La Repubblica Popolare Cinese: genesi di una cultura strategica – terza parte. Da Mao a Xi Jinping: le dottrine militari della Repubblica Popolare

Dopo secoli di chiusura al mondo, l’Impero cinese venne costretto per tutto il XIX secolo a confrontarsi non solo con le cannoniere delle potenze coloniali europee (Gran Bretagna in primis), ma anche con i sempre maggiori appetiti del Giappone imperiale. Si presentò all’appuntamento con uno strumento militare arretrato in termini sia organizzativi e dottrinari che tecnologici, e dovette intraprendere, sotto il peso umano, politico, morale e finanziario di continue sconfitte una mastodontica opera di modernizzazione, contrastata sul fronte interno dagli ambienti più reazionari della corte imperiale e dell’aristocrazia. Iniziò per la Cina un periodo di continue umiliazioni, che ha segnato pesantemente la memoria storica e l’orgoglio nazionale di un popolo fiero e patriottico: una delle fonti di legittimazione del Partito Comunista agli occhi dei Cinesi è proprio la qualifica – sin qui onorata – di vindice dell’indipendenza nazionale e della lotta tanto contro l’invasore straniero (giapponese o britannico che fosse) quanto contro il nemico interno (identificato ora nella vecchia aristocrazia e borghesia ansiosa di fare affari con le potenze esterne, ora con i nazionalisti del Kuomintang).

Le menti tra Ottocento e Novecento

Non mancavano infatti nell’epoca che va dagli ultimi decenni dell’Ottocento ai primi del Novecento – sia tra i funzionari più autenticamente patriottici sia tra i giovani intellettuali rivoluzionari nutriti delle idee occidentali di nazionalismo e di socialismo – menti lucide in grado di rendersi conto della drammatica situazione di un paese invaso, impoverito, in ritardo rispetto al progresso tecnico e sociale del mondo avanzato. La vittoria della guerriglia cinese contro l’invasore giapponese nel pluridecennale conflitto sovrappostosi alla Seconda Guerra Mondiale, e quindi la vittoria dei comunisti contro i nazionalisti (cui seguirono le riannessioni del Tibet e del Xinjiang) inaugurarono una stagione di rinnovata unità nazionale e di sviluppo industriale (dapprima con assistenza sovietica, quindi in modo autarchico). La costante era chiara: mai più la Cina si sarebbe prestata alla subordinazione verso altre potenze, fossero anche la virtualmente amica URSS (con la quale essa condivideva una base ideologica) o l’alleato di fatto americano (nella finestra che va dall’apertura kissingeriana alla Cina fino al rinnovato isolamento imposto al paese dopo i fatti di Tien An Men). Che si tratti di difendere l’appartenenza cinese del Tibet, l’unità della nazione attorno al Partito, il legame di Hong Kong con la Madrepatria, nemmeno per un secondo la Repubblica Popolare Cinese è disposta a cedere sulla propria sovranità.

La divisione territoriale cinese

Non si tratta (solo) di una forma di nazionalismo come lo intendiamo in Occidente, ma della consapevolezza del fatto che le sfortune della Cina sono derivate dalla divisione territoriale e dall’ingerenza straniera nei suoi affari interni. È in questa filigrana che possiamo e dobbiamo leggere il mutare – anche profondo – delle dottrine militari cinesi nel corso della storia contemporanea del paese. Unificata la Cina sotto il governo comunista, la definizione della dottrina militare divenne un affare politico oltre che squisitamente tecnico, a sottolineare la sottomissione dell’Armata Popolare di Liberazione al Partito e del militare al politico. Non è corretto interpretare l’interesse e la spiccata sensibilità cinese al conflitto asimmetrico alla luce di un appiattimento sulla guerriglia; fu lo stesso Mao a teorizzare la necessità di passare dalla guerra di guerriglia al conflitto convenzionale, qualora le proprie forze e lo scenario bellico lo avessero permesso. Le radici del pensiero maoista – in armonia, come abbiamo notato, con l’antico pensiero strategico cinese – sono da ricercarsi non tanto nella guerriglia in sé (uno strumento, una tattica), ma in una strategia complessiva di difesa della patria mediante l’unità tra popolo e struttura politica. Il popolo è l’ambiente nel quale il guerrigliero e il rivoluzionario devono muoversi come un pesce nell’acqua[1]; ma l’alta mobilità delle truppe rivoluzionarie (che devono concentrarsi per attacchi a sorpresa per poi tornare a disperdersi, mantenendo sempre l’iniziativa) deve sempre essere il preludio al momento di svolta in cui, acquisita sufficiente forza e consistenza e vinti i cuori e le menti del popolo, si passa all’offensiva convenzionale e alla presa del potere “en masse”.

La nascita della Repubblica Popolare

Proprio così nasce la Repubblica Popolare al termine della guerra civile nel 1949. Le successive dottrine militari cinesi[2] sono il riflesso tanto degli equilibri interni al partito, quanto dell’identificazione dei nemici esterni dai quali bisogna difendersi: l’autorità politica, come avviene nei paesi socialisti, ha una spiccata voce in capitolo nella definizione delle dottrine, affinché la dimensione militare e quella politico-strategica si completino. La nuova dottrina del 1956 (“Difesa strategica” o “avanzata”) vedeva negli Stati Uniti il nemico principale e poneva l’accento su una difesa dei confini terrestri e costieri della madrepatria (secondo la lezione della recente guerra coreana); nel frattempo procedeva a tappe forzate la concentrazione delle industrie strategiche nell’entroterra. Come fu Mao la mente ispiratrice della dottrina del ’56, fu Mao l’artefice di quella del ’64, che ritornava al concetto di difesa in profondità, mobile e di guerriglia. Erano anni complessi, nel corso dei quali il Grande Timoniere cercava di tenere saldo il controllo del partito e puntava ad un ritorno alle origini, alla purezza ideologica degli anni della lotta antigiapponese: la guerriglia e la difesa in profondità (attraendo l’invasore nell’entroterra) implicano una solidarietà totale tra popolo, partito e forze armate. Intanto il percorso di allontanamento della Cina dall’URSS si accompagnava al progressivo riavvicinamento tra Repubblica Popolare e Stati Uniti: con l’URSS nuovo nemico, la dottrina del 1980 (“Difesa attiva”) ritorna alla difesa avanzata in chiave antirussa, integrata però con limitate dosi di guerra di mobilità.

La Cina nella contemporaneità

È nel 1993 che il pensiero dottrinario cinese compie il definitivo ingresso nella contemporaneità, non solo uscendo dalla logica dello scontro fra grandi potenze, ma iniziando quel lento percorso che porterà a non vedere più l’esercito di terra come l’unico fulcro della strategia militare: con la dottrina dei “Conflitti locali in condizioni di alta tecnologia” inizia a farsi strada la ricezione della Rivoluzione negli Affari Militari, delle operazioni interforze, dell’alta tecnologia rispetto alla manovra. Le operazioni interforze comportano l’attribuzione di un peso maggiore alle componenti aerea e navale; si tratta un passaggio non banale per una potenza che, con Deng Xiaoping, ha ribadito il desiderio di voler coltivare nell’ombra la propria crescita. Significa che la Cina mira ad essere più assertiva o più aggressiva, pur dissimulandolo? Ad una riduzione degli organici militari in chiave di maggiore efficienza si accompagnano grandi investimenti in tecnologie e negli strumenti aerei e marittimi (l’esercito di terra non è più il sovrano indiscusso, si pensi alla sostanziale espansione del corpo dei marines cinesi[3] in controtendenza rispetto alla complessiva razionalizzazione delle forze armate della Repubblica Popolare); alla vecchia cultura asimmetrica si accompagna l’ingresso nel pensiero militare moderno. Il pensiero militare cinese dimostra senz’altro di essere flessibile e di sapersi adattare ai tempi che cambiano: lo “Schema delle operazioni congiunte dell’Esercito Popolare Cinese di Liberazione” appena licenziato nel 2020 dalla Commissione Militare Centrale, stando ai riassunti stampa[4], enfatizza la necessità di un approccio sempre più interforze.

Amedeo Maddaluno


[1] Gastone Breccia, L’arte della guerriglia, Il Mulino, 2013.

[2] Che ci è possibile ricostruire e ricavare: si veda Taylor Fravel, Active Defense. China’s military strategy since 1949, Princeton University Press, 2019.

[3] Francesco Palmas, L’ascesa delle forze anfibie cinesi preoccupa Taiwan, www.analisidifesa.it, 8 Ottobre 2020 e Franco Iacch, La Cina quintuplica la sua forza armata anfibia, www.ilgiornale.it, 27 Marzo 2017

[4] Giorgio Cuscito, La Cina studia la luna per dominare lo spazio, www.limesonline.com, 4 Dicembre 2020 e Zhao Lei, Top Military Organ Issues Guidelines, www.chinadaily.com.cn, 14 Novembre 2020,  

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