Il caso Niger: gli Stati Uniti tornano ad essere “cacciati”

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Le “ultime vicende”

Dopo aver preso il comando in Niger nel luglio del 2023, i capi militari hanno recentemente dichiarato nullo l’accordo che consentiva agli Stati Uniti di stazionare forze militari e personale civile nel paese. La decisione è stata annunciata il 16 marzo e segue la visita di una delegazione statunitense guidata dall’assistente segretario di Stato per gli affari africani, Molly Phee, che includeva anche il generale Michael Langley, responsabile del Comando per l’Africa (AFRICOM).

Le forze statunitensi, che ammontano a 1.100 unità in Niger, sono impegnate in attività di controterrorismo ed in operazioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione, volte principalmente a contrastare i gruppi jihadisti affiliati ad al-Qaeda e allo Stato Islamico attivi nel Sahel.

Le operazioni militari americane nel paese sono basate principalmente in due località: la Base Aerea 201 situata ad Agadez, nel cuore del Niger, e la Base 101, che si trova presso l’aeroporto della capitale, Niamey.

Il 16 marzo, il portavoce della giunta militare nigerina, il Colonnello Amadou Abdramane, ha sollevato accuse nei confronti della missione diplomatica statunitense, asserendo che questa avrebbe mancato di osservare le norme diplomatiche usuali. Abdramane ha rimarcato che il governo di Niamey non era stato correttamente informato circa i dettagli della visita e l’identità dei membri della delegazione.

Le discussioni tenutesi tra le parti hanno toccato punti cruciali quali il processo di transizione politica in Niger, la collaborazione militare bilaterale e le intricate questioni legate agli accordi di difesa e sicurezza. Quest’ultimi comprendevano la cooperazione di Niamey non solo con gli USA ma anche con altri stati della regione, come la Russia, il Mali e il Burkina Faso, che si trovano sotto la guida di regimi militari e mantengono stretti legami con Mosca.

Il Colonnello Abdramane ha poi esposto la ferma contrarietà del Niger alle pressioni esercitate dagli Stati Uniti, che mirano a restringere la libertà del paese africano nella scelta dei propri alleati internazionali, specialmente quelli ritenuti utili nel contrasto al terrorismo. Ha anche criticato l’approccio presuntuoso e minaccioso adottato dalla delegazione americana, che si sarebbe dimostrata dispregiativa nei confronti sia delle istituzioni che dei cittadini del Niger. In aggiunta, è stata contestata la legittimità della presenza militare americana sul suolo nigerino, facendo riferimento a un accordo del 2012 ritenuto imposto e pertanto illegittimo secondo le leggi locali.

In un contesto geopolitico complesso, il Niger ha preso la decisione di terminare con effetto immediato l’intesa che permetteva la presenza di forze militari e personale civile statunitense nel paese. Questa scelta sembra essere stata influenzata dall’accordo di cooperazione militare stretto a Niamey nel dicembre 2023 con la Russia. L’accordo, firmato dal generale Abdourahamane Tian, a capo della giunta militare nigerina, ed una rappresentanza russa guidata dal vice ministro della Difesa Yunus-Bek Yevkurov, potrebbe aver spinto gli USA a cercare di bloccare un’ulteriore collaborazione, un’iniziativa che però non ha sortito gli effetti sperati, come testimonia il congratularsi della giunta nigerina con il presidente russo Vladimir Putin per la sua rielezione.

Parallelamente, la Francia ha intrapreso azioni significative, con il presidente Emmanuel Macron che, il 24 settembre 2023, ha annunciato il ritiro delle forze francesi dal Niger. Questa mossa è avvenuta in seguito all’espulsione di militari e diplomatici francesi da Niamey da parte delle autorità militari nigerine. I 1.500 militari francesi, fino ad allora stanziati nella capitale Niamey e nelle basi strategiche di Ouallam e Ayorou, vicine al confine con il Mali, hanno iniziato il ritiro il 5 ottobre, segnando un momento significativo nel ridisegnare e alleanze militari nella regione.

Nel dicembre scorso, il governo del Niger ha preso la decisione di interrompere le attività delle forze militari europee nel proprio territorio, segnando un distanziamento dalla cooperazione precedentemente instaurata con il gruppo multinazionale G5 Sahel.

Con il previsto disimpegno delle truppe americane ed in mezzo a discussioni sull’ipotetica presenza di consiglieri militari provenienti dalla Russia, al momento, l’unico dispiegamento militare straniero ufficialmente permesso in Niger è rappresentato dalla missione italiana MISIN. Quest’ultima, operante dall’aeroporto di Niamey, ha ricevuto il via libera dal Parlamento italiano nel 2018 e punta a rafforzare le strategie di lotta contro il traffico illegale e le insidie alla sicurezza interna.[1]

Il contesto regionale

Le vicende di Niamey si inseriscono in un modello ormai noto nel Sahel, dove diversi governi sono stati abbattuti attraverso colpi di stato orchestrati da militari. Tali eventi condividono una narrativa comune: militari che si autoproclamano protettori del benessere collettivo di fronte all’inefficacia dei governi ufficiali nell’affrontare le minacce terroristiche. La diffusa percezione di insicurezza, sentita profondamente tra i cittadini, non riguarda solo le amministrazioni locali ma anche le relazioni con nazioni occidentali, spesso rappresentate in maniera semplificata attraverso la loro presenza militare limitata, come nel caso delle forze europee (per esempio, la missione italiana, che annualmente comprende 500 soldati, 100 veicoli e 6 aeromobili) e quelle statunitensi.

Questa visione alterata della presenza militare dell’Occidente, interpretata come un nuovo colonialismo, ha gettato un’ombra sui governi in carica, raffigurati come corrotti e conniventi, rei di aver eroso la sovranità nazionale e di non assicurare protezione e prosperità ai propri cittadini. Tale ambiente, aggravato dai persistenti problemi legati al terrorismo e alla mancanza di sicurezza, ha agevolato l’emergere di forze golpiste, spinte ulteriormente da campagne di disinformazione.

In questo contesto, la Russia ha saputo trarre vantaggio, sostituendosi in diverse occasioni ai contingenti occidentali tramite l’entità precedentemente conosciuta come Wagner, ora rinominata Africa Corps. Questo passaggio di testimone è già avvenuto in Mali e sta procedendo in Burkina Faso, nonché in altre aree del continente.[2]

Le implicazioni internazionali

Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, il Niger ha scelto di interrompere la collaborazione con gli Stati Uniti in materia di lotta al terrorismo. Tale decisione è stata presa in seguito alle affermazioni di esponenti di spicco del governo americano, i quali hanno sostenuto che la giunta militare al potere in Niger stesse valutando in modo riservato la possibilità di stipulare un’intesa con l’Iran. Questo accordo avrebbe potuto permettere a Teheran di accedere alle importanti giacenze di uranio presenti sul territorio nigerino.[3]

Il ruolo del Niger come principale esportatore di uranio, occupando la settima posizione a livello globale, si concentra soprattutto sul mercato francese. Le recenti turbolenze politiche, causate da un golpe a luglio, hanno generato notevoli ostacoli nel commercio di questa risorsa critica. La prospettiva di un avvicinamento tra Niamey e Teheran potrebbe offrire nuove opportunità, al tempo stesso rilanciando l’attenzione sulla controversa questione del nucleare iraniano. Nonostante sia stato temporaneamente messo in ombra da altre crisi internazionali, il dossier nucleare dell’Iran continua a essere un punto focale dell’agenda mondiale, con gli Stati Uniti impegnati in continue azioni di monitoraggio e negoziazione per mitigare i rischi nella regione del Mar Rosso.

La recente missione diplomatica di Ali Mahamane Lamine Zeine, capo del governo militare del Niger, che lo ha portato in Iran dopo visite in Russia e Serbia, testimonia un’ambizione di Niamey a diversificare le sue alleanze. La composizione della delegazione guidata da Zeine, che includeva ministri di settori cruciali, evidenzia la serietà e l’ampiezza di questa apertura verso nuovi orizzonti strategici.

La Repubblica Islamica mira ad espandere le proprie influenze internazionali sfruttando la propria esperienza per instaurare connessioni con determinate nazioni. Questo approccio si rivela particolarmente utile in contesti in cui l’Iran si trova sotto il peso delle sanzioni imposte dai Paesi occidentali, cercando vie alternative per eludere tali restrizioni attraverso rapporti, inclusi quelli commerciali, con stati che non sono influenzati dalle stesse sanzioni. Un caso emblematico di questa strategia è visibile nelle recenti tensioni in Niger, dove l’ECOWAS ha risposto con sanzioni ad un cambio di potere, dimostrando la complessità e l’intreccio delle politiche di sanzioni a livello globale.[4]


Note bibliografiche

[1] https://www.analisidifesa.it/2024/03/il-niger-sceglie-la-russia-e-caccia-anche-gli-americani-a-niamey-resta-solo-il-contingente-italiano/

[2] https://formiche.net/2024/03/golpisti-niger-accordo-militare-usa/#content

[3] https://www.wsj.com/world/africa/niger-once-key-u-s-counterterrorism-ally-ends-military-ties-7db66dbe

[4] https://formiche.net/2024/03/iran-decisioni-anti-usa-niger/#content

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