La nuova condotta delle guerre.
Nell’estate del 2014 papa Francesco parlò di una Terza guerra mondiale. I conflitti di cui siamo testimoni oggi ricordano delle guerre premoderne perché non condotte da eserciti regolari, ma da signori della guerra, terroristi, miliziani e mercenari. L’obiettivo è semplicemente una conquista territoriale al fine di garantirsi risorse e soggiogare al proprio volere intere popolazioni. Una guerra di “vecchio stampo” come quelle conosciute nel corso del ‘900 non si replicherà, perché l’obiettivo non è creare nuove autorità statali o almeno non intese nel senso classico del termine. L’assordante realtà che si delinea è che le vittime principali di questi contrasti sono e saranno i civili. Le statistiche riportate dalle principali organizzazioni umanitarie narrano un’escalation del numero di vittime negli ultimi anni.
I casi eccellenti
Come casi eccellenti a testimonianza di quanto la globalizzazione abbia confuso gli stessi popoli potrebbero essere citati la Siria, l’Iraq e la Libia; infatti la stabilità stessa di molti regimi autoritari è stata compromessa e ciò ha condotto ad una scarsa coscienza politica e delle proprie condizioni. Le varie situazioni in cui si è creato un vuoto di potere in Nord Africa e Medioriente non hanno condotto a scontri finalizzati alla conquista di un potere vacante, ma alla presa di un territorio a fini di sfruttamento. Il caos generato da questi scontri è confacente alle esigenze in quanto l’anarchia è il territorio più fertile per la messa in atto di soprusi. Il crollo di uno Stato è solo l’ultimo passo di un processo ormai a compimento ed è un fenomeno che si manifesta principalmente per cause economiche.
Le nuove potenze
La globalizzazione ha sbilanciato in modo assoluto gli equilibri finanziari di tutto il mondo: sono emersi nuovi stati potenti, come il Brasile e la Cina, ma ha segnato la fine di molti stati africani. A conferma di ciò che sostengo è interessante notare come uno stato non democratico a carattere comunista sia proprio quello che trova maggior profitto dalla crisi: gli investimenti cinesi, soprattutto nelle infrastrutture di base, dimostrano uno squilibrio che mai si sarebbe potuto verificare nella storia. Il concetto di pauperizzazione è particolarmente calzante, invece, se si pensa all’Iraq. Decenni di sanzioni economiche, occupazione straniera e scarsa attenzione alle esigenze sociali hanno trasformato lo stato a tal punto da non essere più quello con il più alto tasso di scolarizzazione nella zona, ma uno di quelli in cui le condizioni delle donne sono maggiormente incerte. Si può assumere quindi che il micidiale mix venutosi a creare tra povertà, globalizzazione ed ignoranza abbia scatenato tali insicurezze nelle popolazioni coinvolte da accettare ciecamente la panacea di tutti i mali: guerre etnico-religiose fratricide e spesso autolesionistiche.
Le guerre premoderne
Un ulteriore aspetto caratterizzante queste guerre premoderne è la violenza spettacolarizzata con l’uso sapiente dei principali canali di informazione. Proprio questo ultimo dato dovrebbe inquietarci: abbiamo già visto quanto possa essere magnetica la violenza virale e, dopo l’esperienza dello Stato Islamico, ho il legittimo sospetto che in Afghanistan il palco “oscenico” sia pronto e che i Talebani siano rinati e rinvigoriti dopo 20 lunghi anni in cui hanno aspettato e progettato questo momento. L’11 settembre di ogni anno futuro sarà il momento della loro rivincita agli occhi del mondo.