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Dovuta premessa al lettore: qualsiasi violenza o genocidio commesso in nome di un ideale è sempre e comunque deprecabile e da condannare.
La cronaca ci ha ormai abituati a pensare che un manipolo di barbuti armati di forconi, o meglio kalashnikov, abbia come priorità esistenziale quella di moralizzare dei poveri reietti, partendo da banalità come l’abbigliamento. Il mondo si è ormai abituato ad immaginare che la violenza derivi sempre e comunque da scelte di chi professa l’islam. Indubbiamente su ciò si potrebbe, come in parte già avviene, usare infiniti litri di inchiostro e ogni considerazione pro o contro questa valutazione porterebbe altrettante ipotesi caratterizzate da “sé” e “ma”.
Le persecuzioni cristiane
Recentemente un notiziario delle 20 ha voluto ricordare quanto i cristiani siano perseguitati nel mondo e, come previsto, gli esempi citati menzionavano stati mediorientali e più genericamente africani. Al di là delle singole vicende si può sottolineare come la presenza cristiana sia maggiormente diffusa in zone più ricche e come questo crei problemi sociali non concernenti la religione. Il caso emblematico è, ad esempio, la Nigeria dove gruppi armati di matrice islamica (Boko Haram e discepoli dello Stato Islamico) compiono, purtroppo registrando un relativo successo, veri e propri massacri nei confronti dei seguaci di svariai gruppi cristiani presenti sul territorio. Quello che però viene deliberatamente taciuto è fondamentalmente una condizione economico – geografica: il nord del paese (a prevalenza islamica) è estremamente povero, privo di qualsiasi risorsa naturale e “lontano” dai centri di poteri; il sud (principalmente cristiano) è agevolato dalla presenza del mare che porta ricchezze dal porto, dalla facilità negli scambi commerciali e, ultimo ma non ultimo, zona in cui sono sempre state maggiormente presenti le missioni (organizzazioni cattoliche che si sono diffuse a sostegno dei popoli con maggiori difficoltà sociali). Questa semplice disamina dimostra una disparità in termini di ricchezza e di servizi offerti alla popolazione. È purtroppo logico constatare come questa diffusa diversità avrebbe condotto nel lungo periodo a fortissimi scontri, il fatto che ciò avvenga in chiave ideologica – religiosa non dovrebbe allontanarci dalla realtà locale.
Il caso degli uiguri
Quanto appena descritto è un esempio di ciò che avviene in numerose parti del mondo, ma ovviamente non è replicabile ovunque: indubbiamente i massacri esistono e le immagini di quanto avvenuto con Daesh (fenomeno politicizzato, ma sfuggito al controllo degli ideatori) sono ancora vive nelle nostre menti. Ricollegandomi, quindi, al servizio televisivo mandato in onda ho notato come non sia stata menzionata la Cina tra i paesi anti – cristiani, dove appunto i fedeli di tale credo denunciano oppressioni e stigmatizzazioni (ovviamente spesso in anonimato e servendosi di testate giornalistiche estere). È doveroso quindi menzionare il caso degli uiguri: popolo turcofono musulmano presente nel nordest della Cina. L’Assemblea nazionale francese ha adottato una risoluzione in cui viene denunciato il “genocidio” della popolazione uigura da parte della Cina. La risoluzione, che non ha carattere vincolante, è stata approvata con 169 voti a favore, cinque astensioni e un contrario. A dicembre le Nazioni Unite avevano definito “profondamente inquietante” il rapporto presentato da un gruppo di avvocati di Londra ed esperti di diritto, che avevano accusato la Cina di “genocidio” contro gli uiguri nello Xinjiang. Rupert Colville, portavoce dell’Ufficio diritti umani delle Nazioni Unite, aveva precisato che l’organismo non si è espresso formalmente in merito al verdetto emanato dal Tribunale degli uiguri. Inoltre, aveva definito “estremamente importante” garantire piena protezione alle “molte vittime” e ai testimoni “che hanno corso grandi rischi nel farsi avanti” e che potrebbero cadere vittime di rappresaglie da parte della Repubblica popolare.
L’esportazione della democrazia
Non è questa l’opportuna sede per descrivere in cosa consista la fede professata o le caratteristiche intrinseche. Ciò che preme sottolineare è la miopia e l’assoluta incoerenza del mondo intero. La Cina è protagonista delle nostre vite dall’ormai tristemente noto gennaio 2020 in cui abbiamo dovuto assistere al silenzio iniziale riguardante la pandemia. Siamo stati testimoni di tentativi mal celati di continua corsa economica in situazioni inopportune: sono infatti attori di primaria importanza in Afghanistan (dove viene ipotizzato che in futuro sosterranno economicamente il governo talebano così da accaparrarsi lo sfruttamento di risorse naturali e petrolifere non ancora messe a profitto), in Kazakistan (dove viene menzionato solo l’intervento russo e mai ricordato che la Cina ha stipulato importanti accordi con il governo per la fornitura di uranio necessario alle 17 centrali atomiche in costruzione su suolo cinese). Questi sono unicamente gli ultimi due casi rilevanti, ma non sono certo episodi isolati.
Quando potremo finalmente accantonare il paradigma che tratta lo scontro di civiltà tanto caro a Samuel Huntington e potremo finalmente razionalizzare un pensiero unico riguardo a ciò che avviene in Cina? Sarà sempre più comodo cercare un nemico di “prossimità” con usanze diametralmente opposte alle nostre che non è disponibile a spogliarsi della propria galabia per compiacere il proprio interlocutore. Dovrebbe invece preoccuparci di chi è disponibile a proporci nella forma a noi più gradita i propri involtini: la realtà sconcertante e assai banale è che la Cina è una dittatura e, in quanto tale, non consente che la religione (né Cristianesimo né Islam) possa pervadere la mente dei propri cittadini. L’“esportazione della democrazia” è ormai evidente che sia auspicabile solo per quei paesi con un impianto statuale debole e quindi potenzialmente facili da malleare a fini economici. Quando questa finalità è invece perseguita verso una potenza economica capace in futuro di influenzare usi e costumi di altri popoli sembra che la via del silenzio e dell’assoggettamento sia quella da preferire.