Fortificazioni permanenti e campali nella guerra d’indipendenza americana

La guerra d’indipendenza americana si svolse tra il 1775 e il 1781 e portò come principale risultato alla nascita degli Stati Uniti quale nazione indipendente dalla Gran Bretagna, con i trattati di Versailles del 1783. Questo conflitto inizialmente fu circoscritto ai territori delle originarie 13 colonie americane, ma poi con l’alleanza tra rivoltosi e Francia e in seguito con Spagna e Paesi Bassi, gli scontri assunsero un carattere d’internazionalità. Va premesso che il modo di combattere nel Nuovo Continente era per certi aspetti diverso rispetto allo stile europeo, già questo fatto si era potuto notare qualche anno prima nella guerra cosiddetta “franco-indiana”, appendice d’oltreoceano della sanguinosa “guerra dei sette anni”. Nelle regioni nordamericane ci si batteva in maniera più brutale, con scorribande di rappresaglia tra i vari nemici ed era stata mutuata dagli indiani la tattica della guerriglia. Ciò in quanto la folta vegetazione e le vie di comunicazione precarie per i traini logistici, in un territorio ancora inesplorato, rendevano impossibili gli spiegamenti di grandi eserciti in linea come si faceva secondo i canoni del Vecchio Continente. Nella guerra d’indipendenza però la guerriglia fu utilizzata solo in parte dagli americani, soprattutto nelle zone di frontiera di allora (le regioni oltre la catena montuosa degli Appallachi) e nelle colonie meridionali occupate dagli inglesi (Georgia, Sud-Carolina e Nord-Carolina) negli ultimi anni di scontri. Washington[1] infatti preferiva combattere all’europea con scontri campali tradizionali, secondo il suo spirito aristocratico, non perché non conoscesse l’utilità della guerriglia indiana[2], ma probabilmente per dimostrare la capacità della nuova nazione americana e del suo esercito di confrontarsi con gli inglesi come le altre potenze mondiali. Tra le file dei continentali vi erano inoltre vari ufficiali volontari provenienti dall’Europa che erano abituati a combattere secondo i dettami classici delle scuole militari. Tuttavia rispetto alle armate dell’Ancien Régime contemporanee, nelle colonie gli eserciti erano più esigui, composti da meno uomini, ciò comportava una maggiore mobilità di manovra anche se grandi rimanevano le difficoltà di movimento vista la conformazione del terreno e la mancanza di carte geografiche[3]. La logistica era comunque importante come l’utilizzo di numerosi magazzini per stoccare i beni di necessità per i soldati, gli americani in questo ebbero sempre grosse difficoltà che ne condizionarono anche il rendimento in battaglia.

 In quel tempo la fanteria sul campo di battaglia si disponeva in linea a poche decine di metri dall’avversario e poi sparava un numero variabile di scariche, venivano formate due file di soldati in modo da alternarsi nelle operazioni di ricarica e fuoco. Nel XVIII secolo si usavano fucili monocolpo con canna ad anima liscia, ad avancarica con innesco a pietra focaia che sparavano palle uniche o pallini, tali strumenti come si scriverà tra poco, erano poco precisi, per cui l’obbiettivo dei comandanti era quello di mantenere i propri uomini uniti e allineati per formare una massa di fuoco che creasse al nemico più danni possibile. Nel conflitto Nord-americano da ambo le parti si utilizzarono anche reparti di fanteria cosiddetta “leggera”, ovvero meglio addestrata che non combatteva a ranghi serrati ma in maniera sparpagliata secondo tattiche più consone alla battaglia nei boschi. All’inizio le unità di fanteria dei coloni avevano nelle proprie fila di “fanti leggeri” delle squadre di tiratori scelti che venivano impiegati per appostamenti e ricognizioni, erano importanti anche per colpire da lunga distanza gli ufficiali britannici, privando così l’avversario della guida sul campo. Tali tiratori scelti erano armati con fucili con una canna molto lunga e rigata al suo interno, per avere più precisione e potenza nel tiro rispetto ai moschetti normali[4], questo però a fronte di un maggior tempo necessario per il caricamento (le pallottole avevano anche un calibro minore di quelle dei fucili ordinari ad anima liscia) e dell’impossibilità di utilizzare la baionetta; era quindi consigliabile sparare da lontano per poi allontanarsi in fretta dalle “giubbe rosse”.

Visti i tremendi effetti di questi cecchini anche i britannici cominciarono ad utilizzarli nelle loro compagnie.

 Nella rivoluzione americana l’utilizzo della cavalleria fu molto ridotto a causa dei costi per l’acquisto ed il mantenimento delle cavalcature, questo soprattutto per gli americani, sempre in difficoltà finanziarie, mentre per gli inglesi vi erano problemi per trasportare in salute i cavalli dalla madrepatria e anche per acquistarli nel Nuovo Continente da commercianti onesti.

 Nelle grandi battaglie i cavalieri furono confinati a ruoli di retroguardia o di copertura; mentre negli scontri avvenuti durante gli ultimi due anni di guerra nelle regioni del Sud, le unità di cavalleria lealista con le loro scorribande furono molto efficaci nel seminare il terrore e grosse perdite ai patrioti. Nella vittoria di Cowpens nel 1781 però la cavalleria americana finalmente si prese la sua rivincita contro i razziatori nemici con una carica risolutiva del 17h reggimento dragoni leggeri. L’utilizzo dei reparti montati in America fu in genere diverso rispetto a quello che si faceva in Europa, non venivano usati per cariche all’arma bianca[5], quanto piuttosto come fanteria montata che si spostava con grande velocità sul territorio per poi combattere appiedata con le carabine (come delle moderne truppe aviotrasportate, tale innovazione tattica sarà usata ottant’anni dopo anche nella guerra di secessione).

