Che cos’è il Basij?

In seguito alle proteste scoppiate in Iran per la morte di Masha Amini nel settembre dello scorso anno, giunte all’attenzione dell’opinione pubblica occidentale attraverso una vasta copertura mediatica, un corpo militare – o meglio, paramilitare – iraniano è stato ripetutamente citato. Questo è il Basij, ossia “La Mobilitazione”.

Come detto, di tale istituzione ne abbiamo avuto notizia attraverso servizi di telegiornali, che ne descrivevano i membri come “brutali e fanatici”, sovente confondendoli con la Polizia Morale [Guidance Patrol], vera responsabile della morte della ragazza se si prende come vera la versione sostenuta dalla famiglia e dai manifestanti.

Cos’è dunque il Basij? Formalmente, ad una prima rapida ricerca, emerge essere un corpo paramilitare composto solo da volontari, inquadrato all’interno dell’IRGC [Islamic Revolutionary Guard Corps], ossia dei Pasdaran (che gli iraniani chiamano Sepah), incaricato di svolgere compiti di polizia morale, di proselitismo per conto del regime islamico, di controllo dell’ordine pubblico e, eventualmente, di forza militare vera e propria.

In realtà – ed è ciò che questo articolo vuole mostrare – il Basij non è solo questo. Per concepirlo correttamente dal punto di vista di un italiano bisognerebbe rapportarlo con alcuni soggetti propri del nostro immaginario locale e storico, così da rendere più comprensibili le sue sfaccettature. Ad esempio, il Basij è composto da un numero enorme di membri volontari. Tuttavia, tra costoro, quelli aventi rango più basso (ossia i più numerosi) si addestrano poco e fanno poco servizio attivo. Oltre a compiti leggeri legati alla sicurezza urbana, aiutano soprattutto l’organizzazione e la sicurezza durante le manifestazioni culturali e religiose, oppure agiscono come soccorritori in caso di catastrofi ambientali ed emergenze climatiche. Una descrizione questa che ricorda parzialmente la Protezione Civile nostrana, ma non solo. Il Basij ha anche numerose “filiali” territoriali, spesso presenti persino in località isolate ove i militanti dell’istituzione hanno costruito moschee, come se l’insieme di sezioni e luoghi di culto rappresentasse il simbolo della loro presenza. È questa una bandierina territoriale che ricorda le sezioni – moschee a parte – che i partiti di massa aprivano sul territorio italiano nel corso del Novecento. Ancora, il Basij è anche volontariato, associazionismo e inquadramento dei giovani, come un misto tra i Balilla e il catechismo parrocchiale. I suoi membri organizzano pellegrinaggi, cortei, esercitazioni paramilitari, manifestazioni sportive e gite. Molte delle donne che fanno parte del Basij svolgono un ruolo attivo specialmente in queste attività dell’istituzione.

Giovani membri durante la Conferenza generale del Basij nel 2018.

Membro del Basij che accompagna e scorta il pellegrinaggio da Nishapur a Mashhad.

Eppure, anche così la descrizione finora offerta risulta limitata, perché il Basij non è solo questo. Possiede fabbriche, alberghi, imprese edili, centri di ricerca, provider di reti internet e telefoniche, banche, aziende, fondi di investimento, scuole, ospedali, centri di formazione, moschee, catene di supermercati; ha partecipazioni in S.P.A. e molto altro ancora.

Questo ruolo nell’economia è la parte sommersa dell’iceberg del Basij, un enorme intreccio di interessi di varia natura che scorrono nella trama del tessuto dell’intera realtà iraniana. Emerge qui un tratto sociale, economico e politico che caratterizza infatti l’Iran: la presenza attiva nell’economia e nella società dei corpi militari e paramilitari che non restano nelle loro caserme in attesa di ordini o consulenze come accade – ad esempio – in Europa. In Iran, così come anche in molti altri stati, i militari sono usciti dagli accantonamenti e dai moderni castra per mettersi a fare business, sfruttando i legami con la politica e con la base industriale, soprattutto quella della Difesa che da loro dipende per le commesse e per la natura monopsonistica di tale mercato.

