono difficile da decifrare un “pericolo giallo” forse esagerato dagli Stati Uniti. Di sicuro le tensioni nella regione geopolitica cinese sono marcate e la Repubblica Popolare è per gli USA un avversario da non sottovalutare anche se non ancora una potenza con capacità di proiezione globale. Obiettivo minimo della Repubblica Popolare Cinese rimane la tutela dell’integrità e della sovranità nazionale (nella quale viene senz’altro inclusa Taiwan).
La cultura militare
L’originaria cultura militare cinese enfatizza l’uso di strumenti asimmetrici: non lo scontro diretto e di attrito tra forze “muscolari”, ma la penetrazione psicologica, culturale, propagandistica, di intelligence e – oggi – di guerra economica. Uno dei primi grandi studi extraeuropei sulla guerra asimmetrica è da attribuirsi proprio a due ufficiali dell’esercito cinese – gli allora colonnelli Qiao Liang e Wang Xiangsui – autori, tra il 1996 e il 1999, di Guerra senza limiti, una intelligente e complessa analisi che, lungi dal focalizzarsi solo sugli strumenti asimmetrici contrapponendoli a quelli convenzionali, prende coscienza del superamento del confine tra questi. Il confine tra ciò che è dentro e ciò che è fuori il campo di battaglia e il confine stesso del campo di battaglia sfumano nella “guerra senza limiti”, che include strumenti convenzionali, di sovversione, di diplomazia, di guerra, economia e tecnologia, financo di cultura e ideologia; questo comporta la necessità di combattere le guerre del futuro assecondando la sempre maggiore integrazione di questi aspetti e la loro “reductio ad arma”[1].
La guerra cinese
In realtà, questo modo di interpretare la guerra risale alle origini della tradizione intellettuale cinese, una cultura che per millenni si è basata su un forte potere politico centrale che soprintendeva, prima ancora che alla guerra, alle opere di canalizzazione dei fiumi, di gestione delle risaie e dell’economia. La cultura cinese ha sempre visto Stato ed economia come un tutt’uno ed ha mirato alla loro armonia, come teorizzato in uno dei più antichi manuali strategici della storia dell’umanità, quello di Sun Tzu (redatto tra il VI e il V secolo a.C.). Per la cultura occidentale la battaglia è il fulcro della guerra: la nostra arte militare mira alla ricerca e alla gestione del “momento culminante” dell’incrocio delle forze e alla sua gestione tattica[2] e strategica. Per i Cinesi – da Sun Tzu ad oggi – il generale migliore è quello che evita lo scontro, che vince senza combattere, disarticolando i mezzi del nemico con la guerra economica, la sobillazione della sua opinione pubblica e delle sue truppe, lo spionaggio.
La guerra occidentale
Paradosso per paradosso, la cultura politica e militare occidentale, preso atto della natura cinetica della guerra e del fatto che essa possa – in certi casi debba – giungere a coinvolgere l’intera società (civili inclusi) nel proprio turbine di violenza, mira a limitare la guerra medesima. La “guerra lampo”, la guerra preventiva, lo stesso bombardamento, teorizzato come arma psicologica nel corso del Novecento e mirante a sobillare contro i propri governanti il popolo aggredito, sono tutte forme di pensiero strategico che prendono atto della pervasività della guerra come dramma da evitare, con l’obiettivo di farla durare il meno possibile. La cultura strategica cinese assume come punto di partenza l’idea che la guerra non è solo un fatto “bellico-meccanico”, ma anche e soprattutto un fatto politico, culturale e sociale, e mira a combatterla più in tali termini che con “bracci di ferro” con potenze occidentali ancora più forti. Il conflitto oggi è asimmetrico per eccellenza, dal momento che nessun paese al mondo può sfidare gli USA in campo aperto. Com’è che la Cina traduce questo suo bagaglio teorico e culturale in prassi geopolitica? Basso profilo nelle relazioni internazionali e nessun intervento militare all’estero – se si escludono alcune missioni in ambito ONU e l’installazione di una base a Gibuti.
Amedeo Maddaluno
[1] Lian Qiao e Xiangsui Wang, Guerra senza limiti. L’arte della guerra asimmetrica fra terrorismo e globalizzazione, LEG Edizioni, 2019 e Ofer Fridman, Russian Hybrid Warfare. Resurgence and politicisation, Oxford University Press, 2018.
[2] Ottime analisi dei principi e del pensiero tattico cinese sono proposte dal profilo Twitter https://twitter.com/PLAOpsOSINT