La Repubblica Popolare Cinese: genesi di una cultura strategica – quarta parte. La Cina in mare.

Ogni due anni le autorità cinesi pubblicano un “Libro Bianco della Difesa” che indica gli obiettivi strategici ai quali lo strumento militare della Repubblica Popolare si orienta[1] – o almeno, quanto di questi orientamenti i Cinesi desiderino il mondo conosca. L’ultimo in ordine cronologico è del 2019 (“Libro bianco sulla difesa nazionale nella nuova era”), e parla chiaramente della necessità di difendere gli interessi cinesi nel mondo intero[2]. La Cina si pensa ormai come potenza globale, pur dichiarando di non avere alcun desiderio di ritagliarsi una sfera di influenza ma di agire sempre in un’ottica difensiva. In ogni caso, non c’è strumento di proiezione di potenza che non passi dal mare, e questo vale in particolar modo per una paese che dipende dal mare per le esportazioni e le importazioni e che dal mare vede arrivare la potenziale minaccia americana stratificata in tre livelli: gli immediati alleati degli USA (Taiwan, il Giappone e la Repubblica di Corea), quindi la base americana di Guam e le basi galleggianti, ovverosia le portaerei a stelle e strisce, e in terzo luogo la seconda fascia di alleati americani dall’Indonesia alle Filippine all’Australia, in grado di controllare ogni passaggio dall’Oceano Pacifico a quello Indiano. Sia chiaro: gli americani non hanno una forza sufficiente per invadere la Cina né possono schierarla nell’immediato in quell’area; essi hanno però la capacità di limitarne e pregiudicarne l’accesso ai mari. Il secondo punto sul quale occorre fare chiarezza è il seguente: oggi la Cina non è in grado di sfidare direttamente gli USA, e nemmeno può esserlo in un futuro di breve o medio termine.

L’aviazione

La forza area cinese è sulla carta la terza al mondo per numero di velivoli (più di 3200 aeromobili, staccando di gran lunga quelle europee)[3], ma il livello tecnologico della medesima, specie per quanto riguarda i motori[4] (la parte più complessa del velivolo) e forse anche l’avionica, è di gran lunga inferiore non solo a quello russo e americano, ma anche a quello dei grandi paesi europei. Né deve impressionare la capacità cinese di costruire aerei “stealth”: quanti? e quanto efficaci? Le forze aeree cinesi devono ancora importare dalla Russia il meglio dei propri aeroplani. Un livello quantitativo impressionante delle truppe di terra – con livelli qualitativi discontinui – si accompagna ad un limite nelle capacità navali e di sbarco; come proiettare quindi una forza concepita per decenni per la pura difesa? La debolezza della Cina è sul mare: essa dispone di due portaerei (la Liaoning, praticamente una “nave prova”, e la Shandong), una delle quali è una vecchia nave sovietica riadattata, mentre l’altra è stata prodotta localmente basandosi sulla prima. Presto dovrebbe partire la costruzione di altre due portaerei nazionali, anch’esse a propulsione convenzionale. Mastodontici piani per dotarsi di grandi, complesse e costose portaerei nucleari sembrano sempre più evanescenti e lontani dalle capacità industriali cinesi[5].

La scarsa produzione

Questo è il primo punto dolente: la Cina non ha ancora le capacità per produrre armamenti di qualità tale[6] da competere, fuori dai mercati dei paesi africani e asiatici più poveri (nei quali però non mancano problemi con la scarsa affidabilità e robustezza dei prodotti “made in China”), non solo con quelli occidentali ma anche con quelli russi. In quest’ottica, gli allarmismi da parte americana per l’espansione della spesa militare – e militare marittima – cinese hanno un solo senso: quello della “costruzione del nemico”. Ciò va anche oltre la valutazione del dato quantitativo: la Cina sto potenziando la propria flotta di mezzi da sbarco[7], ma non ha alcuna esperienza di operazioni anfibie (meno ancora quindi di quanta ne abbia per le operazioni terrestri e navali “pure”, avendo combattuto l’ultima vera guerra nel 1979, contro il Vietnam). Anche solo un’operazione di riconquista di Taiwan sarebbe un azzardo. In definitiva, vi è un macroscopico problema a monte: come non abbiamo mancato di sottolineare, la programmazione militare cinese pensa in termini interforze forse solo da un trentennio (il primo accenno alla “necessità di combattere per terra e per mare” è nella dottrina del 1985[8]) e si sta indirizzando verso la costruzione di un efficace strumento marittimo moderno da meno ancora. Già dai primi albori del pensiero marittimo cinese moderno (che comunque era arrivato a concepire la necessitò non solo di dotarsi di difese costiere ma anche di una flotta in grado di affrontare i Giapponesi in mare aperto) in quel XIX secolo “delle umiliazioni”, la capacità navale cinese si era dovuta confrontare coi limiti industriali e finanziari e con la rivalità delle forze terrestri[9].

La strategia

L’enfasi cinese attuale rimane non sull’attacco, bensì sull’interdizione nei confronti delle attività nemiche mediante missili antinave, attacchi ai satelliti e creazione di bolle “Anti-Access / Area-Denial” antinave e antiaeree, nelle quali gli Stati Uniti non possano operare liberamente con la propria flotta e i propri mezzi aerei (ciò è perfettamente coerente con la cultura cinese dello scontro asimmetrico, del colpire il nemico qualora questo si sia avventurato inopinatamente in territorio ostile, e del portare comunque la prima linea di difesa proprio sulla costa). Il dibattito sulle reali capacità “Anti-Access / Area-Denial” cinesi, o sull’esistenza stessa di una simile dottrina, nonché sulla natura di difesa “statica” o “attiva” delle coste cinesi (personalmente, propendiamo per la seconda ipotesi) è aperto[10]; ma è l’asimmetricità degli strumenti cinesi che oggi occorre sottolineare. Per quanto tale asimmetricità riveli la concezione cinese difensiva dell’uso della forza, il mondo spera di non dover mai sperimentare le capacità radar ed elettroniche cinesi di identificare ed ingaggiare una flotta aerea e navale americana (capacità sulla quale gli stessi americani hanno dei dubbi), fino a colpire e affondare le portaerei con missili da terra[11] (capacità invece già nelle disponibilità della Repubblica Popolare).


[1] Bert Chapman, Military Doctrine. A reference handbook, Praeger Security Company, 2009. Qui l’ultimo documento del 2019, State Council Information Office of the People’s Republic of China , Full Text: China’s National Defense in the New Era, www.xinhuanet.com

[2] Giovanni B. Andornino, Cina. Prospettive di un paese in trasformazione, Il Mulino, 2021

[3] Maurizio Sparacino, FlightGlobal: la Russia schiera la seconda forza aerea del mondo, www.analisidifesa.it, 29 Gennaio 2020.

[4] Andrea e Mauro Gilli, Why China Has Not Caught Up Yet, International Security, Vol. 43, No. 3 2019.

[5] Minnie Chan, Chinese navy set to build fourth aircraft carrier, but plans for a more advanced ship are put on hold, www.scmp.com, 28 Novembre 2019.

[6] Andrea e Mauro Gilli, op. cit.

[7] E, utile ripeterlo, sta investendo sul potenziamento della fanteria di marina: “China now has between 25,000 and 35,000 marines, according to U.S. and Japanese military estimates. That’s a sharp increase from about 10,000 in 2017” come riporta David Lague in China expands its amphibious forces in challenge to U.S. supremacy beyond Asia, www.reuters.com, 20 Luglio 2020. L’articolo contiene molte informazioni interessanti ma chi scrive dissente ampiamente con la visione di una Cina con ambizioni militari globali, almeno nel quadro globale.

[8] Simone Dossi, Rotte Cinesi. Teatri marittimi e dottrina militare, Università Bocconi Editore, 2014.

[9] Ju Hailong, Alle origini del pensiero navale cinese, in Limes, Rivista italiana di geopolitica, n.7 2019, Gerarchia delle Onde.

[10] Dibattito magistralmente riassunto da J. Michael Dahm, Beyond “conventional wisdom”: evaluating the PLA’s South China sea bases in operational context, ww.warontherocks.com, 17 Marzo 2020. Le isole artificiali costruite dai Cinesi nel loro mare servono ad estendere “bolle” Anti-Access/Area Denial o servono a guadagnare profondità in un mare percepito come territorio ostile? L’autore dello studio riassume le differenti posizioni ma asserisce: “The Chinese are not in a defensive crouch waiting to be attacked in the South China Sea. PLA informationized warfare strategies and operational concepts comport with the Chinese concept of “active defense” — being strategically defensive while operationally offensive. U.S. military planners have unilaterally labeled Chinese military capabilities as “anti-access/area denial” capabilities.  This label has produced a myth that the PLA actually has a defensive “anti-access/area denial” strategy or a “counter-intervention” strategy. Certainly, China has plans to employ substantial military capabilities to thwart a U.S. military intervention. However, the Chinese military, like its U.S. counterpart, prefers to seize the operational initiative and execute offensive operations.

[11] La più completa analisi in merito, fino al dettaglio tattico degli armamenti, è contenuta in Gerry Doyle, Blake Herzinger, Carrier Killer. China’s Anti-Ship Ballistic Missiles and Theater of Operations in the early 21st Century, Helion Company, 2022

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