La percezione cinese del Medioriente

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La percezione occidentale riguardo la Cina oscilla tra quella di un avversario sistematico, come visto dall’Unione Europea, e quella di una minaccia diretta, come percepito dagli Stati Uniti. Tuttavia, in momenti di crisi che minacciano la stabilità globale, sia Washington che le capitali europee tendono a richiedere l’intervento di Pechino, quasi come una forza salvifica capace di disinnescare situazioni internazionali tese.

Recentemente, il Medio Oriente è ritornato al centro dell’attenzione globale per le crescenti tensioni. In questo contesto, i diplomatici occidentali hanno richiesto alla Cina di influenzare l’Iran al fine di scongiurare possibili attacchi ad Israele, anche se tali attacchi sono stati poi realizzati, seppure in forma ridotta. Ciò si verifica mentre funzionari americani ed europei etichettano la Cina come un rischio per il commercio mondiale, ma contemporaneamente la incitano a sfruttare la sua considerevole influenza diplomatica per ammorbidire i conflitti.

Le ragioni di questa ambivalenza sono molteplici. Da un lato, la Cina è considerata una potenziale minaccia per l’economia globale, ad esempio nel mercato delle auto elettriche; dall’altro, rappresenta un partner commerciale essenziale sia per la Russia che per l’Iran, due nazioni chiave nelle crisi regionali con impatti a livello mondiale. Inoltre, Pechino, insieme a Mosca e Teheran, fa parte del gruppo Brics, il che le lega in una sorta di alleanza vista con sospetto dall’Occidente.

Le capitali occidentali, inclusa Washington, sperano che il presidente Xi Jinping possa esercitare la sua influenza per moderare le azioni di russi ed iraniani. La realtà però dimostra una situazione più complessa: Cina, Russia ed Iran sono uniti soprattutto da legami economici strategici, concepiti per contrapporsi all’ordine politico ed economico occidentale. La supposizione che Pechino possa controllare effettivamente le mosse dei suoi partner è più un auspicio che un dato di fatto.

Damasco come Belgrado

Il governo cinese ha espresso grande preoccupazione per il peggioramento della situazione in Medio Oriente, sollecitando tutte le parti a dimostrare moderazione e calma per evitare un’escalation del conflitto. Secondo il ministero degli Esteri cinese, l’aggressione di Teheran verso Tel Aviv è direttamente collegata alla crisi a Gaza, e ha esortato le nazioni influenti a svolgere un ruolo attivo per garantire la pace e la stabilità nella regione.

In un dialogo telefonico con il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian, il ministro cinese Wang Yi ha condannato duramente l’attacco israeliano ad una struttura diplomatica iraniana a Damasco. Questo evento è stato paragonato dalla Cina al bombardamento della propria ambasciata a Belgrado nel 1999 da parte della NATO, fatto che spiega la posizione cinese di interpretare la reazione iraniana come legittima difesa piuttosto che un’azione riprovevole.

Il ministro cinese Wang Yi

L’inviato speciale cinese per il Medio Oriente, Zhai Jun, ha incontrato l’ambasciatore israeliano in Cina, Irit Ben-Abba Vitale, ribadendo l’urgenza di un immediato cessate il fuoco e la fine delle ostilità a Gaza. Questa mossa mira ad impedire che le tensioni in aumento tra Israele ed Iran possano tradursi in un conflitto più esteso, riflettendo al tempo stesso l’intenzione della Cina di trovare una risoluzione pacifica che rispecchi anche il desiderio di fare giustizia per gli eventi subiti 15 anni fa a Belgrado.

Il vero approccio della Cina

La Cina adotta un approccio cauto riguardo agli sviluppi nel Medio Oriente, preferendo evitare un impegno diretto, sebbene esprima la speranza che le tensioni non si propaghino nell’intera regione. Questa area geografica ha beneficiato di significativi investimenti cinesi, orientati soprattutto verso una strategia di soft power. Nonostante un tempo Pechino si dichiarasse pronta a partecipare attivamente nella risoluzione delle crisi in luoghi critici del mondo, inclusi quelli mediorientali – una zona tradizionalmente difficile anche per gli interventi statunitensi – la prudenza cinese potrebbe emergere come un elemento chiave per il successo là dove le politiche liberaldemocratiche di Washington hanno riscontrato difficoltà.