Si è quindi, studiando il Basij, non solo innanzi a un corpo paramilitare ideologizzato, ma pure davanti a un caso di business militare, una militarizzazione dell’economia, della politica e in parte della società che sarebbe interessante studiare nelle sue sfumature tra diversi stati, sistemi e modelli, al fine di generare un lavoro comparativo sui complessi industriali-militari di respiro globale ancora assente nella letteratura1.

Ma come sono giunti i Basij ad essere un cardine dell’economia della Persia?

Per rispondere bisogna osservarne la parabola d’esistenza, che s’avvia nella guerra Iran-Iraq scoppiata nel 1980 dopo la Rivoluzione Islamica. Lì trae origine il senso del nome “La Mobilitazione”, in quanto con l’esercito [Artesh] nel caos a causa delle purghe effettuate dal clero e dalle sinistre contro gli ufficiali fedeli allo Shah, l’apparato militare del paese era – a livello di personale – allo sbando. Oltretutto il conflitto non fu combattuto, per il regime, solo contro il nemico esterno, ma vi furono anche battaglie contro le formazioni comuniste (Tudeh, FEK e MEK) che sovrapposero alla difesa dall’invasione straniera una guerra civile poco nota.

Per questo motivo nacque il Basij, “l’esercito di venti milioni di uomini” annunciato da Khomeini: per intercettare tutti i volontari, soprattutto i giovanissimi, che aspiravano a difendere la patria in pericolo. Affiancato ai Pasdaran dal 1981 ma rimasto un soggetto distinto, fu solo nel 1990 che Khamenei rese “La Mobilitazione” uno dei cinque corpi del Sepah, seppur dotato di larga autonomia, rispetto a Forze al Quds, Forze Aerospaziali, Marina e Forze di Terra.

Un’ulteriore riforma avvenne nel 2007, con l’unione dei comandi, prima separati, riuniti nell’IRGC e, ancora, nel 2009, con l’inserimento dei corpi scelti del Basij all’interno dell’IRGCGF (Forze di Terra dei Pasdaran), in seguito alla repressione del Movimento Verde.

Logo della Forza Armata del Basij, inserita all’interno dei cinque corpi dei Pasdaran.

Logo dell’Organizzazione dei Basij [Basij-e Mostaz’afin], ossia della ”Mobilitazione degli Oppressi”.

Da un punto di vista strutturale, i Basij sono una delle carte migliori posseduta dai Pasdaran, e quindi dal regime rivoluzionario islamico, per esercitare controllo sociale. Questo poiché sono presenti sul territorio con numerose sezioni, e radicati in modo pervasivo nella società essendo organizzati in confederazioni settoriali simili alle gilde mercantili. Al 2011 c’erano ben 17 sotto-organizzazioni diverse, interne allo stesso corpo del Basij: alcune per gli studenti Basij, altre per i lavoratori, per gli impiegati, ingegneri, docenti e così via. Gran parte dei membri svolge altre professioni nella vita quotidiana, a cui affianca l’associazionismo paramilitare islamico.

Il Basij, che può quindi essere visto come una versione miliziana e popolare dei Pasdaran, si struttura su 3 progressivi livelli di affiliazione dei membri: i “regolari”, gli “attivi” e gli “speciali”.

I “regolari” sono il gradino più basso, restano poco ideologizzati e sovente sono formati da persone che ricercano solo quei benefit che la membership al corpo concede, di cui si parlerà in seguito. Sono poco addestrati al combattimento, sovente legati a realtà di quartiere o di paese e non ricevono compiti di grande rilievo militare, securitario o di gestione delle emergenze.

Gli “attivi” sono invece il secondo gradino. Per diventarlo, i volontari “regolari” devono superare un addestramento militare di 40 giorni e votarsi a un forte indottrinamento ideologico. I loro compiti prevedono la partecipazione ad eventi e alle attività cui lo Stato o l’istituzione li destina durante il loro periodo servizio. Infine, i membri “speciali” sono l’élite del corpo: militari propriamente detti, inquadrati nell’IRGC che servono La Mobilitazione anche nei teatri di guerra (come avvenuto in Siria e in Iraq), ovviamente dopo aver sostenuto l’addestramento ideologico e militare proprio dei Pasdaran.

Schema esplicativo dei diversi tipi di Basij, con relative mansioni. Fonte D.I.A.