Le armi pesanti avevano una limitata gittata e potenza di penetrazione rispetto alle future armi a canna rigata, di conseguenza durante gli assedi alle fortezze i cannoni dovevano essere avanzati a ridosso il più possibile delle mura (qualche centinaio di metri). Per la scarsità di potenza e per l’eccessiva vulnerabilità delle batterie alle cariche all’arma bianca, l’artiglieria nella prima metà XVIII secolo era poco considerata. Proprio negli ultimi decenni del ‘700 però, i vari governi delle maggiori potenze iniziarono un processo di miglioramento di questa branca e ad addestrare professionalmente il personale. Non venivano più reclutati civili per il trasporto di pezzi ma si usavano militari appositamente addestrati che si potevano avvicinare di più al bersaglio. La tecnica poi diede la possibilità di costruire cannoni più leggeri e che sparavano con minor consumo di polvere, mentre i pesanti affusti furono sostituiti da avantreni e carriaggi che venivano trascinati dai cavalli durante gli scontri (la cosiddetta artiglieria a cavallo). Per l’artiglieria cominciava a delinearsi un ruolo di maggiore importanza in guerra con cannoni raggruppati in batterie da 4, 6 o 8 elementi che si potevano muovere a piacimento sul campo, essa da mero strumento ausiliario cominciava ad essere decisiva anche per l’attacco, raggiungendo con Napoleone la sua consacrazione.

Il problema della poca potenza delle bocche da fuoco derivava sempre dalla canna liscia, la quale non permetteva una piena aderenza del proietto alla canna stessa e vi era una notevole dispersione dei gas dello scoppio. Questi fatti implicavano l’imprecisione dei colpi, poiché la direzione della palla era quella data dall’ultimo rimbalzo all’interno della canna, oltre alla limitata gittata. In particolare a quel tempo l’artiglieria inglese, (poi anche quella dei rivoltosi che per tanti aspetti organizzativi presero spunto proprio dai loro nemici) era divisa in tre categorie: quella d’assedio, quella da fortificazione per essere piazzata sugli spalti dei forti (venivano utilizzati soprattutto i cannoni delle navi spostati a terra) e quella da campo, quest’ultima era di calibro minore per essere trasportata più facilmente e utilizzava affusti con ruote. I proiettili che venivano sparati da questi pezzi erano sia le palle piene, scagliate contro le mura o contro le batterie nemiche, sia quelle cave con all’interno polvere da sparo da sola o con pallini, che esplodevano in volo grazie a una miccia inserita nel guscio (granate esplodenti). Inoltre per respingere gli attacchi della fanteria, i cannonieri utilizzavano i cosiddetti canister, ovvero cartocci a mitraglia che producevano ampie rosate di schegge e proiettili a breve distanza. Le palle piene potevano essere sparate a circa 800 metri, mentre molto minore era la gittata utile per gli altri tipi di proietti. Sia americani che inglesi usavano pure i mortai per i tiri a parabola e anche gli obici che producevano un tiro arcuato, oltre ai cannoni classici che potevano sparare traiettorie rettilinee anche ad alzo zero. In particolare il generale Knox, responsabile dell’artiglieria dell’esercito continentale di Washington, prescriveva che tutti i serventi facessero a turno nel manovrare i vari pezzi, in modo che poi al momento del bisogno fossero in grado di gestire tutti i tipi di cannoni. In questa maniera i coloni in breve tempo riuscirono ad avere una qualità dell’artiglieria pari a quella dei britannici, seppure rimanendo inferiore cronicamente per ciò che riguarda la quantità. Con l’arrivo degli aiuti francesi nel 1778 questo gap si ridusse ulteriormente grazie anche al sistema di traino e trasporto sul campo delle bocche da fuoco, ideato dal transalpino Gribeauval.

A livello strategico anche nella guerra d’indipendenza le grandi città erano degli obbiettivi fondamentali per entrambi i contendenti, per questo numerose furono le battaglie per il possesso di queste (come Boston o New York o Philadelphia) e vi furono assedi con modalità all’europea[6]; le tecniche di difesa degli abitati rivestirono pertanto grande importanza nelle operazioni militari di allora[7]. Il ruolo delle fortificazioni divenne quindi fondamentale, soprattutto quelle campali semipermanenti, perché erano non più elementi di difesa passiva di accampamenti o punti tattici, ma anche fulcri per la manovra in battaglia in campo aperto. I fortilizi in mattone già edificati dai primi coloni inglesi e francesi nei secoli XVI e XVII, erano poco diffusi rispetto all’Europa ed erano presenti sulla costa atlantica o vicino ai laghi o ai fiumi dove era più facile trasportare il materiale edile necessario; uno di questi era Fort Ticonderoga sul lago Champlain (anche se in origine era in terra e legno).  Alcune città erano circondate da mura e bastioni, costruiti a strati nel corso degli anni senza avere però la struttura di una vera cittadella (vedi Québec ed il suo assedio di cui si dirà più tardi), altre come Montréal avevano attorno un sistema di alcuni piccoli castelli di campagna, simili a quelli dei gentiluomini di provincia delle isole britanniche. In Nord America comunque non vi erano le monumentali città-fortezze europee[8] per vari motivi. Innanzitutto come già detto, non vi era facilità di reperire e soprattutto di trasportare le materie prime come pietre, graniti e mattoni, a meno che non ci si trovasse sulla costa. Poi vi erano poche armi pesanti sul suolo americano (ad eccezione dei baluardi sull’Atlantico che potevano predisporre vari cannoni prelevati dai vascelli), per cui non vi era neppure il bisogno di articolati e robusti spalti. Per questo nelle colonie si sviluppò una particolare tecnica empirica di architettura militare, molto pragmatica, nello stile dei suoi abitanti.

A quei tempi gli insegnamenti dell’ingegnere francese Vauban erano seguiti in tutto il mondo occidentale, tanto che le fortificazioni costruite nel XVIII secolo avevano un modello comune. Tali costruzioni sono tutt’ora riconoscibili per la loro forma a stella con numerosi bastioni e lunette a punta, fossati e parapetti, oltre a diverse serie di cinta murarie. Le cittadelle del Vauban si sviluppavano in direzione orizzontale piuttosto che verso l’alto (come invece facevano le torri dei castelli medioevali) ed il loro scopo principale (a cui si deve l’utilizzo dei bastioni a ”v”) era quello di ridurre gli angoli cosiddetti “bui”, non copribili dal fuoco dei difensori della fortezza, oltre che aumentare le opportunità di fare fuoco incrociato e “d’infilata”[9] dai bastioni. Le mura tra l’altro erano più massicce a confronto dei secoli passati per resistere ai colpi della moderna artiglieria.