Il direttore cinese dell’Ufficio della Commissione centrale per gli affari esteri Wang Yi, Ali Shamkhani, il segretario del Consiglio supremo di sicurezza nazionale iraniano e il consigliere per la sicurezza nazionale saudita Musaad bin Mohammed Al Aiban nell’incontro a Pechino del marzo 2023.

È rilevante sottolineare che, in qualità di seconda economia mondiale, la Cina dipende in misura significativa dalle forniture di petrolio del Medio Oriente, importando circa il 72% del suo fabbisogno totale. Questa situazione segna un notevole cambio di rotta rispetto agli anni Novanta, periodo durante il quale il paese asiatico era energeticamente autosufficiente. In contrasto, gli Stati Uniti sono divenuti esportatori di petrolio, grazie allo sviluppo del fracking. Di conseguenza, l’interesse della Cina nei confronti degli eventi mediorientali è considerevole e strategico.

La visione della diplomazia cinese

I leader occidentali suggeriscono che la Cina possa intenzionalmente astenersi dall’intervenire in situazioni internazionali per provocare difficoltà all’Europa ed agli Stati Uniti, accettando anche possibili contraccolpi interni. Negli ultimi dieci anni, la Cina è stata il maggiore partner commerciale dell’Iran, acquisendo il 90% delle sue esportazioni di petrolio; ciò ha offerto a Teheran un vitale supporto contro le sanzioni americane, oltre a comprendere forniture di apparecchiature per la sicurezza e sorveglianza. La Cina ha anche mediato un approccio storico tra l’Arabia Saudita e l’Iran, due antagonisti regionali storici. Tuttavia, la possibilità che la Cina agisca per controbilanciare le azioni dell’Iran, come vorrebbero i leader occidentali, è considerata altamente improbabile: ciò si basa principalmente sulla politica cinese di non interferenza negli affari interni di altri stati, un principio cardine della sua diplomazia. Inoltre, un intervento cinese potrebbe compromettere la sua strategia globale di consolidare forti legami economici attraverso il Sud globale, di cui l’Iran è parte integrante.[1]

La visione statunitense

La Commissione USA-Cina ha recentemente tenuto un’audizione per discutere il ruolo della Cina nel Medio Oriente, un evento significativo che riflette l’attenzione del Congresso sulle politiche cinesi globali. Jonathan Fulton dell’Atlantic Council ha illustrato come la Cina abbia efficacemente intensificato i suoi sforzi diplomatici nella regione, adottando un metodo ampio ed organizzato; ha fatto uso di vari strumenti diplomatici e ha collaborato con importanti organizzazioni internazionali, ampliando così la sua influenza. Nonostante ciò, la sua capacità di influenzare l’Iran ed i gruppi non statali come Hamas, Houthi e Hezbollah resta limitata, ed Israele guarda con scetticismo alla Cina, vedendola agire in maniera opportunistica e centrata sui propri interessi.

John Alteman

John Alterman del CSIS (Center for Strategic and International Studies) ha messo in luce una sottovalutazione comune della strategia cinese, che non cerca un confronto diretto con gli Stati Uniti, ma aspira a modellare il contesto globale a suo favore. Ha evidenziato come il Medio Oriente sia considerato dalla Cina più come una zona di rischi che di opportunità, puntando ad un’integrazione strategica anziché a sostituire l’influenza americana. La preferenza cinese verte su investimenti circoscritti ed a basso rischio, piuttosto che per azioni che richiedano grandi sacrifici, segnando un approccio prudente e calcolato nelle sue ambizioni regionali.

Geopolitica e partner commerciali

Dawn Murphy, della National Defense University, ha messo in evidenza il rafforzamento delle iniziative cinesi verso il Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC), ponendo l’accento sull’importanza crescente dei paesi del Golfo Arabo nelle strategie cinesi in Medio Oriente. Ha evidenziato il ruolo essenziale dei paesi GCC come partner economici per la Cina e ha osservato una maggiore coesione tra i loro membri in seguito alla risoluzione delle tensioni con il Qatar. In aggiunta, l’integrazione dell’Iran nella Shanghai Cooperation Organization (SCO) ha ampliato le possibilità di interazione con la Cina e ha aperto la strada a cooperazioni estese, includendo la Russia e l’Asia Centrale, nonostante il dialogo effettivo rimanga limitato. L’adesione di Iran e Arabia Saudita alla SCO segna un tentativo cinese di tessere una rete di sicurezza globale.

Grant Rumley, analista del Washington Institute, ha commentato come l’influenza cinese nel settore della sicurezza regionale si manifesti principalmente attraverso investimenti infrastrutturali, rappresentando un modello di sicurezza distintamente cinese, che fonde progetti civili con la supervisione statale. Parallelamente, la Cina ha intensificato le vendite di armamenti nella regione, classificandosi come il quarto maggiore esportatore di armi tra il 2019 e il 2023, seguendo gli Stati Uniti, la Francia e la Russia, secondo i dati del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute).

Maria Papageorgiou, dell’University of Exeter, ha sottolineato come la Cina abbia compiuto significativi progressi nei mercati dei paesi in via di sviluppo, beneficiando di prezzi competitivi, assenza di vincoli geopolitici ed offerte di pacchetti di aggiornamento e formazione che si dimostrano particolarmente seducenti per questi mercati.

Questioni etiche e morali

La supremazia della Cina nel settore dei droni da attacco in nazioni quali Egitto, Iraq, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Giordania, nonostante siano alleati degli USA, solleva questioni non solo economiche ma anche etiche e morali. Gli Stati Uniti, vincolati da normative riguardanti i diritti umani, evitano la vendita di tali tecnologie militari a questi paesi, cosa che non accade per la Cina, libera da tali restrizioni. Alessandro Arduino del Lau China Institute del King’s College evidenzia come la Cina, nell’ambito della sua Belt & Road Initiative in Medio Oriente, abbia integrato contractor di sicurezza privata capaci di operare oltre i propri confini senza violare il principio di non interferenza. Arduino osserva inoltre come esista un crescente favore tra i professionisti cinesi della sicurezza per un potenziamento delle operazioni internazionali del settore, al fine di tutelare i cittadini cinesi da minacce esterne, mantenendo ferma la dottrina maoista che prevede il controllo del partito sulle armi.

Parallelamente, le aziende private cinesi stanno promuovendo l’adozione internazionale di tecnologie avanzate come i sistemi di riconoscimento facciale, che l’Occidente esita a distribuire per questioni morali simili a quelle legate alla vendita dei droni. Questi sistemi potrebbero presto diventare la chiave di volta per la diffusione delle “safe cities” supportate dall’intelligenza artificiale cinese. Mohammed Soliman (direttore del programma Strategic Technologies del Middle East Institute) ha osservato che, sebbene in passato l’ambiente digitale della regione sia stato influenzato dai legami con l’Occidente, oggi la competizione tra le grandi potenze e la spinta dei paesi mediorientali verso l’autonomia economica e tecnologica stanno ridefinendo le dinamiche regionali.[2]


Riferimenti bibliografici

[1] https://it.insideover.com/politica/il-vero-ruolo-della-cina-nella-crisi-in-medio-oriente.html

[2] https://formiche.net/2024/04/ecco-perche-la-cina-soffre-il-caos-in-medio-oriente/#content

Una risposta

  1. Un panorama di politica economica della Cina, accompagnata dalla solita strategia di questo paese di sapersi destreggiare tra i contrapposti schieramenti. Questo il messaggio che ho tratto dall’interessantissimo articolo di Arianne Ghersi

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