La conquista cinese di Taiwan

Taiwan ha fatto parte dei domini cinesi per secoli; e ora, la Cina di Xi Jinping, desidera riportarla sotto il proprio controllo.

La riunificazione di Taiwan con la Repubblica Popolare ha assunto oggi un’importanza decisiva nella politica estera cinese, e in definitiva sul modo in cui la leadership di Xi Jinping verrà ricordata nella storia della Repubblica Popolare. Oltre all’importanza strategica cruciale come crocevia delle rotte commerciali del Pacifico, le rivendicazioni della madrepatria sull’isola di Formosa si basano prevalentemente sul “diritto storico”: essendo stata Taiwan parte dei domini della Cina per secoli, quest’ultima desidera averla nuovamente sotto il proprio controllo. Andando a scavare più in profondità, però, si scopre come l’effettiva dominazione cinese sull’isola sia stata relativamente breve (1683-1895), e che per lunghissimo tempo l’Impero del Centro non sentisse alcuna affinità con le sue genti. “Taiwan è semplicemente una palla di fango oltre i mari, indegna dello sviluppo da parte della Cina. È piena di selvaggi nudi e tatuati, che non vale la pena difendere”;[1] così sentenziava un funzionario della dinastia Qing, commentando la decisione dell’imperatore di impossessarsene ed amministrarla.

Tali considerazioni, frutto dell’atteggiamento di predeterminata superiorità morale e miopia strategica tipiche dell’età imperiale, mal si sposano con la narrativa corrente del Partito Comunista, ben conscio della spina del fianco rappresentata dalla relativa indipendenza dell’isola, e quindi determinato nel descrivere il rapporto tra i due popoli come portatori di storie e culture interdipendenti. Riunificazione da raggiungere preferibilmente in maniera pacifica e consensuale, ma se ciò non fosse possibile, anche con l’uso della forza, come chiaramente affermato da Xi durante il XX Congresso del PCC. Ecco perché gli strateghi militari cinesi si sono tanto affaccendati negli ultimi anni per delineare un piano efficace di conquista di Taiwan, e non pochi hanno volto lo sguardo al passato per cercare di trarre ispirazione dalla prima (e unica) volta che essa è stata effettivamente sotto il controllo dell’Impero del Centro.

Koxin-ga e il regno di Tungning

1644: la dinastia Ming è al collasso. I Manciù provenienti dal Nord hanno penetrato le mura intorno alla capitale Pechino, e l’ultimo imperatore Ming è fuggito per impiccarsi su una collina poco a nord della Città Proibita. È l’inizio della dinastia Qing. A questo avvenimento si succedettero decenni di violentissima guerra civile, che vide i governanti locali ancora fedeli ai Ming scontrarsi con i nuovi dominatori, specialmente nel sud del Paese.

È in questi anni, più precisamente nel 1661, che Zheng Chenggong, rimasto leale ai Ming, si rifugiò con circa 25.000 uomini sull’isola di Taiwan, scacciando olandesi, spagnoli e portoghesi che nei decenni precedenti avevano fondato degli avamposti commerciali. Zheng, eroe nazionale taiwanese[2] entrato nella storia con il nome di Koxin-ga, si autoproclamò principe dell’isola (tradizionalmente questo periodo viene ricordato come regno di Tungning), e rese Taiwan il proprio feudo familiare, pianificando la possibile riconquista del continente a nome dei Ming. Ma quando l’alleanza del figlio Jing con Geng Jingzhong, governante ribelle del Fujian e protagonista della “Rivolta dei tre feudatari”, venne soffocata nel sangue dall’imperatore Kangxi, l’indipendenza del regno di Tunging divenne un problema non più tollerabile per la corte imperiale Qing.

La conquista pacifica di Taiwan

Kangxi, e il proprio generale Shi Lang, fin da subito optarono per una strategia che non prevedesse grandi spargimenti di sangue da entrambe le parti, ma che inducesse i ribelli taiwanesi ad una resa pacifica, persuasi che fosse l’opzione migliore a propria disposizione. È nella tradizione militare cinese l’avulsione per le grandi e decisive battaglie campali, tanto care agli strateghi occidentali. “Vinci senza combattere” diceva il leggendario Sun Tzu; l’idea dell’accerchiamento del nemico e della sua sottomissione grazie alla superiorità numerica e tattica si tramanda da secoli con il tradizionale gioco del wei-chi.[3]

Per questo motivo, invece di puntare direttamente all’isola principale, Shi optò per lo stanziamento della propria marina nelle isole Penghu, piccolo arcipelago al largo della costa occidentale di Taiwan, dalle quali fu in grado efficacemente di separare l’economia taiwanese dal continente, facendola entrare in grave crisi. Approfittando delle lotte intestine degli eredi della famiglia Zheng, e propagandando un messaggio pacifista verso gli isolani (persuasi anche dai superstiti delle Penghu che il generale “non amava uccidere”[4]), Shi Lang poté sbarcare sull’isola quasi indisturbato, e a luglio del 1683 gli emissari della famiglia Zheng consegnarono all’imperatore la resa ufficiale. Kangxi, a questo punto, invece di vendicarsi sui ribelli, ebbe la lungimiranza di concentrarsi sulla pacificazione e sull’integrazione commerciale dei territori neo-accorpati alla provincia del Fujian. Nel “Proclama per il benessere dei sudditi taiwanesi”, egli promise sgravi fiscali alle attività commerciali locali, integrò nell’esercito regolare i generali sconfitti, e neutralizzò i discendenti della famiglia Zheng concedendo loro titoli nobiliari e facendoli entrare nella propria corte a Pechino.

La Storia si ripete?

Gli insegnamenti che la dirigenza attuale del PCC può ricavare dall’analisi della prima conquista taiwanese del 1683 sono multipli. Innanzitutto, la grande attenzione alla pianificazione logistica in termini di cibo, armamenti, e condizioni climatiche propizie allo sbarco. La decisione di prendere Taiwan accerchiandola dalle isole Penghu, estendendo a tutti gli effetti un blocco navale letale per gli approvvigionamenti dell’isola, rappresenta la strategia operativa attualmente più probabile, viste anche le recenti esercitazioni della marina cinese nello Stretto di Taiwan. La soverchiante superiorità numerica, nelle idee dei vertici militari cinesi, oggi come allora porterebbe ad una resa incondizionata dell’isola, per mancanza di opzioni migliori. Inoltre, l’attacco fu sferrato solo dopo aver sedato la rivolta dei Tre Feudatari, ed essersi assicurati il saldo controllo del fronte interno. Condizione della quale Xi Jinping, tra Covid-19 ed il rallentamento della crescita economica, non può essere così sicuro.

Ciò che però viene considerato ancora più importante da Deng nel suo saggio è “la conquista dei cuori” dei taiwanesi. Allora fu raggiunta in primis evitando un’invasione frontale, ed un conseguente bagno di sangue della più ridotta armata rivale, ma soprattutto con le politiche di autonomia economica e politica concesse a Taiwan. Visti i precedenti dei disordini ad Hong Kong, gli abitanti odierni dell’isola di Formosa sono consapevoli che la congiunzione storica di oggi è ben diversa da quella del XVII secolo. A maggior ragione se si considera come la locuzione “pacifica riunificazione”, obiettivo strategico primario dei Qing, non sia ormai più utilizzata nel lessico ufficiale del Partito su Taiwan[5].

Se la Storia può insegnare qualcosa a Xi Jinping, è che non ci sono oggi le condizioni ottimali per una simile campagna militare, e se è vero l’insegnamento degli antichi per i quali “l’arte della guerra è una faccenda da delinquenti”,[6] la sua retorica aggressiva è quantomeno pericolosa. Si possono aspettare anche vent’anni per il momento giusto per colpire. Proprio come fece allora il vittorioso Kangxi. 


[1] Emma Jinhua Teng, Taiwan’s imagined geography: Chinese colonial travel writing and pictures, 1683-1895, Cambridge: Harvard University Press, 2009, p.3.

[2] Vi sono più di 100 tempi a Taiwan dedicati alla sua figura, a tutti gli effetti divinizzata

[3] Una sorta di dama, diffusa in Cina da più di 2500 anni, nella quale si conquistano le pedine avversarie circondandole con le proprie, in un susseguirsi di accerchiamenti che rende anche molto difficile determinare il vincitore

[4] Giorgio Cuscito, Storia con caratteristiche cinesi, in “È la storia, bellezza!”, Limes, n.8/2020, p. 260; versione italiana dell’originale saggio di Deng Tao, Quinshao shi ruhe tongyi Taiwan de (“Come i Qing hanno unificato Taiwan), Xuexi Shibao, n.3/2020

[5] Cfr. https://www.scmp.com/news/china/politics/article/3085700/chinese-government-drops-references-peaceful-reunification?utm_content=article&utm_medium=Social&utm_source=Twitter#Echobox=1590147026

[6] Cuscito, op. cit., p. 245

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