 Nel Nuovo Mondo la maggior parte delle città erano protette solo da batterie raggruppate nelle posizioni strategiche, come le porte d’ingresso o le rive di un corso d’acqua adiacente. Altri centri urbani, ma soprattutto i forti di frontiera, erano difesi da strutture costruite con mura particolari: venivano predisposte delle paratie in legno con travetti sovrapposti e incastrati, poi riempite con terra, in modo da costituire un muro di cinta. Queste opere avevano la loro solidità anche se era minore rispetto a quelle in pietra, infatti reggevano bene all’interno di foreste o zone impervie perché per gli eventuali nemici sarebbe risultato impossibile portare pezzi d’assedio che con un fitto bombardamento avrebbero presto distrutto gli spalti. Ad un primo sguardo da lontano, questi grossi argini potevano anche sembrare in muratura dato che come forma nulla cambiava rispetto a quelli di mattoni, a rivelare lo spettatore però era l’erba che spuntava dalla “imbottitura” in terra e che ricopriva tutto. Queste costruzioni erano tipiche delle piazzeforti della frontiera americana; esse garantivano un ottimo riparo per i difensori e sopra di esse si potevano piazzare nelle merlature le pesanti artiglierie. Unico inconveniente era che, data la larghezza degli spalti, i difensori che sparavo con il moschetto non riuscivano a far fuoco verso l’avversario che fosse giunto fin sotto al muro, per cui dovevano esporsi strisciando sulla sommità o uscendo dalle feritoie per i cannoni. Un esempio famoso di forte costruito in tale maniera è Fort Stanwix ancora ben conservato nello Stato di New York[10], ma si piò ricordare anche Fort Washington a difesa del fiume Hudson[11].

Figura 1. Particolare di Fort Stanwix da una foto odierna. Si notano il fossato ed i bastioni in legno e terra con palizzate inclinate sporgenti. Questo accorgimento serviva ad impedire al nemico di arrampicarsi. Spesso infatti si usavano le canoe indiane che oltre a fornire una pronta passerella per superare il fosso, fungevano anche da scala una volta appoggiate ai bastioni. Si possono notare anche merlature per posizionare i cannoni e le torrette d’avvistamento. 

Da citare anche Fort Henry, un caposaldo inglese sul lago George, molto importante nella guerra franco-indiana, anch’esso eretto con legno e terra[12]. La struttura di queste basi militari era per lo più quadrangolare da cui potevano sporgere dei bastoni nei vertici, con una o più torrette in corrispondenza del portone d’ingresso o degli angoli.

 Alcuni acquartieramenti avevano invece forma a stella pentagonale con grandi bastioni[13] a punta ai vertici, molti avevano attorno un fossato vuoto oppure colmo d’acqua. Va ricordato anche il presidio di West Point sul fiume Hudson che era costituito da batterie di cannoni sul corso d’acqua, protette da terrapieni e mattoni alla base degli stessi per rendere più stabili le fondamenta.

Altri forti erano formati con palizzate in legno, materiale che era presente in grande quantità nell’entroterra delle colonie, che potevano riparare i soldati dai colpi dei moschetti ed erano relativamente facili da erigere. Per costruire un recinto venivano tagliati degli alberi resistenti di un certo diametro, per ricavarne dei pali appuntiti all’estremità superiore, si toglievano i rami e poi li si conficcavano in una trincea scavata nel terreno, uno accanto all’altro. La buca poi veniva ricoperta lasciando interrata la pertica per almeno mezzo metro. La parte che fuoriusciva da terra, che costituiva la palizzata visibile, poteva essere di altezza variabile: a volte raggiungeva almeno i due metri in modo da coprire i difensori che sparavano in piedi da delle feritoie ricavate nei tronchi, oppure superava anche i tre metri. In questo caso gli uomini del presidio facevano fuoco da passerelle sopraelevate in modo da avere anche il vantaggio di una visuale migliore dall’alto.

Figura 2. Quadro che rappresenta la resa inglese di Fort Sakville al colonnello Clark, durante le campagne della guerra d’indipendenza sui confini occidentali. Si può notare la struttura del forte in legno e la torretta d’angolo.

 In alcuni casi i pali potevano essere inclinati nel terreno con le punte rivolte verso il nemico; spesso nella guerra d’indipendenza venivano piantati sui terrapieni per rompere l’impeto dei fanti o dei cavalleggeri alla carica. Queste recinzioni in genere delimitavano i perimetri esterni per i forti e venivano corredate da torrette d’avvistamento, ma potevano essere altresì una prima staccionata di difesa per ridotte[14] o per altri elementi di architettura militare.

Il parapetto era un altro elemento fondamentale delle opere difensive usate in questo periodo da rivoluzionari ed inglesi; esso era costituito per lo più in terra battuta ricavata magari da scavi di trincee. Si otteneva così un terrapieno che in pratica era un piccolo argine compattato con le vanghe e sostenuto con assi, tronchi o sassi, a seconda di quello che era disponibile sul posto. Il parapetto poteva essere preceduto da un fossato ma questo solo per le opere più complesse, sul campo di battaglia al massimo venivano piantati dei pali inclinati appuntiti come si è detto prima.

 Un altro tipo di fortificazione permanente diffuso nei boschi americani, erano le cosiddette “case forti”, o “blockhouse”. Anch’esse erano quasi sempre in legno ed in pratica si trattava di capanne rinforzate di forma quadrangolare, con un camino centrale ed elevate ad un piano o anche a due (dove alloggiavano i soldati) per aumentare la capacità di osservazione. Di solito il livello superiore sporgeva rispetto a quello inferiore e aveva delle botole nel pavimento in modo da colpire i nemici che fossero riusciti ad avvicinarsi a ridosso della costruzione. Alle pareti, invece che le finestre, venivano costruite delle feritoie a forma rettangolare, che si allargavano verso l’esterno, in modo da permettere ai soldati di sparare dall’interno mirando al riparo dal fuoco nemico. Tali case a volte avevano intorno fossati o altre opere difensive come le palizzate, queste ultime potevano essere erette con tronchi attaccati uno all’altro, oppure distanziati di una decina di centimetri in modo da ostacolare l’ingresso degli avversari ma da permettere ai difensori all’interno della “blockhouse” di colpirli.

Figura 3. Foto attuale di una “blockhouse” in legno, si vedono le feritoie al primo piano, sullo sfondo un’altra “blockhouse” e un terrapieno con palizzata.