Si potrebbe azzardare un paragone sicuramente criticabile per cui i “regolari” sono come membri della nostrana protezione civile, gli “attivi” sono una forza di polizia, usata anche per compiti antisommossa, e gli speciali sono militari veri e propri. Ovviamente tutto ciò tenendo conto dell’ideologizzazione pervasiva che ricevono; bisogna dunque declinare il paragone secondo un paradigma islamista sciita e persiano.

È difficile stimare il numero esatto del personale in quanto i “regolari” sono molto numerosi ma non sempre in servizio attivo, e moltissimi uomini e donne sono stati membri del corpo dal 1981 ad oggi. Per questo motivo l’IRNA dichiara cifre implausibili come 11-15 milioni di Basij. La letteratura scientifica sul tema invece oscilla nelle stime (2019) tra i 2.4 e i 4 milioni, di cui il 75% regolari, il 20% attivi (circa 750 000), il 5% speciali (200.000 o meno).

Prima di concentrarsi sugli aspetti economici del Basij, vi sono ancora un paio di considerazioni da fare. Come visto, quale che sia il loro grado, i Basij sono come un’associazione, sparpagliata e diffusa sul territorio. Numerosa, ricca e con moltissimi benefit che derivano dall’affiliazione ad essa: dagli sconti nei supermercati e ai benzinai, alle università gratuite e dedicate fino ai mutui agevolati presso le banche del Basij, e così via toccando tutti gli aspetti tipici del welfare dei paesi occidentali.

Rimane comunque un corpo dove tutti i membri, bene o male, sanno utilizzare un’arma da fuoco e sono stati – anche se al minimo – addestrati a operare all’interno di un’unità paramilitare e di una gerarchia. Questo perché il Basij ha altri due ruoli che ricopre all’interno del complesso sistema difensivo iraniano: uno nella difesa passiva, l’altro nella cosiddetta difesa a mosaico. Concetti in parte sovrapposti nella dottrina militare iraniana del XXI secolo, ma con alcune nette differenze: la difesa passiva è quell’imposizione di segretezza e sensazione di assedio che il regime pone in tutto ciò che fa e diffonde attivamente tra i suoi cittadini, specialmente tra chi lavora per lo Stato. È insomma la paranoia iniettata dalle istituzioni iraniane nella propria popolazione, inducendola ad agire sempre e comunque contro il nemico esterno: la paura costante che vi siano ovunque spie o infiltrati, il timore della fuoriuscita di informazioni sensibili che porta poi – a livelli bassi – i dipendenti zelanti a controllare che il proprio nuovo collega sia ideologicamente affidabile, oppure a distruggere copie di dati ritenuti importanti. Invece, lo stesso meccanismo di difesa passiva ai livelli alti delle istituzioni porta a costruire le basi e le fabbriche militari sottoterra, a fare insomma tutto il possibile affinché, già nell’impostazione passiva della società, sia per struttura che per sovrastruttura, il regime si difenda o complichi la vita ai possibili nemici.

La difesa a mosaico (defa-e mozaik) – qui esposta en passant – è invece un’obsoleta definizione con cui si identificava la difesa ibrida, ma proiettata in avanti, verso l’esterno, del regime2. Quasi coincidente con la dottrina militare iraniana, è una difesa basata sulla rappresaglia via missili, droni, blocco del Golfo con sciami di barchini, azioni terroristiche sul territorio di paesi ostili al regime da parte di gruppi affiliati come Hezbollah, PIJ o gli Houthi. Tuttavia, la difesa a mosaico concepisce anche – e qui rientra il Basij nel tema – un’ultima linea difensiva: se mai il nemico dovesse valicare gli Zagros ed entrare nel paese, troverebbe oltre alle FF. AA. regolari un corpo di miliziani numeroso, presente in tutta la società, organizzato capillarmente sul territorio – che ben conosce – in una rete fatta di sezioni, fortemente ideologizzato e pronto a rendere l’ipotetica occupazione del paese da parte dell’avversario come la permanenza in un vespaio.

L’Economia del Basij

La nascita del ruolo economico del Basij è riconducibile al 1990-1991, poco dopo la fine della guerra con l’Iraq. L’Iran, che aveva letteralmente visto una generazione di giovani persiani bruciare sia al fronte che sotto gli Scud iracheni nelle città, usciva finalmente dal decennio degli anni Ottanta. Dopo una rivoluzione, un’invasione subita e una parziale guerra civile.

