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Premessa
Netanyahu, il primo ministro israeliano, ha paragonato Hamas allo Stato Islamico (ISIS) dopo l’attacco del 7 ottobre, sostenendo che la brutalità dell’attacco e la spettacolarizzazione della violenza fossero simili a quelle del gruppo estremista. Questo messaggio è stato ampiamente ripreso dai leader internazionali, diventando anche un hashtag virale su piattaforme come X.
Netanyahu ha condiviso video in cui evidenzia come Hamas utilizzi ospedali come basi operative e rifugi; mentre l’ISIS, guidato da una visione apocalittica e divina, ha compiuto atti di violenza estrema contro i civili, le azioni di Hamas nei kibbutzim e nelle città del sud di Israele hanno ricordato quella stessa ferocia, apparentemente alimentata dall’odio e forse anche da sostanze come il Captagon.
Tuttavia, nonostante le somiglianze nelle tattiche, ci sono differenze significative tra le due organizzazioni in termini di ideologia ed obiettivi. Paragonare Hamas all’ISIS potrebbe rischiare di favorire la narrativa dell’ISIS e le sue campagne di radicalizzazione.
Il primo approccio: creazione di una “visione comune”
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha paragonato la lotta contro Hamas alla battaglia contro l’ISIS, richiamando le “forze della civiltà” ad unirsi ad Israele. Anche Lloyd Austin, segretario alla Difesa degli Stati Uniti, ha adottato un tono simile, definendo le azioni di Hamas “peggiori dell’ISIS”. Il presidente francese Emmanuel Macron ha poi suggerito la creazione di una coalizione internazionale simile a quella contro lo Stato Islamico per affrontare Hamas, sottolineando la necessità di una risposta coordinata.
Questo approccio ha mirato a costruire un fronte comune, legittimando un’azione militare decisa e fornendo una giustificazione per una cooperazione internazionale più ampia. Parallelamente, si è osservato anche una strategia volta ad accostare Hamas alla Russia ed Israele all’Ucraina, un modo per spiegare agli elettori l’importanza di un rinnovato coinvolgimento nel Medio Oriente. Una regione già al centro delle lunghe e criticate “guerre senza fine”, che rimane teatro di complesse dinamiche geopolitiche.
La visita dei leader palestinesi a Mosca ha alimentato una narrativa intenta a paragonare le azioni delle fazioni coinvolte alle atrocità dei militanti di Baghdad. Nel frattempo, Israele si è preparato per intensificare l’offensiva contro Hamas, ampliando le operazioni di terra. Il governo Netanyahu ha fin da subito previsto un conflitto lungo ed il Ministro degli Esteri, Eli Cohen, ha dichiarato come l’obiettivo fosse eliminare completamente Hamas.
La gestione delle conseguenze umanitarie della crisi rappresenta una sfida significativa, considerati i bombardamenti incessanti nella Striscia di Gaza; la richiesta di un cessate il fuoco umanitario aggiunge complessità a questa situazione. Per molti, la mediazione con un gruppo considerato terrorista è inaccettabile, e l’assimilazione di Hamas ad organizzazioni come l’ISIS mira a privarlo di qualsiasi legittimità come rappresentante della causa palestinese.
Monica Marks, docente di politica mediorientale alla New York University, ritiene che questo tipo di retorica semplifichi le dinamiche complesse della regione. Paragonare Hamas all’ISIS, sostiene, è una strategia che cerca di rappresentare tutti i palestinesi come disumani e malvagi, rendendoli bersagli legittimi di rappresaglie.
Itzchak Weismann, uno storico dell’Università di Haifa specializzato nei movimenti islamisti, ha chiarito sul quotidiano Haaretz che equiparare Hamas all’ISIS è una semplificazione che non tiene conto della complessità dei fatti. Secondo Weismann, Hamas adatta la sua politica alle condizioni locali e si è mostrato più aperto nei confronti delle minoranze religiose presenti nella Striscia di Gaza rispetto all’ISIS, che invece ha adottato una posizione estrema, bollando come infedeli tutti i musulmani che non aderiscono rigidamente alle sue direttive.
L’ISIS, nota Weismann, considera Hamas un’organizzazione apostata per i suoi legami con i Pasdaran iraniani, un gruppo sciita considerato un nemico esistenziale. L’ISIS vede inoltre i gruppi palestinesi come inferiori a causa della loro prospettiva locale e nazionalista, in contrasto con la sua visione globale. La strategia nichilista dell’ISIS ha portato a tentativi di infiltrazione tra i palestinesi per guadagnare terreno su Hamas.