 Molto spesso queste case si trovavano all’interno di radure per avere una visuale ampia e impedire al nemico all’attacco di potersi riparare dietro agli alberi. Inoltre erano poste in posizioni strategiche lungo le strade principali, vicino ai fiumi o ai laghi (importanti per le rotte commerciali delle pellicce e dei prodotti agricoli) o nei pressi dei villaggi, ed erano predisposte per resistere ad attacchi contro postazioni isolate. Il pericolo per i difensori era che questa sorta di torrioni rudimentali non potevano resistere ai colpi d’artiglieria (peraltro come già detto sopra era poco diffusa in queste regioni) ed in caso di offensive da parte di grandi unità rischiavano di rimanere bloccati e circondati; un altro grave inconveniente era che gli indiani con le frecce incendiarie potessero appiccare il fuoco al presidio (per questo dopo le guerre franco-indiane si cercò di erigere le case-forti in mattone). Anche le blockhouse potevano far parte di un complesso difensivo più articolato tipo le ridotte, ad esempio come fecero i canadesi nella cittadina di Saint-Jean nell’autunno del 1775. In quell’epoca gli americani avevano inviato un piccolo esercito d’invasione del Canada per sollevare i vecchi abitanti di origine francese contro la corona inglese, gli obbiettivi erano le città maggiori quali Montréal e Québec. Lungo la strada però i rivoltosi si trovarono di fronte le difese di Saint-Jean, un paese lungo le rive del fiume Richelieu[15].

Figura 4. Disegno tratto dal fumetto “i pionieri del nuovo mondo” che raffigura l’assedio di Saint-Jean. La ricostruzione è approssimata in quanto le due case-forti erano più distanziate, ma può comunque dare l’idea della struttura difensiva.

Queste difese all’apparenza elementari, erano due ridotte (costituite da  blockhouse all’interno di un recinto in terrapieno e palizzate), collegate tra loro da una grande e profonda trincea preceduta da un altro steccato che fungeva anche da strada coperta[16] per l’afflusso di materiali e uomini. I coloni dopo una serie di attacchi infruttuosi dovettero cingere d’assedio l’abitato che si arrese solo con l’arrivo di vari cannoni di grosso calibro dal forte Ticonderoga, che con i loro colpi distrussero tutte le costruzioni civili e militari. Le difese di Saint-Jean fino ad allora avevano retto molto bene e grazie a loro i canadesi riuscirono a ritardare l’avanzata dei rivoluzionari verso Québec, permettendo ai cittadini di questa di prepararsi alla difesa con in più il vantaggio dell’arrivo imminente dell’inverno.

 Un altro esempio di particolare costruzione difensiva può essere considerata la residenza di Sir William Johnson, responsabile di Sua Maestà britannica dei rapporti con gli indiani. Tale abitazione era costituita da un complesso di tre corpi a ferro di cavallo (simili alle nostre corti agricole della pianura Padana) con un edificio centrale in legno (poi rivestito per simulare i mattoni, presenti solo nelle fondamenta) di tipo signorile, (la vera dimora di Johnson) e a lato altre due costruzioni in mattoni dotate di feritoie (due blockhouse), da dove i soldati in caso di attacco potevano sparare e sviluppare  così al centro del cortile un fuoco incrociato.

Figura 5. Dipinto che ritrae un convegno tra autorità inglesi e indiani nel cortile della residenza di Sir William Johnson. Si possono notare le due case-forti ai lati con al piano superiore le feritoie. Ancora oggi questa dimora è visitabile e compare in alcune scene del film “the broken chain” che racconta le vicende del capo indiano Joseph Brand.

Durante la guerra d’indipendenza però si cominciarono a diffondere altre tecniche di fortificazione anche di natura provvisoria, tra queste l’uso di piccoli terrapieni, barricate in legno e trincee. Nella prima grande battaglia della rivoluzione combattuta a Boston presso l’altura di Breed’s Hill (anche se tale scontro è passato alla storia con il nome di Bunker Hill, una collina adiacente) i coloni costruirono una grande ridotta fatta di terra sostenuta da tronchi ed assi di legno. Questo tipo di difesa proteggeva dai colpi di moschetto ma non era efficacie contro l’artiglieria. Anche se poi gli inglesi riuscirono a scacciare i ribelli dalla ridotta, questo fu fatto a costo di gravissime perdite e la vittoria britannica non sortì alcun effetto concreto per liberare Boston dall’assedio in cui si trovava nel 1775. Per gli americani invece questa battaglia fu importante perché aveva dimostrato che potevano sia erigere in tempi brevi solide difese e sia battersi alla pari con militari professionisti di Sua Maestà[17]. Si resero quindi conto che la tattica migliore per loro era quella di combattere dietro opere difensive. Infatti questi rivoluzionari non avevano certo la disciplina o il coraggio dei soldati di carriera, per cui complicate manovre sul campo sarebbero state impraticabili, molti semplici contadini sarebbero scappati davanti agli avversari, mentre sparare dietro un riparo era sicuramente più facile (per molti storici gli americani solo alla battaglia di Monmohut nel 1778, dimostrarono di sapersi confrontare alla pari con il nemico anche in campo aperto, grazie agli addestramenti del tedesco Von Steuben) a patto che si predisponessero bene le costruzioni.  Allo scoppio della guerra infatti ben pochi erano gli ufficiali del genio nell’esercito inglese (questo perché avevano minor prestigio rispetto alle altre branche dell’esercito e pochi cadetti si volevano specializzare) e nessuno vi era nelle raccogliticce forze coloniali. Tra queste i pochi che ne avevano qualche nozione provenivano dalle milizie che avevano combattuto con i britannici nella guerra con i francesi; essi sapevano sfruttare i rilievi del terreno e anche coprire i fianchi del proprio schieramento appoggiandosi ad ostacoli naturali come fiumi o burroni. A fondare una vera scuola di genio militare per gli insorti furono i vari ufficiali europei che arrivarono come volontari nel Nuovo Continente per combattere con loro. Il più influente fra questi era il marchese Duportail. Washington ed i suoi impararono in fretta le lezioni, tanto che i genieri vennero sempre inseriti negli staff dei generali, proprio per dare una consulenza in merito all’architettura militare campale.

In riferimento ai grandi assedi, di cui si è già scritto, che si svolsero durante il conflitto per l’indipendenza, è utile soffermarsi in questa sede su alcuni di essi per capire anche le varie soluzioni e caratteristiche peculiari di ciascuno, che riassumono anche la tecnica di difesa delle cittadine in quel periodo storico; il più famoso tra questi fu a Charleston, perlomeno perché ve ne furono ben due nel corso degli anni.

Nella capitale del Sud Carolina durante il suo primo assedio da parte delle navi inglesi nel giugno 1776, gli americani usarono per barricarsi il legno delle palme. Tale materiale era diffuso in gran quantità nei dintorni della città (infatti non a caso lo Stato del Sud Carolina ha come simbolo una palma stilizzata ed è soprannominato “Palmetto- State”) ed era molto flessibile, adatto per neutralizzare l’energia cinetica delle bordate dei vascelli nemici. In particolare a Fort Sullivan su Sullivan’s Island nella baia di Charleston appunto, (allora chiamata ancora Charlestown) gli eroici patrioti resistettero ai bombardamenti della flotta britannica che tentava lo sbarco, grazie a spalti costruiti con pali di palma, i quali facevano da impalcatura ad un riempimento di sabbia, entrambi questi componenti grazie alla loro natura elastica, assorbirono egregiamente i proiettili degli avversari.

Figura 6. Stampa che raffigura la resistenza di Fort Sullivan a Charleston nel 1776. Si vedono i ripari con i tronchi di palma.

 Nel 1780 però gli inglesi dall’entroterra riuscirono a circondare ed avere la meglio sui difensori della stessa città. I ribelli avevano predisposto delle buone fortificazioni oltre che sulla baia anche verso l’interno, infatti Charlestown si trova in una lingua di terra tra il mare e due fiumi l’Ashley e il Cooper, proprio tra questi due corsi d’acqua vennero erette le opere più importanti. Fu scavato un canale che collegava i torrenti, costeggiato da palificate (le solite palizzate inclinate) e parallelamente a questo vennero poste trincee. In mezzo a questo reticolo di scavi fu edificato un imponente rivellino[18] in mattoni. Inoltre tutto il porto fu attrezzato con varie batterie. A completare l’opera furono disposte davanti a questi trinceramenti “abbattute” e “fosse di lupo”. Le abbattute erano dei rami privati delle foglie e possibilmente appuntiti che creavano un ostacolo agli attaccanti in avanzata. Essi formavano un ottimo sistema di rallentamento data anche la facilità di reperire la materia prima. Nondimeno vi erano delle controindicazioni: infatti se i rami non erano più giovani potevano essere incendiati, creando pericolo nonché difficoltà di visuale per il difensore a causa del fumo, inoltre una selva fitta di abbattute poteva fungere da riparo all’avversario in avvicinamento. Le “fosse di lupo” erano delle trappole, ovvero buchi profondi nel terreno occultati da rami e foglie, dove un soldato malcapitato poteva cadere, spesso il fondo di queste buche era cosparso di oggetti appuntiti come pali, vetri o lame. Le “fosse di lupo” e le abbattute erano i principali ostacoli che venivano utilizzati sui campi di battaglia anche se di tanto in tanto si sarebbero potuti vedere anche botti o casse di legno o sacchi di sabbia o balle di fieno. Un altro tipo di ostacolo provvisorio erano i cavalli di Frisia (nome derivato probabilmente dagli olandesi che adottarono questo strumento) che non erano altro che due pali appuntiti uniti ad “X”, usati singolarmente o per file, spesso erano uniti da catene o innestati su un altro palo orizzontale. A Charleston i patrioti fecero un ottimo lavoro di fortificazione ma le “giubbe rosse” applicarono in maniera perfetta i dettami europei sugli assedi: esse, dopo aver deviato il corso del canale artificiale predisposto dai ribelli, scavarono trincee parallele a quelle nemiche sempre più vicino all’abitato. Con la terza rete di trincee iniziarono a bombardare la città e anche grazie al maggior numero di uomini riuscirono infine ad avere la meglio.

Come detto sopra alcune comunità costiere erano ben difese, tra queste vi era Québec, sul fiume San Lorenzo, già protagonista di vari assedi e battaglie negli anni precedenti. Québec era la capitale del Canada francese, conquistata da Albione nel 1759 ed era ai tempi della rivoluzione americana la città più importante del Nord-America, sede tra l’altro del governatore. Questo abitato era già naturalmente ben protetto da scogliere a picco sul fiume e in più varie architetture di difesa erano state costruite nel corso degli anni; esse pur non essendo scaturite da un progetto unitario avevano ulteriormente elevato il livello di sicurezza. Le opere principali erano due: una serie di batterie sulle rive del San Lorenzo (tra cui la famosa Royal battery) e una cinta muraria attorno alla città alta[19], vi era anche uno steccato sul lato Ovest che precedeva gli spalti. Mancavano però delle cittadelle vere e proprie, in quanto solo il castello residenza del governatore era completamente recintato. Si aggiunga che le batterie costiere erano isolate e si inserivano direttamente nelle vie dei quartieri bassi, ciò implicava che in caso di assalto non vi era possibilità di ulteriori rinforzi o di ripiegamenti in altre strutture. Nonostante questi motivi gli americani erano consapevoli che conquistare la capitale del Canada sarebbe stata un’impresa ardua. Il Congresso, come già detto, aveva infatti inviato nell’autunno del 1775 una doppia spedizione agli ordini del generale Montgomery e del colonnello Arnold per far sollevare anche le popolazioni canadesi di origine francese contro Re Giorgio. Tutto ciò fu inutile e anzi vi fu una forte resistenza da parte dei cittadini del Québec che non volevano aver nulla a che fare con i rivoltosi. Per colpa di ritardi e dell’assedio alla città fortificata di Saint-Jean, che aveva richiesto più tempo del dovuto, gli americani arrivarono ad autunno inoltrato nei pressi del loro obbiettivo, accampati nei piani di Abraham, zona a occidente dell’abitato che già in passato era stata teatro di importanti battaglie. Pur essendo in superiorità numerica i coloni decisero di investire la città con un piano articolato per non spargere inutilmente del sangue. Si decise di dividere in tre le forze: una colonna avrebbe attaccato le principali porte di Québec a Ovest con scopo diversivo, le altre sarebbero entrate nella città bassa da due punti differenti per poi risalire sulla parte alta. Purtroppo per i futuri statunitensi ci fu una spiata a loro danno da parte di disertori che, stanchi di patire freddo e fame, si erano consegnati agli assediati, per cui gli inglesi erano già pronti a resistere nei quartieri popolari allestendo trincee. Vennero poste in mezzo alla via, tra case di mattoni, delle alte assi da cui sparavano gli inglesi ed i miliziani della città. Le truppe di Montgomery (il quale fu ucciso in quell’assalto) e di Arnold che attaccarono in piena notte sotto una tormenta di neve, furono respinte ed imbottigliate tra le strade della città. Solo con grande fortuna una parte dei ribelli riuscì a salvarsi approfittando del buio e nascondendosi vicino alla riva del San Lorenzo. Nelle settimane seguenti oltre 2.000 ribelli strinsero d’assedio la città con un blando ed infruttuoso bombardamento, alla fine ritornarono in patria a causa dei patimenti dovuti al gelo e alla penuria di cibo. I canadesi con elementari trinceramenti cittadini e sfruttando la conformazione del terreno, riuscirono ad avere la meglio su un esercito sicuramente più numeroso ed agguerrito, altra dimostrazione del ruolo sempre più importante delle fortificazioni permanenti e non.

Non è un caso se la battaglia decisiva che concluse la guerra d’indipendenza a favore delle tredici colonie, fu nient’altro che un classico assedio all’europea, a Yorktown in Virginia nell’autunno del 1781[20]. In questa città le truppe di Sua Maestà britannica, dell’armata comandata dal generale Cornwallis, si erano asserragliate in attesa dei rinforzi da New York, principale caposaldo d’Albione. Yorktown era circondata a Ovest da fitte paludi e si affacciava sullo York River[21]; agli inglesi sembrava il posto opportuno dove fortificarsi per aspettare l’arrivo di rinforzi o del reimbarco per altre operazioni, poiché erano pressate dalle truppe di Washington assieme agli alleati francesi. Yorktown, facile da raggiungere dal mare, sembrava adatta allo scopo ed il fatto che fosse circondata da acquitrini rendeva il compito dei genieri britannici più facile nel costruire le fortificazioni. Oltre al primo sistema difensivo che consisteva nelle mura cittadine, Cornwallis fece costruire altre due linee parallele di trincee parziali che arrivavano appunto fino alle paludi, quella più interna fu rinforzata da alcune forti ridotte formate da alti terrapieni quadrati, mentre quella più esterna non si riuscì a completare del tutto.

Figura 7. Particolare di un quadro sulll’assedio di Yorktown. Si può notare in primo piano una ridotta in legno con palizzata, mentre sullo sfondo si vedono le diverse linee di difesa britannica.

Gli alleati franco-americani quando giunsero sul posto cominciarono a stringere d’assedio la città, forti della loro superiorità numerica ed in fatto di artiglieria. In questa occasione i francesi ebbero modo di mettersi in luce con le loro qualità nel genio militare e nell’abilità di manovrare e posizionare i cannoni.

Figura 8. Altro particolare del dipinto precedente. In primo piano si notano genieri francesi intenti a costruire gabbioni mentre più in lontananza ci sono le batterie alleate intente a bombardare Yorktown.

 Tra l’altro furono impiegate vari tipi di architetture militari di cui si è già parlato come le abbattute, i cavalli di Frisia o i parapetti, ma anche altre. In particolare poiché lo scopo degli alleati era di avanzare sempre di più verso il nemico, le loro costruzioni erano provvisorie. Infatti le truppe erano protette non solo da trincee ma da opere più avanzate e mobili costituite da gabbioni e fascine. I gabbioni non erano altro che grandi ceste di vimini alte un metro e mezzo, riempite di terra allo scopo di proteggere gli uomini dal fuoco dei moschetti. Le fascine erano appunto dei fasci di rami legati fra loro e poste una sopra l’altra o a fianco all’altra per creare una copertura temporanea. Gabbioni e fascine erano di vitale importanza anche per l’incolumità dei soldati mentre scavano le trincee, poiché si posizionavano davanti al nemico, fissate con dei treppiedi interrati. Questi ripari potevano però proteggere solo dai fucili, non dalle artiglierie e inoltre rivelavano che in quella zona si stava scavando, per questo si zappava di solito alla notte. Di particolare importanza erano le batterie francesi sul campo che venivano approntate nel seguente modo: si costruiva un basamento di assi di legno dove venivano posti i cannoni, poi si erigeva una protezione di sacchi di sabbia e fascine appoggiate ad una parete di legno per sostenerli. In questa sorta di riparo si lasciavano degli spazi da cui sparavano i pezzi; così facendo con pochi mezzi ed in poco tempo, gli uomini di Re Luigi XVI potevano ripararsi efficacemente sia dai moschetti che dalle palle di cannone per sparare indisturbati sulla città nemica.

Figura 9. Una postazione d’artiglieria francese sempre a Yorktown in una stampa dell’epoca. Si possono vedere i ripari con i gabbioni e sacchi di sabbia.

Con la sconfitta della flotta inglese giunta in soccorso ai commilitoni di Yorktown, da parte dell’ammiraglio francese De Grasse, Cornwallis si trovò senza via di scampo. Egli fu costretto dalla pressione nemica ad abbandonare le fortificazioni più esterne dopo aver dato fuoco alla selva di abbattute per bloccare gli assedianti, che per tutta risposta occuparono le postazioni evacuate dai britannici, rinforzandole. Vista la ritirata della flotta amica e preoccupato dei ritardi dei rinforzi da New York via terra (che non sarebbero mai arrivati a causa dei tentennamenti del comandante supremo inglese Clinton), Cornwallis decise una sortita cercando di raggiungere con barche la cittadina di Gloucester, sulla riva opposta dello York, ma anche questo tentativo fu fermato a causa di una tempesta violenta che arrivò dal vicino oceano Atlantico la notte del passaggio. Gli inglesi dovettero così rientrare nelle loro posizioni a Yorktown. Ben presto una fortunata incursione degli uomini di Washington assieme ai transalpini, portò alla conquista di due fondamentali ridotte nella seconda cerchia di fortificazioni attorno all’abitato, l’ultima rimasta prima delle mura cittadine.