I Basij, divenuti numerosi nel corso della guerra, furono impiegati – come i Pasdaran – nelle opere di ricostruzione. Nel frattempo, il presidente della repubblica Rafsanjani promulgava una serie di riforme che privatizzavano asset dell’economia statale iraniana, incentrata sul pubblico, attirandosi le critiche di tutta una parte di politici conservatori che vedevano in questa azione uno sfregio allo sforzo fatto dal paese e dalle forze armate, specialmente quelle di ispirazione islamica, per difendere l’Iran intero – economia nazionale compresa. I Basij, che già dal 1982 avevano potuto creare un ufficio a cui venivano destinate donazioni e sussidi per garantire un minimo di welfare, ottennero così il permesso di costituire nel 1992 una loro Bonyad.

Le Bonyads (Fondazioni Religiose) sono istituti di mutuo soccorso e di beneficenza, a sfondo religioso, diffusisi enormemente dopo la rivoluzione del 1979. La prima, la Fondazione dei Diseredati (Bonyad-e Mostazafan va Janbazan3) fu creata su ordine di Khomeini e incamerò gran parte dei beni dello Shah Pahlavi. Questi istituti, che ricevono lo Zakat, ossia l’elemosina del quinto indicata nel Corano, hanno un patrimonio enorme, stimato a circa il 15-20% dell’attuale Pil iraniano, ma – essendo fondazioni religiose – sono beni di manomorta e non sono quindi tassabili. Coi fondi ricevuti, le Bonyad hanno reinvestito tali capitali nel mercato sin dagli anni Ottanta, prendendo possesso di enormi asset economici e generando uno sostrato di economia sommersa ben poco quantificabile. Questo, ovviamente, continuando a erogare servizi di assistenza ai più poveri e agli strati meno abbienti, che divengono grati e dipendenti al clero che gestisce questi enti.

Nel 1991-1992 venne dunque fondata la Fondazione per la Cooperazione dei Basij (Bonyad Taavon Basij), nata per far sì che i membri del Basij, veterani di guerra, ottenessero dei sussidi e una maggior base di welfare. Tuttavia, durante la privatizzazione operata da Rafsanjani, la Fondazione del Basij (FCB) – che intanto si andava ad articolare in una serie di controllate e sussidiarie settoriali per garantire servizi di base ai suoi membri (medicina, prestiti agevolati, abitazioni, costruzioni) – utilizzò i fondi di partenza anche per acquisire quote azionarie di svariate aziende. Tale azione ebbe avvenne peraltro con base e supporto legale ed istituzionale. L’articolo 151 della costituzione, che esplicita il compito dei Basij, e l’articolo 147, incoraggiano un ruolo di “impegno nello sviluppo dell’economia” da parte delle forze armate, e IRGC e Basij, durante la ricostruzione, non si fecero pregare nello svolgimento tale ruolo.

Nei primi settori in cui la FCB si impegnò a investire, sempre con lo scopo formale di garantire il benessere materiale degli aderenti al Basij, costituì subito delle aziende da lei controllate. La FCB generò così l’Istituzione per l’Alloggio dei Basij, l’Istituzione Medica dei Basij, la Mehr Bank, l’Istituzione per la Provvista di Beni di Consumo, l’Istituto Culturale Basij e l’Istituto Scientifico Basij, questi sei i principali tra molti altri.

La Mehr Bank, ad esempio, concede tutt’oggi prestiti ai membri del Basij a tassi agevolati del 4%, a fronte di una media nazionale del 20-25%. Ugualmente, le cure mediche erogate nei centri medici del Basij per i suoi affiliati sono concesse con ticket il cui 80% è pagato dal regime.

L’Istituzione per la Provvista di Beni di Consumoè una sezione della FCB specializzatasi nell’acquisizione di supermercati e ipermercati, ove i Basij e le loro famiglie fanno la spesa godendo sia di sconti che di buoni pasto quando acquistano in tali negozi.

E ancora, anche la formazione scolastica è agevolata e i giovani membri del corpo, sovente studenti universitari, ricevono libri, materiali, simulazioni dei test e persino compendi di domande degli esami universitari; tutti strumenti mancanti agli altri studenti non affiliati al Basij, che risultano così evidentemente discriminati. Oltretutto, il Scientific and Pedagogic Services Institute of the Fighters, istituto fondato e gestito da Basij e Pasdaran,è una eccellente catena di atenei del paese, esclusiva per i militari islamici, la cui esistenza porta però a svalutare gran parte delle università “normali”, che comparate risultano qualitativamente inferiori.

Inoltre, con le scuole i Basij hanno anche sconti sui mezzi di trasporto da usare nel paese, specialmente in caso di pellegrinaggi, da loro stessi spesso organizzati.

Logo dell’Organizzazione degli studenti del Basij.

Comandanti dei Pasdaran all’Esposizione di Scienza e Tecnologia del Basij, 2021.

Su quest’onda di esempi si potrebbe continuare a lungo, ma per esemplificare il meccanismo se ne fornirà ancora uno, ben illustrato, ossia quello di una delle prime aziende del Basij, l’Organizzazione Costruzioni Basij (Qorb-e Basij), specializzata nell’edilizia.

Tale impresa iniziò negli anni Novanta la sua parabola, prima inviando i suoi membri a piantare alberi, costruire moschee e piccole infrastrutture in ogni angolo del paese lungo l’onda della ricostruzione postbellica, poi riuscì ad ottenere appalti – grazie anche ai legami clientelari dei suoi comandanti e della Bonyad, che è direttamente collegata a Khamenei – per grandi lavori statali, formando inoltre un notevole know how grazie alle confederazioni settoriali interne al Basij stesso (in particolare quella degli ingegneri e dei lavoratori, sopracitate). Il periodo iniziale di grande successo per l’Organizzazione Costruzioni Basij (OCB) fu durante il mandato di Ahmadinejad, membro dei Pasdaran, come sindaco di Teheran, che pilotò gli appalti per le infrastrutture cittadine verso l’azienda. Ma non solo, si pensi che il grande muro anticontrabbando eretto sul confine della provincia del Baluchistan e Sistan, simile a quello presente tra Messico e Stati Uniti, fu una delle tante grandi opere concesse all’OCB.

Basij dell’OCB all’opera, 2016.

Se già da sindaco, Ahmadinejad favorì spudoratamente le aziende e le Bonyads dei militari, la maggior crescita che queste ebbero fu quando l’ex primo cittadino di Teheran divenne presidente della Repubblica Islamica. Primo atto fu, infatti, l’emendamento dell’art. 44 della costituzione iraniana – quello che regola i settori economici nazionali – agevolando le acquisizioni di partecipazioni azionarie da parte di IRGC e Basij.

Così Ahmadinejad nel 2007:

i Basij devono acquisire fabbriche e prendere il controllo del vero potere economico del paese, non permettendo che finisca nella mani di certi gruppi capitalistici, in quest’era di privatizzazioni”

Cogliendo subito la palla al balzo, la FCB fondò una nuova compagnia che andò ad affiancarsi alla Mehr in acquisizioni finanziarie, la Compagnia di Investimenti Iraniani Mehr-e Eghtesad (MEIIC) , ove subentrarono nel CdA i migliori manager delle controllate della FCB.

La MEIICiniziò così ad acquistare numerosi portafogli azionari e valori mobiliari. La forza fu tale che tra 2006 e 2012 il giro d’affari passò da circa 25 milioni di dollari a 1.4 miliardi di dollari.

La Mehr Bank,intanto, cresceva nello stesso periodo a tassi del 70-80% annui tra 2007 e 2012, e diveniva nel 2013 il più grande istituto di credito privato di tutta la Persia. Sempre al 2013, la FCB possedeva più di 1350 aziende nel paese.

Questa profonda compenetrazione dei militari nell’economia viene giustificata dai portavoce dei militi facendo leva su due moventi principali.

Il primo è l’assistenza al bilancio: per utilizzare meglio i fondi o ottenerne altri per lo sviluppo militare – e la difesa del paese – è opportuno agire come imprenditori e moltiplicare il capitale. L’altra motivazione è stata succitata: il welfare degli inquadrati: per migliorarne la vita con affitti a prezzi bassi, assistenza sanitaria e strutture culturali.

L’apparato militare islamico iraniano, non solo il Basij ma anche i Pasdaran, ha addotto sin dagli anni Novanta tutte queste motivazioni per giustificare e legittimare la propria attività non prettamente bellica. Tra i due corpi v’è però una netta separazione: il Sepah agisce a livello macroeconomico, occupandosi dei settori di punta della tecnologia, possedendo le industrie chiave e strategiche dell’Iran. Il Basij, invece, opera più a livello microeconomico, nella vita quotidiana, con transazioni di minor volumi.