In un contesto di crescente radicalizzazione, Weismann avverte che un confronto diretto con l’ISIS rischia di favorire il gruppo jihadista, che potrebbe reclutare nuovi sostenitori e aggravare le tensioni interne in Israele.[1]
Dal 7 ottobre ad oggi
Le autorità israeliane hanno intensificato la sorveglianza e le operazioni contro sospetti affiliati allo Stato Islamico dal 7 ottobre, arrestando nove individui ritenuti coinvolti in attività terroristiche. In questo periodo, le forze di sicurezza hanno anche effettuato diversi blitz in Cisgiordania per arginare l’influenza crescente dell’ISIS nella regione.
Un’operazione significativa si è verificata il 18 aprile, quando le forze israeliane hanno arrestato un agente dello Stato Islamico a Beituina, nei pressi di Ramallah: l’uomo, secondo fonti locali, stava pianificando un attacco imminente. La cattura è stata resa possibile grazie al lavoro coordinato della Magav, unità antiterrorismo della polizia di frontiera israeliana sotto la guida dell’intelligence interna Shabak.
L’attacco del 7 ottobre scorso ha portato all’arresto di otto sospetti affiliati allo Stato Islamico (IS) in Israele, segnalando un’attività in crescita. Tuttavia, è essenziale evitare interpretazioni semplicistiche e non cadere nella narrativa che equipara Hamas all’ISIS, una campagna sostenuta dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per ottenere il sostegno internazionale e legittimare una risposta violenta, che ha avuto conseguenze devastanti in termini di vite civili.
Nonostante l’apparente confusione, Hamas e lo Stato Islamico sono organizzazioni distinte, senza alcuna connessione diretta. L’IS critica Hamas, considerandolo troppo concentrato su un jihad locale ed incapace di sostenere una lotta jihadista globale. Questo è uno dei motivi per cui l’IS ha poca presa su Israele e Palestina, dove le questioni locali sono storicamente radicate e l’intelligence israeliana mantiene un controllo stretto sui gruppi.
Lo Shaback, il servizio di sicurezza interna israeliano, ha annunciato di recente di aver sventato un attacco pianificato da una cellula terroristica affiliata allo Stato Islamico. La cellula era composta da quattro individui provenienti dalla zona di Tarqumiyah, un villaggio della Cisgiordania vicino a Hebron. Le autorità hanno riferito come il gruppo avesse accumulato 100 ordigni esplosivi, seguendo istruzioni contenute in manuali online distribuiti dalla propaganda del gruppo estremista. Tramite questi stessi canali digitali, la cellula aveva inoltre stabilito contatti con militanti stranieri, ricevendo ispirazione, indottrinamento e supporto logistico per la pianificazione dell’attacco.
La capacità di coordinare questi gruppi a distanza conferisce allo Stato Islamico un significativo vantaggio strategico. A gennaio, un altro caso ha visto due terroristi affiliati all’organizzazione arrestati mentre preparavano un attacco a Gerusalemme: avevano giurato fedeltà al Califfo tramite la baya, si erano procurati materiali chimici per costruire esplosivi, e pianificavano di colpire civili e forze di sicurezza nella capitale israeliana. Inoltre, ci sono stati altri casi di “cani sciolti”, come l’episodio avvenuto a Beituina.
Un elemento chiave che emerge è come queste minacce provengano principalmente dalla Cisgiordania: organizzare attentati dalla Striscia di Gaza, altamente sorvegliata da Israele, risulta più complicato a causa dell’elevato rischio di essere scoperti. Tuttavia, gli arresti indicano che anche in Cisgiordania stia aumentando la radicalizzazione, probabilmente a causa dell’impatto del conflitto. Questo fenomeno è ulteriormente aggravato dallo Stato Islamico, che continua a sfruttare le frustrazioni e i vuoti lasciati dalle organizzazioni palestinesi per reclutare nuovi membri.
Sabato 6 aprile, le forze speciali dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) hanno condotto un’operazione antiterrorismo a Jenin, il più grande campo profughi dei territori palestinesi; l’azione ha portato all’arresto di alcune persone collegate allo Stato Islamico ed al sequestro di armi. L’agenzia Wafa ha riferito come la cellula avesse l’intenzione di colpire funzionari di Al Fatah, l’organizzazione principale nell’ANP, e membri della polizia locale. Lo Stato Islamico vede come nemici non solo il governo israeliano, ma anche l’Autorità Palestinese, Hamas e Fatah, creando così una sfida significativa per la leadership di Abu Mazen in Cisgiordania.[2]
Riferimenti bibliografici
[1] https://formiche.net/2023/10/perche-hamas-non-e-lo-stato-islamico/#content
[2] https://formiche.net/2024/04/isis-israele-cisgiordania/#content
Una risposta
La situazione conflittuale è molto più complessa di quanto appaia. Complimenti ad Arianne Ghersi per illuminarci in questo intricato percorso di egemonie belliche, ove nulla è scontato