La schiavitù nel mondo antico

La schiavitù nella Storia antica è un tema estremamente complesso che è stato trattato in diversa misura dalle varie correnti della storiografia. La riflessione sull’Atene del IV secolo a. C. e il Mediterraneo romano del II secolo a. C.

L’Atene del IV a. C.

La popolazione della polis di Atene viene approssimata, secondo varie testimonianze, a 60.000 cittadini, maschi adulti in età militare, durante il V secolo a. C. e di 30.000 cittadini durante il IV secolo a. C. Oltre a questo gruppo erano presenti i cittadini maschi non ancora in età militare, le donne, i meteci, gli stranieri che vivevano in Attica, e gli schiavi. Secondo lo storico Hansen possiamo stimare nel IV secolo a. C. una popolazione cittadina totale, uomini, donne e bambini, di 100.000 unità; il censimento di Demetrio Falereo, che si colloca tra il 317 e il 307 a. C., riporta inoltre il numero di 10.000 meteci in Attica ma che se questo numero considera solo gli uomini vali per l’arte militare possiamo stimare un numero complessivo di forse quattro volte superiore.

Riguardo alla popolazione servile il problema si complica. Lo stesso censimento di Demetrio Falereo riporta il numero di 400.000 schiavi (uomini, donne e bambini). A essere critici si può affermare che questo dato non rispecchiava la realtà ma la percezione che gli Ateniesi avevano del numero degli schiavi: non conoscendo il numero reale della popolazione servile ma percepivano in ogni caso l’entità di tale fenomeno. Hansen, usando come fonte le considerazioni del politico del IV secolo a. C. Iperide, ipotizza il numero di 150.000 schiavi (maschi adulti). Anche questo dato non deve essere preso come un valore assoluto ma che in certi periodi questo numero poteva aumentare a diversamente in altri periodi poteva diminuire[1].

Il Mediterraneo romano del II a. C.

Possiamo dire sommariamente che dopo la seconda guerra punica (218-202 a. C.) la Repubblica romana si lanciò alla conquista del Mediterraneo. Tutto ciò modificò radicalmente la realtà sociale romana, in particolare si verificò la crisi della piccola-media proprietà terriera, la polarizzazione politica tra populares e optimates, l’incremento del mercato schiavile causato da quasi un secolo di guerra ed espansione imperiale. Non è un caso se in questo secolo si verificarono le rivolte servili.

La Prima si verificò tra il 140-132 a. C. in Sicilia, una provincia romana che era il cuore dei grandi latifondisti romani. Ad Enna, Euro, un ex-schiavo siriaco che assunse la carica regale con il nome di Antioco, instaurò un proprio regno assoggettando come schiavi gli ex-padroni arrivando a battere una propria moneta. Questo aspetto mette in luce come il paradigma della schiavitù fosse presente nell’orizzonte culturale anche degli stessi schiavi e come le rivolte servili non siano state una lotta di classe tra il “proletario antico” contro i padroni romani”.

La Seconda si accese nuovamente in Sicilia tra il 104-100 a. C. Nuovamente Salvio, un ex-schiavo cilicio, si proclamò re e nel 102 a. C. Atenione gli successe al trono. A differenza dalla prima questa seconda rivolta si estese nel Mediterraneo arrivando nel 103 a. C. alle miniere del Laurio nei pressi di Atene e in altri luoghi di grande concentrazione di popolazione servile come a Delo[2].

Dopo la Guerra Sociale del 91-88 a. C., un evento complesso che è stato sia una volontà da parte di alcuni socii di accedere ai privilegi della cittadinanza sia il tentativo di altri alleati, come i Sanniti, di un’autentica rivincita egemonica sulla penisola, La Terza Guerra Servile, conosciuta come la Rivolta di Spartaco, avvenne tra il 73-71 a. C. Questo evento, che vide tra le file schiavi rivoltati anche uomini liberi appartenenti al mondo italico del sud del Appenino da sempre avversi alla pressione romana, non può essere considerato come una lotta del proletario antico anche se la contrapposizione tra Spartaco e Marco Licinio Crasso, il romano più ricco del suo tempo, è estremamente affasciante. Inoltre, come si era già verificato precedentemente, anche in questo caso è stato tentato, ma non compiuto, un tentativo di creare un dominio di un re ex-schiavo in Sicilia[3].

Fonti antiche sulla schiavitù

Le fonti antiche che ci parlano non sono particolarmente prospere e loquaci, per giunta divido il dibattito tra gli storici riguardo ai numeri che si possono ricavare. Per farci un’idea possiamo interrogarci sulla condizione umana nelle miniere del Laurio attraverso la Vita di Nicia e Crasso di Plutarco; secondo Luciano Canfora tracce dell’interesse di Posidonio, nel descrivere come gli schiavi fossero tenuti a vivere giorno e notte incatenati nelle miniere, si possono ritrovare in Diodoro; Lucrezio oltre a descrivere le sofferenze fisichi di chi lavorare nel sottosuolo delle miniere della Tracia[4].

Per dare un elemento quantitativo, e non solo qualitativo, il censimento che il tiranno Demetrio Falereo, in quale governo su Atene dal 317 al 307 a. C., riporta una cittadinanza, cioè di maschi adulti in età militare aventi entrambi i genitori ateniesi, di 30.000 unità; diversamente il numero degli schiavi è attesta a 400.000. Seppur grande un numero di 450.000 schiavi che passavano dall’isola di Egina è attestato nel VI libro dei Deipnosofisti di Ateneo[5].

Fonti generali (manuali di riferimento)

Manuale di Storia Romana

GERACI, G., MARCONE, A., Storia Romana, Mondadori Education S. p. A., Milano 2017.

Manuale di Storia delle Letteratura Greca

CANFORA, L., Storia della letteratura greca, Editori Laterza, Roma-Bari 2013.

Bibliografia

HANSEN M. H., La democrazia ateniese nel IV secolo a. C, LED Edizioni Universitarie, Milano 2003.

 Sitografia

Riassunti di Storia: Riassunti di Storia – YouTube


[1] HANSEN M. H., La democrazia ateniese nel IV secolo a. C, LED Edizioni Universitarie, Milano 2003, pp. 139-144.

[2] Diod. XXXIV, 2, 19.

[3] GERACI, G., MARCONE, A., Storia Romana, Mondadori Education S. p. A., Milano 2017, pp. 193-211.

[4] Plut. Nicia e Crasso., 1; Diod. III, 12-14,5 e V, 35-38; Lucretius. VI, 808-815.

[5] CANFORA, L., Storia della letteratura greca, Editori Laterza, Roma-Bari 2013, pp. 631-636.

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