Infatti, i vertici dei Pasdaran, con l’uso di ampi mezzi finanziari, cercano di controllare l’economia nazionale e hanno come scopo profitto ed efficienza. Il Basij, la BCF e la OCB sono invece usate per fini propagandistici, populistici e di ricerca del consenso tra la popolazione, oltre che promuovere l’adesione al corpo dei volontari.

Tuttavia, l’impegno imprenditoriale di questi gruppi genera alcune conseguenze notevoli nel tessuto economico e sociale iraniano.

La prima è che i militari islamici dipendono sempre meno dal governo civile – e quindi dalle istituzioni – per ottenere fondi, riuscendo così a dotarsi di un’autonomia economica, che diventa progressivamente politica, che li porta a divenire essi stessi degli enti politici, e non più meri strumenti tecnici con scopo difensivo o ausiliario al regime clericale. La seconda è che diventando attori economici possono poi avere una leva sulla società, col risultato di influenzarla socio-politicamente e fare concorrenza allo Stato stesso. Conseguenza è che la politica stessa rischia di essere accerchiata dalla presenza dei militari attorno a sé, che, come detto, cessano di essere strumento dell’arena politica, ma ne divengono un soggetto.

Infine, l’imprenditoria militare fatta di agevolazioni, sussidi, reti clientelari tra ufficiali, uso della truppa come manodopera a basso costo genera poi nell’economia nazionale – in cui dovrebbe teoricamente esserci libero mercato – la morte del libero scambio, poiché le regole liberoscambiste vengono costantemente infrante da questi soggetti economici militari. Il risultato è un mercato ove fette dell’offerta sono drogate da appoggi sommersi, e ciò rende l’iniziativa privata civile totalmente svantaggiata nel confrontocoi soggetti che godono di agevolazioni e sussidi.

E ancora, il fatto che i comandanti militari si interessino – ad esempio – di edilizia, li porta sul lungo periodo a divenire ottimi capicantiere, ma pessimi comandanti militari. Se i vertici delle FF. AA.  iniziano a specializzarsi nell’economia anziché nella strategia, ne consegue una diminuzione della forza combattiva dell’intero plesso militare. Se poi appena un ufficiale – come fu Ahmadinejad – ottiene la nomina presso uffici pubblici importanti e subito inizia a nominare commilitoni per le cariche di burocrazia civile e politica, al fine di migliorare il welfare dei membri del corpo cui appartiene, genera una situazione in cui vertici militari divengono in burocrati od imprenditori, e la truppa si arruola per godere dei benefit concessi dall’appartenenza al corpo, e non per la motivazione morale che dovrebbe garantire la combattività dei soldati volontari.

  1. Su questo si vedano i lavori di Kristina Mani sull’America Latina e di Ayesha Siddiqa sul Pakistan.
    ↩︎
  2. Si parla infatti oggi di Forward Defence, ossia difesa avanzata.
    ↩︎
  3. Sulle Bonyad si veda  D. E. Thaler, Mullah Guards and Bonyads, Rand Corporation, Santa Monica, 2010.
    ↩︎


Riferimenti bibliografici

  • A. Alfoneh, The Basij Resistance Force, U.S.I.P. United States Institute for Peace. Cfr. https://iranprimer.usip.org/resource/basij-resistance-force
  • D.I.A. – Defense Intelligence Agency, Iran Military Power, Washington DC, 2019.
  • H. Forozan, The Military in Post-Revolutionary Iran: The Evolution and Roles of the Revolutionary Guards (Durham Modern Middle East and Islamic World Series) Taylor and Francis, 2016.
  • S. Golkar, Paramilitarization of the Economy: The Case of Iran’s Basij Militia, Sage Editions, California, 2012.
  • A. Keshavarz, The Iranian Revolutionary Guard Corps: Defining Iran’s Military Doctrine (Studies in Contemporary Warfare), Bloomsbury Publishing, 2023.
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  • F. Wehrey, J. D. Green, B. Nichiporuk et alii, The Rise of the Pasdaran, Rand Corporation, Santa Monica, 2008.

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