Le piccole guerre

Dalle guerre coloniali agli eserciti moderni e novecenteschi.

Nel termine Small Wars (let. “piccole guerre”, conosciute anche in tedesco – klein kriege – e francese – petite guerre –) ricadono due significati differenti tra loro. Il primo comprende tutte quelle azioni condotte, su piccola scala, da unità mobili di cavalleria e di fanteria leggera (sabotaggio, raid atti a distrarre l’esercito avversario o a colpirne le salmerie, etc.) inserite in un contesto di maggiore dimensione e il secondo una guerra condotta da forze regolari e grandi unità militari. Queste operazioni venivano condotte da unità militari o formazioni di natura irregolare, come per esempio i cosacchi, gli ussari o i pandur.

Le guerre coloniali

Nell’Ottocento, con l’avvento delle guerre coloniali, in questo termine verranno incluse

«tutte le campagne tranne quelle in cui entrambi i contendenti sono composti da truppe regolari. Comprende le spedizioni condotte da truppe regolari contro i selvaggi e razze semi-civilizzate, campagne intraprese per porre termine a rivolte e guerriglie in ogni parte del mondo, dove eserciti organizzati lottano contro avversari che non li affrontano in campo aperto. […] Ogni volta che un esercito regolare si trova coinvolto in ostilità contro truppe irregolari, o forze che nel loro armamento, organizzazione e disciplina sono in modo evidente inferiori a lui, le condizioni della campagna diventano distinte da quelle della guerra regolare moderna […][1]»

I conflitti coloniali videro gli eserciti moderni, abituati ai teatri delle loro terre, incapaci di poter proseguire nello stesso periodo esplorazioni e conquiste, e si dovettero confrontare con difficoltà di natura economica, tecnologica, sanitario, problemi strategici, differenze culturali e di ambiente e sociale[2]. Queste guerre sono combattute da truppe europee contro altre culture militari, quasi sempre svoltesi in teatri operativi molto distanti dalla madre patria, spesso in contesti ambientali difficili e dove gli insegnamenti militari delle accademie militari del tempo non erano utili a risolvere completamente le campagne ed a sedare in breve tempo i focolai di resistenza, minando la stabilità dell’intero territorio conquistato[3]. Come esempi possono essere portati la prima e la seconda guerra afghana (rispettivamente 1839-1842 e 1878-1880), la guerra Anglo-Zulu[4] (1879), la conquista francese dell’Algeria (1830-1847)[5].

Tempi diversi, guerre diverse

Tutti queste guerre, benché di esiti differenti, mostrano appieno le difficoltà di attuazione ed adattamento pensiero militare occidentale e del voler combattere come se ci si fosse trovati su suolo europeo. L’adattamento richiese molta fatica, un consistente numero di uomini e mezzi[6] e diverse sconfitte ma l’esperienza e le conclusioni maturate nei teatri rimasero sempre in secondo piano e l’interesse sempre in secondo piano, riacquisendo poi nuovo interesse sia durante la decolonizzazione sia durante gli ultimi venti/trent’anni, capovolgendo la percentuale di spazio e di studi dedicato ai due campi. Se infatti prima tutti gli studi si concentrano sulla guerra regolare e lasciarono in secondo piano le guerre irregolare[7] a partire dalla seconda metà del Novecento[8] e poi in seguito dagli anni ‘90 ad oggi[9], la situazione si è ribaltata. La maggior parte degli studi infatti si basa sulle guerre irregolari e sulla guerriglia[10], sullo sviluppo di una dottrina di counterinsurgency (COIN) e sull’evoluzione dei conflitti minori, trascurando – se così si può dire – il conflitto tra Stati, sentito come qualcosa di improbabile, benché possibile, come abbiamo visto negli ultimi mesi.


[1] Charles Edward Callwell, Small Wars. Teoria e prassi dal XIX secolo all’Afghanistan, Andrea Beccaro (a cura di), LEG, 2012, p. 71.

[2] Per approfondimenti in merito alle successive fasi della colonizzazione europea si veda Daniel R. Headrick in Il predominio dell’Occidente. Tecnologia, ambiente e imperialismo.

[3] Scenari che posseggono un interessante collegamento con alcuni teatri odierni, come mostrato in M. Cencio Guerra, Strategia, Cultura. Dalle Small Wars ai giorni nostri, Tesi di laurea, Università degli Studi di Torino, a.a. 2019-2020, relatore Marco Di Giovanni.

[4] Sull’evoluzione sociale e militare degli Zulu si veda: Ian Knight, Anatomia dell’esercito zulù, 1995; Peter Quantrill e Ron Lock, Zulu Victory: The Epic of Isandlwana and the Cover-up e S. Bourquin, L’organizzazione militare zulù e la sfida del 1879, Giornale di storia militare, Società di storia militare del Sud Africa,gennaio 1979, disponibile al seguente link http://www.samilitaryhistory.org/vol044sb.html.

[5] Per un approfondimento si veda: M. Cencio, Small Wars: le piccole guerre (che tali non erano), in Arma VirumQue, n. 1, Febbraio 2021, pp. 82-90.

[6] Alcuni esempi. Nel 1830 e poi nel decennio successivo, l’Armata francese in Algeria contò più di 100.000, un terzo dell’esercito, ma fu un’eccezione. A fine Ottocento le forze di conquista in Africa furono sensibilmente di meno (sotto gli 8.000 uomini). Informazione presente in Headrick, op.cit.. Durante le guerre boere, il picco raggiunto dalle truppe britanniche fu di 500.000 unità.

[7] Nonostante ciò emersero figure militari importarti tra cui: Thomas Edward Lawrence, Thomas Robert Bugeaud e Hubert Lyautey.

[8] Alcuni celebri autori: Roger Trinquier e David Galula.

[9] Si veda per approfondire: M. Valigi, A. Beccaro, G. Giacomello e F. N. Moro, Insurrezioni e controinsurrezione da Callwell a Petraeus, Il Politico, Vol. 78, No. 1 (232), Gennaio-Aprile 2013. Disponibile qui: https://www.jstor.org/stable/24007003.

[10] Per approfondire alcune letture possono essere: G. Breccia, L’Arte della Guerriglia, Bologna, il Mulino, 2013; F. Saini Fasanotti, La forma della guerra. Le origini del pensiero occidentale di controguerriglia, SME Ufficio Storico, 2022.

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