La storiografia e i Comuni Basso Medievali

Gli strumenti per studiare uno dei periodi più affascinanti della nostra storia.

Certamente per parlare di storia in modo scientifico, secondo le scienze umanistiche, bisogna citare le fonti. Tuttavia la storiografia non è una “materia morta” ma in continua trasformazione. Il dibattito, che si è esteso dalla metà del XIX secolo fino ad oggi, sui Comuni Basso Medievali è un ottimo esempio dell’evoluzione del pensiero critico che la storiografia compie attraverso l’uso delle fonti

Il dibattito storiografico sui Comuni Basso Medievali

Durante gli anni del Risorgimento e dell’Unità i secoli XII-XIV del Basso Medioevo italiano sono stati riletti dai patrioti come il primo passo verso la costituzione di uno Stato-Nazione moderno. Questa è stato possibile rappresentando i fatti della Lega Lombarda e di Federico I come una guerra per l’indipendenza contro l’occupante germanico; inoltre, nel contesto di una fortissima frammentazione di Stati preunitari, l’Età Comunale permise di creare una tradizione condivisa e trasversale. Tuttavia ricordiamo come questo fenomeno storicamente si sviluppò nel Centro-Nord, mentre nel Sud i Normanni di Sicilia mantennero un regno unitario per tutto il Medioevo. Durante questo periodo gli studiosi si interrogarono sulla questione longobarda: se l’origine del Comune debba essere ricercata nella città di età romana dando, in questo caso, alcun peso alla frattura politico-culturale dei Longobardi; oppure se tale sviluppo sia stato successivo rinunciando così al legame con gli Antichi. Lo storico Pasquale Villari (1826-1917) canonizzò l’idea che i Comuni fossero l’origine del tratto unitario della storia nazionale riferendosi alla storia comunale come un’opposizione tra latinità e germanismo. Successivamente, ricorrendo a nuove fonti sulla storia di Firenze, lo stesso Villari arrivò a negare le sue stesse ipotesi.

Gli studiosi successivi

La generazione successiva di studiosi continuò a prendere le distanze dalla visione risorgimentale dell’Età Comunale. Gaetano Salvemini (1873-1957), attraverso un approccio della storiografia marxista, lesse la lotta tra guelfi e ghibellini, a partire 1280 a Firenze, come uno scontro tra una classe di produttori e una di consumatori superando, così facendo, la storiografia risorgimentale che aveva letto questi stessi fatti come un opposizione tra latini e germani. Gioachino Volpe (1876-1971) superò le ipotesi della origine latina o germanica dei comuni affermando che essi si svilupparono spontaneamente tra XI e XII secolo grazie a una forte crescita economica. Tra gli anni 1920 e 1960 la storiografia italiana si avvicinarono al concetto elitista di classe politica di Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto[1]. Nicolai Ottokar ribaltò la tesi di Salvemini dimostrando come a Firenze le famiglie che governarono erano sempre state le stesse sia nel periodo guelfo sia in quello popolare, sia in quello bianco, sia in quello nero. Emilio Cristiani riuscì a smontare l’idea di un conflitto di classe presente in Volpe attraverso il metodo della prosopografia: l’analisi delle carriere politiche dei singoli individui.

Oltre il feudalesimo

Un Ulteriore passo verso una maggior comprensione dell’Età Comunale è stato il superamento del concetto tradizionale di feudalesimo. La formazione del Comune non è stata più pensata come una progressiva distribuzione di potere dall’alto verso il basso, ma attraverso una conquista graduale di uno spazio politico lasciato libero dalla crisi dell’impero. La formazione di una signoria è stata il risultato di una serie di differenti strategie realizzata da diversi soggetti aventi il fine di costruire un dominio locale. Nello specifico si è stata superata l’idea di Henry Pirenne di una Europa medievale dominata da re e nobili rurali in cui le città erano il rifugio dei mercanti in quanto costituivano un “porto sicuro” dal dominio del feudalesimo. Cinzio Violante ha sottolineato come le prime istituzioni comunali siano state create da aristocratici urbani provenienti dalla clientela vescovile che erano proprietari di diritti signorili nelle campagne, talvolta impegnati nei traffici commerciali e nelle attività imprenditoriali. Questa novità in campo storiografico ha consolidato la tradizione elitista in quanto il Comune solo superficialmente appare con una facciata di condivisione “democratica” del potere; nella realtà, come si è visto, questa forma politica era dominata da gruppi ristretti di aristocratici urbani che non differivano troppo dagli aristocratici rurali.

I contributi novecenteschi

Infine dalla seconda metà del Novecento la storia delle istituzioni ha portato nuovi contributi per i secoli XIII-XIV: l’Età Comunale è stata sentita molto più vicina alle prime evoluzioni della prima età moderna. L’età podestarile è stata rivista come il momento più maturo di questo sviluppo politico-istituzione a causa dei suoi nuovi elementi che la caratterizzano: l’invenzione di un nuovo linguaggio politico e la sua formalizzazione; l’elaborazione di un sistema di regole condivise per il controllo reciproco di diverse componenti della società; nuove forme di giustizia pubblica; la nascita di nuove tecnologie documentarie come il registro di liste e l’utilizzo di un nuovo tipo di scrittura politica a opera di giuristi e notai[2].

Ricerca sulle fonti medievali dell’Età Comunale

Lo storico Giuliano Milani evidenzia come il mutamento delle scritture sia considerato dalla recente storiografia come l’elemento fondamentale dell’evoluzione politica-istituzionale dell’Età Comunale. Milani riporta le principali fonti descrivendo la loro importanza per chi volesse cimentarsi nella ricerca.

Fonti narrative sono le cronache dei contemporanei alla quali il ricercatore deve sempre interrogarsi criticamente sui motivi per i quali questi testi sono stati scritti e a quale sfondo politico appartengono.

Fonti documentarie a causa della loro valenza giuridica hanno subito una maggior forzatura negli archivi nei quali sono stati conservati fino ai giorni. Pertanto Milani consiglia per una corretta ricerca storica  di liberarsi di ogni paradigma legato allo stato moderno e sia, da un lato, di capire quale fosse la configurazione del sistema documentario comunale sia, dall’altro, di comparare questo stesso sistema documentario con gli atti precedenti e successivi.

Fonti normative, gli statuti, devo essere letti come il risultato di un processo di stratificazione di materiali eterogenei come i giuramenti degli ufficiali o le delibere del consiglio cittadino. Diversamente leggerli come una tappa di un processo lineare, avente il fine di una costruzione di una Stato, sarebbe un errore anacronistico.

Fonti dettatorie, retoriche e trattatistiche costituisco il miglior modo per farsi un’idea di cosa potesse dire fare politica a quell’epoca; inoltre sono la base fondamentale per comprendere la riflessione del contemporanei sul regime politico comunale[3].

Fonti generali (manuali di riferimento)

BORDONE, R., SERGI, G., Dieci secoli di medioevo, Einaudi editore, Torino 2009.

Bibliografia

MILANI, G., I comuni italiani, Laterza editore, Bari-Roma 2005.

SALVADORI, M., L., Democrazia, Donzelli editore, Roma 2015.

Sitografia

Riassunti di Storia: Riassunti di Storia – YouTube

I Comuni italiani del basso Medioevo: una riflessione storiografica


[1] SALVADORI, M., L., Democrazia, Donzelli editore, Roma 2015, pp. 312-22.

[2] MILANI, G., I comuni italiani, Laterza editore, Bari-Roma 2005, pp. 159-68.

[3] Ivi, pp. 168-78.

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