Figura 10. Rappresentazione della cattura di una ridotta nella seconda linea difensiva inglese a Yorktown da parte dei coloni. Si possono notare il terrapieno e altri elementi difensivi come gabbioni e palizzate.

 Da queste posizioni iniziò da parte degli alleati un tremendo bombardamento che indusse Cornwallis ad arrendersi con tutti i suoi 8.000 uomini. La battaglia risolutiva della guerra d’indipendenza era finita, mentre per la stipula del trattano definitivo di pace si attese fino al 1783.

 Come già detto prima le tecniche di fortificazione militare diedero la vittoria ai patrioti, questo grazie alla lucidità dei loro comandanti che capirono subito l’importanza delle strutture difensive e che furono in grado di apprendere rapidamente gli insegnamenti dalla scuola europea, in particolare da quella francese. Se gli americani riuscirono a respingere gli attacchi di un nemico meglio equipaggiato, più numeroso e padrone dei mari, fu di sicuro anche per la capacità di difesa incrementata dalle opere di architettura militare permanenti e semi-permanenti.

Figura 11: Una bella foto da una scena del film “La Fayette” del 1961, un lungometraggio un po’ approssimativo per l’attendibilità storica, ma comunque gradevole e con ottimi attori. Si osservi la ricostruzione di una ridotta nei pressi di Yorktown con terrapieno, palizzata di recinto e travi appuntiti sporgenti.

Un impero mondiale con un esercito ed una flotta quasi invincibili alla fine si dovette arrendere ad un gruppo di contadini che da zero avevano creato un’armata ed un apparato governativo e amministrativo, seppur embrionale. Se da un lato Washington non ottenne grandi vittorie sul campo, dall’altro ebbe la capacità di tenere sempre insieme una parvenza di esercito e di risollevare il morale nei momenti più bui; egli faceva sapere con le sue imprese che il movimento rivoluzionario era ancora vivo, sia ai nemici, sia agli altri coloni americani. Gli inglesi infatti pur dispiegando nel corso degli anni sempre più mezzi e risorse non riuscirono ad avere quella vittoria risolutiva che avrebbe posto termine al conflitto. Gli enormi costi di permanenza delle truppe (tra cui varie decine di migliaia di mercenari tedeschi) e delle flotte in America, ciò unitamente al temuto ingresso nel conflitto dei francesi, degli spagnoli e degli olandesi, convinsero l’esecutivo di Londra che le perdite economiche sarebbero state superiori ai guadagni, per cui con il cambio di Governo a Londra fu deciso di chiedere la pace, sancendo così la nascita degli USA.


Bibliografia

M. Angelini, Il dibattito costituzionale americano del XIX secolo: tra libertà, schiavitù e diritti degli stati, Brescia, 2009.

R. Bourgerie e P. Lesouef, Yorktown 1781, Parigi, 1992.

C. Botta, Storia della guerra dell’indipendenza degli Stati Uniti d’America, Soveria Mannelli, 2010.

R. Chartrand, The forts of colonial north America, Oxford, 2011.

R. Chartrand, Forts of the american revolution, Oxford, 2016.

M. Del Duca, La guerra d’indipendenza americana 1775-1783, Roma, 2014.

I. Hogg, Storia delle fortificazioni, Novara, 1982.

D. Smith, The american revolutionary war, Londra, 2008.


Note

[1] George Washington nel giugno del 1775 fu nominato dal Congresso di Philadelphia comandante in capo dell’esercito continentale che doveva inglobare tutte le milizie ed i reparti provvisori delle colonie in rivolta.

[2] Lo stesso Washington qualche anno prima aveva subito gli effetti devastanti della guerriglia indiana in occasione della disfatta della spedizione del generale britannico Braddock verso Fort Duquesne, durante la guerra franco-indiana. Il futuro primo presidente USA accompagnava gli inglesi in qualità di ufficiale della milizia virginiana, e dopo la morte del comandante Braddock, riuscì fortunosamente a salvarsi insieme ai suoi uomini dall’imboscata dei francesi e dei loro alleati pellerossa.

[3] La guerra d’indipendenza americana come gli altri conflitti di quel tempo, fu caratterizzata da una certa staticità delle operazioni che venivano di solito sospese nel periodo invernale. Una eccezione fu il raid di Washington su Trenton e Princeton avvenuti tra natale del 1776 e gennaio 1777.

[4] Per vari secoli le canne di fucili, di cannoni e pistole furono a «canna liscia», avevano cioè la superficie interna piana e sparavano palle tonde o una certa quantità di pallini. Le armi con innesco a miccia, a ruota e a pietra focaia erano di questo tipo, il loro peggior difetto era la presenza del “vento” che era il gioco creatosi per la differenza fra il calibro interno della canna e quello del proiettile, inferiore a quello della prima per facilitare il caricamento. Questo comportava una riduzione di potenza visto che buona parte della pressione, sprigionata dai gas a seguito dell’esplosione, usciva nello spazio tra la stessa canna e la palla (ad esempio un fucile potevano perdere di precisione già a meno di 100 metri dal bersaglio). Poi vi era una riduzione di precisione causata dai rimbalzi irregolari del proiettile sulle pareti nel tubo metallico. Il proietto lasciava l’arma con la traiettoria dell’ultimo rimbalzo (la cosiddetta “palla a chiacchiera”). Per aumentare la tenuta del gas si adottarono tre diversi accorgimenti. Il primo consisteva nell’avvolgere la palla di diametro inferiore a quello della canna, in un pezzo di stoffa o di pelle (la “borra”). Il secondo metodo era di introdurre un proiettile di diametro superiore, forzandolo con una bacchetta e un martello di legno. Il terzo sistema consisteva nell’inserire una palla di diametro inferiore alla canna e poi, una volta inserita, con la bacchetta e il martello veniva deformata per avere una migliore aderenza. I sistemi di deformazione rendevano però la traiettoria imperfetta per l’asimmetria del proiettile. Dal Cinquecento cominciarono ad essere usate le canne rigate che si diffusero in larga parte tre secoli dopo. Esse erano canne con rigature elicoidali fatte nella superficie interna. Con la deflagrazione del gas che si forma per l’esplosione della polvere, le rigature fanno presa sul proiettile che aderisce alla superficie, e ruotando stabilizza la sua traiettoria oltre che aumentare la velocità per la forza centrifuga. Il problema della perdita di gas al momento dello sparo però fu risolto del tutto nel 1847 quando il capitano Minié aggiunse alla base della palla a fondo cavo, con pareti laterali talmente sottili che si dilatavano sotto la pressione degli stessi gas (invenzione sviluppata già da Delvigne), una piccola semisfera di ferro che si incastrava nel corpo vuoto della pallottola. Ciò provocava un allargamento simmetrico in tutta la circonferenza della palla e quindi una perfetta aderenza alla canna. Tutto ciò rende le armi rigate più precise e potenti di quelle lisce.

[5] In Europa la cavalleria aveva definitivamente abbandonato il modo di combattere con la tecnica del “caracollo”, ovvero attaccare il nemico cavalcandogli contro e sparandogli addosso, e si era tornati all’utilizzo delle cariche pesanti per sfruttare momenti di sbandamento dell’avversario facendo prevalere la forza d’urto sull’uso delle armi da fuoco.

[6] Tra questi assedi si ricordano Boston, Charleston, Savannah e Yorktown.

[7] La concezione dell’importanza delle piazzeforti era alla base della cultura militare del XVIII secolo, per cui la strategia era di attaccare queste fortezze con il nemico assediato che si concentrava nella difesa all’interno di essa. In America questo concetto cominciò a vacillare proprio per la mancanza di grandi cittadelle fortificate e maggiore importanza veniva data allo scontro campale rispetto all’Europa. La nuova composizione degli eserciti del mondo occidentale, più numerosi e mobili che in passato e l’uso di mortai assieme a obici che potevano scavalcare le mura, indussero ad un progressivo mutamento delle strategie. Emblematica è la sconfitta di Cornwallis a Yorktown, di cui si parlerà più avanti; il modo migliore per difendere un esercito o una città era uscire al di fuori di essa ed affrontare il nemico a viso aperto, lasciando il trinceramento dietro le mura cittadine come estrema ratio. Tutto ciò sarebbe stato compreso appieno solo nel XIX secolo, ma già si potevano riscontrare le evidenze empiriche.

[8] Una eccezione potrebbe essere la cittadina di Louisburg, città-fortezza appositamente costruita per la difesa della Nuova Scozia nell’odierno Canada, dal re di Francia Luigi XIV. Nonostante l’accuratezza del progetto questa fortificazione fu più volte presa dagli inglesi e anche distrutta, tanto che oggi è stata ricostruita interamente e adibita a museo a cielo aperto. Anche Fort Niagara, costruito dai francesi sul fiume omonimo, ha un disegno tipico delle fortezze in stile di Vauban, a stella con numerosi bastioni e lunette su vari livelli.

[9] Il fuoco d’infilata è qualsiasi tiro d’artiglieria o fucileria che venga effettuato nel senso dello schieramento nemico. Viene considerato il fuoco più efficacie.

[10] Questo forte in terra e legno fu molto importante per la campagna dei ribelli contro le truppe di Sua Maestà guidate dal generale Burgoygne nel 1777, campagna che sarebbe culminata con la vittoria americana di Saratoga. In questo scontro le fortificazioni campali furono decisive, difatti vennero allestite varie ridotte in mezzo ai boschi da parte sia degli americani che dagli inglesi. Il momento decisivo della vittoria a Saratoga fu proprio quando il generale Arnold guidò i suoi all’assalto dell’ala destra di Burgoyne, conquistando una ridotta fatta con tronchi sovrapposti, presidiata da mercenari tedeschi.

[11] Questo fortino aveva una semplice forma rettangolare con bastioni sporgenti. Fu teatro di un’importante battaglia nell’autunno del 1776 dove vide i coloni arrendersi alle forze inglesi che si impadronirono così del basso corso dell’Hudson.

[12] Tale baluardo è molto ben ricostruito nella finzione scenica del film “l’ultimo di Mohicani” del 1992.

[13] Il bastione in architettura militare è definito come un elemento a forma pentagonale (con due facciate, due fianchi, una gola aperta verso l’interno della fortificazione). Di solito è inserito alla congiunzione di due cortine murarie ed il suo scopo è quello di rafforzare lo spigolo e di effettuare un fuoco tale da colpire d’infilata il nemico sotto le mura.

[14] La ridotta è una fortificazione chiusa a forma quadrangolare di solito senza bastioni, usata all’interno o all’esterno di un’opera maggiore.

[15] A Saint-Jean vi erano resti di vecchie fortificazioni francesi che furono la base su cui vennero erette nuove strutture difensive.

[16] La strada coperta non era altro che una trincea più larga affiancata spesso da un terrapieno sul lato esterno, usata per spostare soldati e mezzi in sicurezza dal fuoco nemico.

[17] Dopo la battaglia di Bunker Hill i coloni assediarono la città di Boston per vari mesi imbottigliandovi dentro le “giubbe rosse”, ciò grazie ad una serie di fortificazioni campali allestite in fretta con balle di fieno, sacchi di sabbia e botti di legno. Tali oggetti erano anche sparsi nel terreno come ostacolo per le eventuali sortite britanniche.

[18] Il rivellino è un’opera esterna eretta al di fuori di una cinta muraria principale, a forma di “v” o a semicerchio, allo scopo di proteggere determinati punti deboli.

[19] Québec aveva il suo sviluppo su due piani: il piano della città bassa con le abitazioni più umili sulle rive del fiume e poi la città alta sopra la scogliera, con i principali edifici amministrativi e religiosi.

[20] Secondo le regole codificate sempre dal solito Vauban, l’assediante doveva avvicinarsi alla fortezza scavando tre linee di trincee parallele sempre più vicine alle mura. Tali parallele erano a zig zag per evitare il fuoco frontale del nemico. Una volta ultimata la terza parallela l’attaccante doveva porre l’artiglieria a ridosso dei bastioni per iniziare a bombardarla e per poi effettuare una sortita decisiva per entrare nello schieramento nemico. A quel punto i difensori potevano arrendersi con onore e si poneva fine all’assedio.

[21] Yorktown si trova in Virginia nella regione chiamata la “penisola”, una lingua di terra che si affaccia sull’oceano Atlantico racchiusa dai fiumi York e James. Per strane coincidenze della storia Yorktown sarà teatro di un altro grande assedio durante la guerra di secessione americana nel 1862.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *