Un sogno chiamato Europa

Capire l’integrazione europea: Project Europe di K.K. Patel.

Project Europe, scritto da Kiran Klaus Patel, è il frutto dell’esperienza di anni di ricerca e studio tra archivi, università e capitali europee, tra le quali figurano la Ludwig Maximilian di Monaco, l’università di Maastricht, l’EUI di Firenze e altri ruoli a Berlino, Parigi e Londra.

Chi è l’autore?

Di origine e prima formazione tedesca, Patel è uno studioso di studi europei e della storia del processo d’integrazione che ha approfondito passando attraverso le università dei maggiori paesi coinvolti nel progetto europeo. Il lavoro che ha portato alla stesura del libro è stato un viaggio lungo per Patel, durato la sua intera carriera accademica. Sentimentalmente però, lo stesso autore ammette che il Progetto Europa aveva già avuto modo di incrociare la sua vita fin da bambino, quando a poco più di 10 anni, come piccolo collezionista di francobolli, era rimasto amaramente deluso dallo scoprire che il francobollo commemorativo dei Trattati di Roma non riguardava la storia dell’Impero Romano di cui era affascinato in tenera età, ma un evento più vicino cronologicamente alla sua epoca ma psicologicamente ben più distante. E proprio questa amarezza nei confronti dell’integrazione Europea è qualcosa che Patel si porta dentro anche nella sua carriera accademica, sentimento che fa da appena percettibile ma costante sfondo del libro Project Europe che racconta la vera storia di come un progetto che doveva essere visionario, si sia tradotto in un imprevedibile fantasma di quel che non è mai riuscito ad essere e di cui non si sa quel che sarà.

Di cosa parla Project Europe

Fuori da dicotomia tra bene e male e da interpretazioni teleologiche la storia dell’integrazione europea viene riconsidera significativamente da Patel, sfatando alcuni falsi miti. L’autore non passa in rassegna i momenti salienti del progetto europeo, preferisce piuttosto concentrarsi su alcuni temi cruciali e snodi di ricerca del dibattito critico sul tema per far luce sulla vera utilità della Comunità Europea fino agli anni 90.
Secondo l’autore, molte erano le idee di integrazione europea e altrettante le organizzazioni internazionali che cercavano di realizzarle. Non era affatto scontato che una di queste prevalesse sulle altre. Per Patel, i motivi del maggiore successo della CE rispetto alle altre organizzazioni sono legati al suo carattere ibrido. La CE si è evoluta nel tempo a partire dagli anni 70-80 e soprattutto grazie al Single European Act come l’unica organizzazione con tratti sia intergovernamentali che sovranazionali. Solo nel campo della difesa la NATO rimane un’organizzazione più importante rispetto alla CE/UE per tutta la sua storia.

Un altro falso mito su cui Patel cerca di fare chiarezza riguarda il contributo della CE al mantenimento della pace. Al contrario di come spesso postulato, quest’istituzione europea non fu causa della pace in Europa, ma conseguenza. Fu, al contrario, la Pax americana suo garante. In quest’ottica, il vero ruolo della CE è stato quello di costruire un clima di dialogo e un forum per la risoluzione di controversie, incarnando simbolicamente la garanzia di assenza di conflitti. Al contrario invece, nel campo della pace sociale all’interno dei singoli stati membri la CE ha avuto grande successo, grazie a politiche come la CAP (Common Agricultural Policy) da una parte e alla stabilizzazione democratica di Grecia, Spagna e Portogallo dall’altra. Infine, in tema di sicurezza, seppure con qualche miglioramento, la CE non è mai riuscita ad attuare politiche autonome.

Un’altra questione affrontata nel saggio è l’apporto della CE allo sviluppo economico dei suoi stati membri. Anche in questo caso, realtà e narrazione non coincidono. Patel ritiene difficile stabilire concretamente quanto il processo di integrazione abbia garantito prosperità economica poiché manca un comune accordo tra gli studiosi. Piuttosto, il ruolo chiave nel successo economico dell’Europa occidentale lo ha avuto la globalizzazione e il sistema di Bretton Woods garantiti sotto l’ombrello di protezione ed egemonia americano. Per spezzare una lancia in favore della CE, comunque, Patel ammette che anche non essendo chiaro in che misura contribuì allo sviluppo economico, di certo fu decisiva nel mantenimento della stabilità economica specie dopo il crollo del sistema finanziario di Bretton Woods.

Tra le questioni fondamentali del dibattito sull’integrazione europea, figura anche quella della partecipazione democratica e dello spirito tecno-burocratico della CE/UE. Patel sostiene che il progetto d’integrazione è nato principalmente a guida elitaria con scarsa partecipazione della società civile e, quindi, mancata legittimazione democratica, seppure ci siano stati deboli tentativi di correggere il tiro. Per molto tempo questo processo è stato un’adiaphora: termine greco con il quali si indica un’entità né odiata né amata. In sostanza, è stato solo negli anni ‘80 e ‘90, quando la CE/UE ha iniziato ad influire maggiormente sulla vita dei suoi cittadini che gli europei hanno cominciato a mostrare una certa ostilità nei confronti delle decisioni prese a Bruxelles.

Un altro punto fondamentale dell’autore è che questo progetto di integrazione europea nasce per salvare gli stati-nazionali e non per eroderne la sovranità. Il risultato è quello di ottenere una sovranità “post-classica” dove gli stati nazionali cooperano in un framework parzialmente sovranazionale potendo influenzare significativamente le strutture europee, ma non completamente. Ogni stato membro ha, con diverso grado e misura, fatto esperienza di questa trasformazione.

Un ulteriore colpo che Patel infligge alla narrazione che si fa della storia dell’integrazione europea riguarda la teoria dello “stop and go”. Secondo questo approccio teorico, Il processo d’integrazione sarebbe contrassegnato da momenti di avanzata e di sosta. Al contrario, l’autore nota che l’integrazione europea è caratterizzata piuttosto da continui balzi in avanti e ripiegamenti. Disfunzionalità e disintegrazione hanno contraddistinto da sempre l’evoluzione delle istituzioni europee senza metterle necessariamente in condizioni di rischio esistenziale, e molti sono i casi citati dall’autore all’interno del saggio in ciò è avvenuto. Il problema consiste nel fatto che solo oggi queste contraddizioni cominciano ad essere percepite e ritenute pericolose.

Le considerazioni finali su Project Europe

In conclusione dalla chiave di lettura geopolitica, la CE/UE non esiste. Lo stesso Patel sottolinea come quest’entità abbia fallito le sfide geopolitiche che si sono susseguite nel corso della sua storia, come la guerra nelle Falklands, le guerre yugoslave o la crisi ucraina. Eppure, l’autore spinge ad alcune riflessioni significative su cui vale la pena soffermarsi. L’odierna UE è il risultato di una storia contraddittoria e complessa. Fin dagli esordi, tentativi di renderla attore geopolitico sono esisti. Basti pensare alla proposta di creare una comunità politica europea, un esercito comune o addirittura un terzo polo tra USA e URSS in una veste neocoloniale euroafricana. Come nel dopoguerra era difficile immaginare quale idea di integrazione si sarebbe realizzata, oggi è difficile presagire un’UE geopolitica, ma questo non è garanzia di sua irrealizzabilità. La sua identità ibrida e la sovranità post-classica dei suoi stati membri la rendono un soggetto fragile, poiché sensibile alle crisi che possono causarne il collasso, ma al contempo imprevedibile nel suo sviluppo. Un attore di questa taglia, trainato da diverse forze, mosso da molteplici obiettivi, talora persino conflittuali tra loro e alimentato da energie variegate, costituisce una sperimentazione unica nel suo genere di cui solo la storia del futuro saprà renderci noto l’esito.

Una risposta

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *