Storia del paracadute militare

Gli appassionati di militaria di certo sono rimasti come me sempre affascinati da film o serie tv di successo che narrano le imprese delle truppe di paracadutisti nella seconda guerra mondiale, però non tutti sanno come funziona e da che parti è costituito lo strumento del paracadute militare.

Dagli anni del primo dopoguerra vari eserciti hanno cominciato a sviluppare la tecnologia per ottenere un paracadute affidabile per poterlo poi impiegare su larga scala a fini bellici. Nel periodo finale degli anni ’30 del XX secolo le nazioni come l’Unione Sovietica, la Germania e l’Italia avevano cominciato anche ad addestrare interi reparti di fanti aviotrasportati; ormai il paracadutismo non era più uno sport in cui si cimentava qualche coraggioso ma diventava una disciplina da sfruttare a livello tattico e strategico.

In seguito anche gli alleati si sarebbero dotati di intere divisioni dell’aria portando ulteriori innovazioni tecniche di cui parleremo in seguito.

Il paracadute militare e il paracadutista

Il paracadutista militare ha uno scopo determinato e lo strumento che ha a disposizione (e relative modalità di utilizzo) viene predisposto proprio per raggiungere questo fine che è diverso dal paracadutista civile.

Lo scopo del parà sportivo è infatti il divertimento, per questo si lancia da alture elevate (alcune migliaia di metri) per far durare più a lungo il volo e la prima fase di discesa è a caduta libera per dare la sensazione sublime di galleggiare nell’aria e fare varie coreografie. Il paracadute sportivo ha una forma allungata, a vela, che si apre a comando raggiunta una certa altitudine, e che consente, per chi è esperto nel manovrarlo, di fare altre evoluzione nel cielo oltre ad atterrare in sicurezza passeggiando.

Gli “arditi del cielo” invece devono giungere a terra dall’aereo che li trasporta rapidamente, in una zona sicuramente presidiata dal nemico, dove il resto delle truppe di terra amiche non sono ancora riuscite ad arrivare. Ciò implica che il volo deve durare il meno possibile per evitare che il soldato possa essere colpito nel momento di maggiore vulnerabilità. Per tale ragione la quota di lancio è molto più bassa dei lanci civili, si va dai 400-500 metri, ma i lanci in zone di guerra possono avvenire a quote più basse ancora e la velocità di discesa deve essere elevata ma nello stesso tempo tale da non far sfracellare il povero combattente.

L’impatto sul terreno è di conseguenza molto forte dato che si giunge a circa 20 Km/h ed è questo il momento più problematico del lancio con il paracadute militare. Il paracadute con “le stellette” ha un’apertura vincolata, di cui vedremo di seguito il funzionamento, ovvero è automatica e non dipende quindi dalla volontà dell’uomo, proprio perché si deve aprire subito senza indugio.

Tale automaticità garantisce anche una ben precisa tempistica nella successione dei vari parà che si lanciano in sequenza dallo stesso velivolo affinché non si scontrino o si ostacolino in fase di salto o in volo.

Il paracadute militare in Italia

La velatura del paracadute militare in Italia è da sempre stata tonda proprio perché questa forma garantisce più di ogni altra il rapido riempimento d’aria e quindi la completa apertura in pochi secondi. Essa ha una superficie di oltre 80 metri quadrati e ha varie cuciture come fossero meridiani e paralleli della semisfera.

Tali cuciture dividono in vari quadranti la velatura in modo che in caso di lacerazione il danno non si allarghi a tutto il paracadute. Dall’estremità della calotta, dotata di una rete antiribaltamento, si dipanano 30 cordicelle molto resistenti, le quali convergono su quattro bretelle che sono parte dell’imbracatura del paracadutista, composta da fasce attorno alle spalle e collegate fra loro, più due nastri cosciali legati alle gambe, due nastri diagonali alla schiena e uno pettorale.

Tutte queste componenti vengono adattate e fissate con ganci metallici particolari (detti “quick ejector”). I materiali nel corso degli anni sono cambiati, ad esempio la velatura non è più di seta ma di tessuto sintetico, ma il tipo d’imbracatura utilizzata oggi dalle truppe aviotrasportate della NATO non differisce molto da quella usata dagli americani nella seconda guerra mondiale, i quali furono tra i primi (assieme agli inglesi) a fissare il paracadute alle spalle del milite come fosse uno zaino[1].

Mentre i parà italiani e tedeschi negli anni ‘40 si lanciavano nella vastità del cielo a volo d’angelo con il paracadute che si legava alla schiena (imbracatura ventrale) e di conseguenza spesso atterravano in avanti anche con le braccia[2]e con le ginocchia, gli statunitensi e i britannici studiarono un’imbracatura con maniglie portanti sulle spalle e adattata alla persona tramite nastri cosciali e diagonali.

Ciò rendeva più naturale lo stacco dal velivolo e l’atterraggio avveniva con i piedi attenuando il pericolo di danni agli arti superiori oltre che ridurre in fase di volo l’ondeggiamento.

L’imbrago anglosassone e ad apertura vincolata

Tale imbrago anglosassone in vigore ovunque anche oggi, permette così un volo ed un atterraggio perpendicolari al terreno. Gli statunitensi furono anche gli unici durante il secondo conflitto mondiale ad adottare un paracadute militare di emergenza, più piccolo e fissato al petto del soldato. Allora in caso di necessità la velatura doveva essere tirata fuori a mano dallo sventurato e lanciata in aria per farla gonfiare.

Oggi “l’ausiliario” è obbligatorio ed è largo circa la metà del paracadute principale e si mette in funzione tramite una maniglia da trazionare e grazie ad una potente molla viene espulso rapidamente all’esterno per raggiungere quanto prima la portanza, infatti bastano una manciata di secondi per sfracellarsi a terra se non si apre nessuna delle due velature a disposizione.

Il meccanismo del paracadute principale è sostanzialmente rimasto invariato dalla seconda guerra mondiale ai giorni nostri. La calotta a forma emisferica è racchiusa dentro una custodia fermata sulla schiena del militare. La velatura è ripiegata dentro una ulteriore guaina[3] con asole in cui vengono stipate le funicelle a zig zag. Questa guaina e la custodia sono chiuse con nastri di cotone che si strappano con una trazione di pochi chili.

Infine vi è pure l’anello apicale della calotta (ovvero un anello di stoffa al centro della velatura, limite più estremo in altezza di quest’ultima), che è contenuto e legato con un quarto nastrino alla guaina e al cappio di una fune (la cosiddetta “fune di vincolo”) che è dotata all’altra estremità di un gancio metallico da fissare ad un tubo o filo d’acciaio resistente al peso di un uomo (detto “cavo statico”) all’interno del velivolo.

Nel momento in cui il paracadutista stacca dall’apparecchio saltando nel vuoto, per alcuni secondi è in caduta libera, più precisamente per il tempo necessario alla fune di vincolo di tendersi con il peso dell’uomo soggetto a forza di gravità. Una volta tesa al massimo questa fune, che di norma è lunga dai 5 agli 8 metri, essa comincerà a strappare i vari nastrini che tengono chiusa la custodia e la guaina della calotta, estraendola un po’ alla volta fino alla rottura dell’ultimo legaccio del foro apicale sulla sua sommità.[4]

In tale maniera automaticamente, senza alcuna attività del soldato, la vela tonda si apre ed inizia la discesa a terra rallentata. Questo è a grandi linee il funzionamento del paracadute militare ad apertura vincolata, ovvero indipendente dalla volontà dell’uomo, che ancora oggi non è mutato, salvo l’utilizzo di materiali sintetici sempre più affidabili come detto.

Conclusioni

Chiudo l’articolo elencando i tipi di brevetto da paracadutista con velatura di tipo militare (tonda e ad apertura vincolata) riconosciuti dal Ministero della Difesa. Il primo è il brevetto militare- qualifica da paracadutista e si consegue presso il C.A.PAR. di Pisa, il centro di addestramento della brigata Folgore.

Al temine del corso di durata di circa un mese si eseguono tre lanci con paracadute militare ottenendo così tale titolo, che viene iscritta a matricola, il cui distintivo è la spilla con le ali argentante e in mezzo la calotta stilizzata, portato sopra il taschino destro della giacca dell’uniforme. Vi possono accedere solo i militari durante il loro servizio, spesso da parte di coloro che stanno frequentando una scuola formativa (ufficiali, o sottufficiali o reclute dei parà).

Il secondo tipo di brevetto “con le stellette” è quello di “paracadutista militare” che è un’implementazione del primo titolo. La possono conseguire solo i militi facenti parte di unità aviotrasportate e consiste nell’eseguire almeno due lanci con equipaggiamento e armamento. Il distintivo è identico al primo ma con la presenza della stella a cinque punte nel mezzo.

Infine vi è l’abilitazione al lancio con paracadute tondo ad apertura automatica, in ambito civile ma sotto controllo dell’autorità militare, conseguita attraverso i corsi organizzati dall’ANPD’I (associazione nazionale paracadutisti d’Italia, che raccoglie i congedati della “Folgore”); in pratica è un corso che si svolge con modalità simili al brevetto militare da paracadutista, con la differenza che a gestirlo è l’associazione di cui sopra (su supervisione degli organi del CAPAR), a cui vi possono accedere anche i civili e le lezioni si svolgono nel tempo libero.

Con l’esecuzione di tre lanci, gli appartenenti alle FFAA in particolare, possono iscrivere questa abilitazione a matricola e fregiarsi, previa autorizzazione del proprio Comando di corpo, della spilla identica a quella del brevetto militare. Lo stretto legame con i corsi di Pisa è evidenziato dalla possibilità per il personale delle Forze armate di convertire l’abilitazione ANPd’I nel brevetto militare-qualifica paracadutista, effettuando delle prove teoriche e almeno un lancio di accertamento. Attualmente l’attività aviolancistica dell’ANPD’I è stata sospesa per un contenzioso amministrativo con l’ENAC (ente nazionale per l’aviazione civile).

Michele Angelini


[1] I paracadutisti inglesi nel secondo conflitto mondiale avevano un particolare sistema di imbraco che poteva essere sganciato premendo un grosso pulsante a cui tutti i nastri erano collegati posto all’altezza del petto.

[2] Per questo i paracadutisti a quel tempo si lanciavano con guanti e varie imbottiture nella tuta.

[3] La guaina è una sorta di sacchetto di cotone a forma rettangolare con asole all’interno per stivare le funicelle del paracadute. Vi è inserito saldamente il cappio di un’estremità della fune di vincolo e su un lato ha una patta che viene chiusa dai nastrini di cotone che si strapperanno col lancio.

[4] Dall’altra parte della fune infatti, come scritto sopra, vi è il moschettone metallico saldamente ancorato all’aereo, per cui la forza di gravità andrà a esercitare trazione solo sui legacci di cotone di chiusura del paracadute, rompendoli facendo uscire la calotta.

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