Cinquecento giorni di guerra, cinquecento anni di storia

Senza timore di esser smentito nel futuro, affermo oggi, 8 luglio 2023, cinquecentesimo giorno di guerra tra Russia e Ucraina, che quanto iniziato il 24 febbraio 2022 ponga le basi di una nuova epoca storica ben più complessa e articolata rispetto a una naturale evoluzione dei rapporti geopolitici post Guerra Fredda.

Si potrebbe dibattere:

  • di come il conflitto in corso abbia segnato di fatto la presa di consapevolezza dell’inefficacia ed intrinseca pericolosità dell’appeasement come strumento su cui basare le relazioni internazionali, specie verso un pericoloso avversario
  • di come si sia diventati inevitabilmente coscienti di quanto e come la paventata unità tra le nazioni europee si basasse su altisonanti dichiarazioni d’intenti in cui in pratica ciascuno continuava a perseguire in maniera pressoché indisturbata i propri interessi “fraternizzando con il nemico” ed esponendo l’Intera Europa a un pericoloso ricatto
  • di come il tanto decantato Diritto Internazionale costituisca sì il fondamento dell’insieme dei principi in cui le nazioni si riconoscono e in base al quale decidano di regolamentare i reciproci rapporti, ma che nel concreto sia tale fintanto che quanto in esso esposto sia riconosciuto e rispettato da tutti e che basti una presa di posizione unilaterale di un attore che imponga la propria decisione con la forza ad evidenziarne l’intrinseca debolezza e l’inefficacia delle “condanne morali”, sebbene si debba riconoscere come esse siano i presupposti per mozioni politiche ed economiche da parte di organismi con un maggior grado di praticità esprimibile

e di molto altro ancora…

In pratica, ci troviamo dinanzi ad una gelida doccia di realtà. In questi termini, quanto accaduto il 24 febbraio 2022 è stato un punto di rottura: le conseguenze in termini di sanzioni e relazioni diplomatiche potranno anche essere temporanee, ma la consapevolezza acquisita sugli errori commessi e a lungo reiterati si imprimerà nelle coscienze ben più a lungo.

Sarebbe però alquanto ingenuo, riduttivo ed anche pretenzioso ritenere che a tutto ciò si sia giunti in conseguenza dei cinquecento giorni di guerra che con oggi stiamo vivendo.

La guerra a cui stiamo assistendo ha radici ben più profonde e più antiche e l’atto di invasione è stato solo il tassello finale di un lungo percorso.


Andando a ritroso di ben cinquecento anni, e giungendo ai secoli XVI e XVII si approda a un periodo cruciale nella storia dell’Ucraina, un periodo in cui il paese era diviso tra la Confederazione Polacco-Lituana e l’Impero Ottomano e in cui non mancarono conflitti, rivolte e cambiamenti politici aventi impatti significativi.

Nel XVI secolo l’Ucraina occidentale faceva parte della Confederazione Polacco-Lituana, una monarchia elettiva avente un sistema politico che riconosceva un certo grado di autonomia alla nobiltà, mentre la stragrande maggioranza della popolazione, costituita da contadini, era ovviamente priva di diritti politici.

Nello stesso periodo l’Ucraina meridionale era invece sotto il controllo dell’Impero Ottomano, la potenza musulmana che a quel tempo controllava vasti territori in Europa, Asia e Africa. L’Ucraina meridionale, in particolare, era nota con il nome di Khanato di Crimea, un regno vassallo dell’Impero Ottomano, spesso utilizzato come base per le incursioni dei Tartari in Ucraina (occidentale) e Polonia.

All’interno di tale contrapposizione, emerse un gruppo sociale e militare noto con il nome di cosacchi; inizialmente si trattava di contadini fuggiti dai luoghi d’origine per stabilirsi poi nelle terre di frontiera e designati con il nome di “Zaporozhian Sich”. Dettero vita a una sorta di repubblica militare, in forma di un autogoverno e divennero a poco a poco famosi per la loro abilità militare, in particolare per la loro cavalleria leggera.

I cosacchi giocarono successivamente un ruolo fondamentale nella resistenza contro i tentativi di oppressione sia da parte della Confederazione Polacco-Lituana che dell’Impero Ottomano. In particolare, nel periodo 1591-1593 i cosacchi furono impegnati contro quest’ultimo e la Crimea.
Fu solo molto dopo, nel 1648, sotto la guida di Bohdan Khmelnytsky che i cosacchi riuscirono a ribellarsi anche contro la Confederazione Polacco-Lituana durante la cosiddetta “Rivolta di Khmelnytsky”, dando inizio a una serie di conflitti che si protrassero per decenni.

La rivolta costituì un punto cardine nella storia dell’Ucraina, non solo determinando un nuovo assetto politico nella regione, ma modificando anche la composizione etnica e religiosa del paese, ponendo le basi della nazione.

La “Rivolta di Khmelnytsky”, comunque, non determinò un’indipendenza duratura per il paese: Khmelnytsky cercò di stabilire un’alleanza con la Russia auspicando che ciò potesse garantire di poter resistere alle pressioni della Polonia e dell’Impero Ottomano. L’esito di tale negoziazione sfociò nel 1654 nel “Trattato di Pereyaslav”, di fatto il primo atto di rilievo che sancì l’inizio di un profondo legame tra Ucraina e Russia.

Ancora oggi le conseguenze storiche di tale trattato sono oggetto di dibattito:

  • da un lato, chi sostiene che abbia costituito un atto di sottomissione, al punto di definire lo stesso Khmelnytsky come un vero e proprio vassallo della Russia e la nascita di una vera e propria unione tra Ucraina e Russia
  • dall’altro (in particolare tra gli ucraini), chi invece ritiene che il trattato abbia sancito un rapporto egualitario tra le due entità statali e che da parte ucraina ciò non abbia determinato alcuna rinuncia alla propria indipendenza

Innegabile, comunque, come il “Trattato di Pereyaslav” sia stato per secoli all’origine delle controversie tra Russia ed Ucraina più volte sfociate in tensioni quando non anche in veri e propri conflitti.

Nel periodo immediatamente successivo al trattato, la sua intrinseca inefficacia in termini di garanzia di pace all’interno del paese divenne evidente, con lo scoppio delle Guerre Russo-Polacche volte al predominio sull’Ucraina.
Fu necessario un intero decennio prima che Russia e Polonia decidessero di negoziare una pace che venne infine sancita con la firma del Trattato di Andrusovo nel 1667.
Come conseguenza del trattato ancora una volta il territorio ucraino venne diviso tra i contendenti: la riva orograficamente sinistra del fiume Dnepr e la città di Kyiv passarono sotto il controllo russo, mentre la riva destra rimase sotto il controllo polacco, determinando altresì la fine dell’indipendenza dello stato cosacco.

Il XVIII secolo fu caratterizzato da ulteriori spartizioni, questa volta con protagonista la Polonia stessa, i cui territori furono divisi tra Russia, Prussia ed Austria, determinando di fatto la scomparsa della Polonia come stato per oltre un secolo. La Russia acquisì gran parte del territorio ucraino in conseguenza di tale spartizione, determinando un periodo di dominazione che durò fino a gran parte del XX secolo e durante il quale venne operato il cosiddetto processo di “russificazione” dell’Ucraina: le tradizioni e la lingua ucraine furono fortemente represse e la cultura russa imposta alla popolazione.

Durante il XIX secolo la russificazione fu sistematicamente operata al fine di tentare di integrare l’Ucraina nell’Impero Russo, tentando di eliminare le originarie tradizioni culturali e linguistiche. In particolare, l’uso della lingua ucraina fu fortemente limitato e in alcuni casi anche proibito sistematicamente con conseguente diminuzione del suo utilizzo in favore della lingua russa. Parimenti, anche le tradizioni ucraine vennero sminuite presentando la cultura russa come superiore.

Nonostante la forza e la pervasività del processo di russificazione, non mancarono i tentativi di resistenza: in particolare, diversi intellettuali ucraini cercarono – nonostante la forte opposizione russa – di preservare e promuovere la cultura ucraina fondando società culturali, pubblicando libri e giornali in lingua ucraina, con l’obiettivo di far comprendere alle persone l’importanza della loro originaria cultura.

Il processo di russificazione contribuì ad alimentare i contrasti sociali tra le due culture al punto da costituire ancora oggi una delle ragioni della reciproca diffidenza e della difficoltà di integrazione che persiste in alcune regioni dell’Ucraina (indipendentemente dal fatto che siano state o meno direttamente coinvolte nel conflitto in corso).

Durante il XX secolo, quello tra il 1917 e il 1921 fu sicuramente uno dei periodi più tumultuosi dell’intera storia dell’Ucraina.

La Rivoluzione Russa del 1917 determinò il collasso del governo zarista in Russia e l’ascesa dei bolscevichi, raccolti all’interno del partito comunista capeggiato da Vladimir Lenin, L’impatto di tale evento si riversò su tutti i territori dell’ex Impero Russo, Ucraina compresa.

Nel gennaio del 1918, in risposta al cambio di regime in Russia, l’Ucraina dichiarò la propria indipendenza, dando vita alla Repubblica Popolare Ucraina, il che suscitò ovviamente la netta contrapposizione dei bolscevichi russi che ambivano invece a riportare l’Ucraina sotto il controllo russo.

Di conseguenza si scatenò una vera e propria guerra civile tra l’esercito della Repubblica Popolare Ucraina, l’Armata Rossa bolscevica e vari gruppi anarchici e nazionalisti (oltre ad alcune forze dell’Impero tedesco che avevano occupato parte dell’Ucraina durante la Prima Guerra Mondiale). Dopo gli inevitabili e molteplici cambi di potere, l’Ucraina venne divisa tra la Repubblica Socialista Sovietica Ucraina controllata ad est dai bolscevichi e la Repubblica Popolare Ucraina indipendente ad ovest. L’espansionismo bolscevico, tuttavia, ebbe la meglio e nel 1921 la Repubblica Popolare Ucraina capitolò e la vittoria dell’Armata Rossa determinò l’inserimento dell’Ucraina all’interno delle repubbliche dell’Unione Sovietica.

Il controllo politico e territoriale non fiaccò in ogni caso gli animi del popolo ucraino che continuò a prodigarsi sia in episodi di resistenza armata che vera e propria resistenza culturale difendendo le proprie radici.

Gli anni che seguirono, ed in particolare il 1932-1933 furono tra i più tragici della storia dell’Ucraina, con protagonista la grande carestia, o Holodomor, artificialmente causata dalle politiche sovietiche e che fu concausa della morte di milioni di persone.

Durante l’appartenenza all’Unione Sovietica, l’Ucraina fu oggetto di politiche tipicamente sovietiche volte a trasformare l’economia e la società: una di queste riguardò la cosiddetta collettivizzazione dell’agricoltura. Nel tentativo di modernizzare l’economia sovietica il governo cercò di sostituire le fattorie private con fattorie collettive di stato, imponendo tale cambiamento con la forza e suscitando inevitabili resistenze tra i contadini che vennero di conseguenza perseguitati e additati con disprezzo come “kulaki” ovvero “contadini ricchi”.

La crescente opposizione tra contadini e governo sovietico culminò nel 1932 con l’imposizione di quote di grano eccessivamente alte al punto che i contadini stessi non potevano più garantire la sussistenza delle proprie famiglie. A ciò si aggiunse da parte del governo sovietico la confisca di grano ed altri prodotti alimentari, tolti alla popolazione per esser destinati all’esportazione determinando, di fatto una vera e propria carenza alimentare generalizzata.

Ne conseguì la Grande Carestia, o Holodomor durante la quale un gran numero di persone perì letteralmente di fame, mentre il governo sovietico continuava a negare l’esistenza di tale carestia rifiutandosi di fornire aiuto e perseguitando chi cercasse di opporsi a tale decisione seppur mosso dalla fame.
Un evento di tale portata ha ovviamente lasciato cicatrici profonde e non ancora del tutto rimarginate nella memoria collettiva, al punto che l’innegabile responsabilità ideologica e politica del governo sovietico è ancor oggi letta da molti ucraini come un deliberato tentativo da parte russa di genocidio del proprio popolo.

Non passarono molti anni prima che sull’Europa prima e sul mondo intero poi, calasse l’ombra della Seconda Guerra Mondiale.

Fino al 1941 l’Ucraina – fino a quel momento facente parte dell’unione Sovietica – venne invasa dalle forze dell’Asse, guidate dalla Germania nazista, all’interno dell’Operazione Barbarossa. L’occupazione nazista si rivelò nel tempo, in termini di violenza ed atrocità, all’altezza di quanto già osservato negli altri territori in precedenza invasi dalla Germania, con brutali repressioni e con il genocidio degli ebrei. Durante il periodo di occupazione, alcuni ucraini provarono a collaborare con i nazisti sperando che ciò avrebbe potuto renderli indipendenti dall’Unione Sovietica, mentre altri combatterono contro l’esercito invasore, sia tra le fila delle forze armate sovietiche che in gruppi di resistenza indipendenti.
Nel 1943 l’Unione Sovietica iniziò a riconquistare i territori occupati dai nazisti, ma ciò non comportò un miglioramento della situazione per la popolazione che invece dovette subire una nuova campagna di repressioni da parte del governo sovietico volta ad eliminare qualunque dissenso e ristabilire il pieno controllo.

Si stima che tra i 5 e gli 8 milioni di ucraini siano morti durante la Seconda Guerra Mondiale, come conseguenza diretta della guerra, della repressione, dell’Olocausto e della fame. Allo stesso tempo il paese uscì devastato dal conflitto, con molte città completamente distrutte e numerose infrastrutture inservibili.

Dal punto di vista etnico culturale, i sopravvissuti dopo la Seconda Guerra Mondiale in Ucraina divennero più omogenei rispetto al passato a seguito della deportazione degli anni precedenti o della successiva espulsione di ebrei, tedeschi e polacchi; ciò pose ulteriori premesse per un rafforzamento dell’identità ucraina ancora oggi stretta nella memoria delle sofferenze subite durante la prima metà del secolo scorso.

La ricostruzione post-bellica fu un processo lungo e difficile in cui il governo sovietico investì significative risorse. Nonostante ciò, la carenza di infrastrutture e la repressione di qualsiasi opposizione, oltre alla limitazione delle libertà personali, resero le condizioni di vita durissime per ancora diversi anni a venire.

Il lento miglioramento, conseguente all’accesso a quanto indispensabile per vivere, rinfocolò il sentimento di autodeterminazione e il desiderio di indipendenza ucraino, che negli anni precedenti era stato fiaccato dalle enormi difficoltà post-belliche, ma mai sopito. La crescente tensione verso il governo sovietico sfociò in varie forme di protesta con proteste pacifiche e resistenza culturale, ma anche episodi di resistenza armata.

Nel 1986, il 26 aprile, l’Ucraina venne nuovamente scossa da una catastrofe: in conseguenza di una dissennata politica relativa alla progettazione, gestione e sicurezza dell’impianto, il reattore numero 4 della centrale di Chernobyl subì la fusione del nucleo e lo scoperchiamento, liberando una quantità di isotopi radioattivi nell’aria e nel terreno circostante tale da costituire il maggior disastro nucleare civile della storia dell’uomo.

Al di là alle conseguenze immediate e a medio / lungo termine (numero delle morti più o meno direttamente legate a malattie per assorbimento di radiazioni e una vasta area attorno alla centrale ancor oggi dichiarata inabitabile) l’impatto emotivo in Ucraina e nel mondo intero fu enorme.

La gestione russa della vicenda, volta a minimizzare gli effetti dell’accaduto finì per esacerbare le tensioni tra Ucraina e governo sovietico.
Verso la fine degli anni ’80 l’Unione Sovietica iniziò a indebolirsi sempre più: sotto la guida di Mikhail Gorbachev vennero introdotte riforme volte a liberalizzare l’economia e la società sovietica, che posero le basi per la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991, anno durante il quale l’Ucraina dichiarò la propria indipendenza, segnando la fine del lunghissimo periodo post-bellico.

Tale momento segnò l’inizio di un vero e proprio nuovo capitolo nella storia del paese, mosso dalla ricerca di una propria identità e da un inedito futuro come paese finalmente indipendente.

Le sfide non erano comunque terminate: problemi economici, alta inflazione e dilagante corruzione furono un lascito del periodo sovietico di non semplice eradicazione.

La transizione economica causò, peraltro, inevitabili diseguaglianze all’interno del paese, con conseguente nascita di sacche di povertà; parimenti, il cammino di consolidamento delle istituzioni democratiche richiese molto sforzo al punto di non essere ad oggi ancora completato.

Va altresì riconosciuto all’Ucraina come abbia però potuto bandire libere elezioni, dotarsi di un sistema giuridico indipendente e redigere una nuova costituzione.
La giovane democrazia ucraina si è però rivelata in più occasioni fragile anche a causa del non risolto problema di corruzione e frequenti cambi di governo: in termini di politica internazionale le relazioni con la Russia hanno costituito un argomento divisivo all’interno del paese tra detrattori e sostenitori, tra chi ambiva ad un avvicinamento alla sfera geopolitica costituita dall’Unione Europea e dalla protezione militare della NATO e chi invece riteneva un errore allontanarsi definitivamente dalla Russia.

Le conseguenti tensioni hanno determinato debolezze e instabilità all’interno del paese e sono sfociate nel 2009 nella cosiddetta disputa del gas durante la quale la Russia sospese l’erogazione verso l’Ucraina di fatto causando un pesante blocco delle attività produttive, con un notevole impatto sull’occupazione e l’economia del paese oltre che su altri paesi europei che attraverso tali gasdotti si rifornivano.

Fu solo nel 2010 con l’elezione del presidente ucraino filorusso Yanukovych che si giunse a un trattato tra Russia e Ucraina volto alla garanzia della fornitura all’interno di un più ampio quadro di collaborazione in termini di rapporti energetici tra i due paesi.

Nel 2014 iniziò letteralmente un nuovo periodo per la storia dell’Ucraina moderna. La cosiddetta Rivoluzione di Euromaidan, nata per protestare contro l’interruzione (operata da parte dal proprio governo) dei negoziati con l’Unione Europea, portò alla destituzione di Viktor Yanukovych, dando il via ad un periodo di instabilità politica e di nuove e crescenti tensioni con la Russia che culminarono con l’annessione da parte di quest’ultima della Crimea attraverso un’operazione militare mirata.

La condanna internazionale di tale gesto da parte della Russia non tardò ad arrivare e a concretizzarsi con l’applicazione di sanzioni (che con il senno di poi si riveleranno assolutamente insufficienti, specie in quanto non accompagnate dalla coerenza politica tra gli Stati dell’UE).

Come se non bastasse, in Ucraina quasi contestualmente scoppiarono conflitti armati nelle regioni di Donetsk e Luhansk tra le forze ucraine e i gruppi indipendentisti sostenuti, fomentati, foraggiati ed armati dalla Russia, determinando nel tempo, politicamente, la nascita di due repubbliche separatiste.


E con ciò si arriva (e ritorna) alla data del 24 febbraio 2022 che mi auguro, dopo questa lunga passeggiata tra cinque secoli di storia dell’Ucraina, venga meglio letta per ciò che rappresenta:

  • il punto d’arrivo di una mai sanata divergenza culturale
  • il punto di partenza di un nuovo periodo storico e di una nuova consapevolezza

Auspicando infine un prossimo futuro in cui l’Ucraina possa finalmente sentirsi un’unica nazione e un paese libero mi sorge spontanea una riflessione:

“è la forza di un popolo nel difendere la propria identità oggi a ricordarci come l’essere davvero uniti non significhi essere uguali (né di avere l’ingenua presunzione di poterlo essere), bensì è mantenere ciascuno le proprie peculiarità mentre ci si impegna a perseguire gli obiettivi comuni”

Concludo con la traduzione in italiano dell’inno ucraino che, letto con la cognizione degli ultimi cinquecento anni di storia del paese, assume un profondo significato:

Non è ancora morta la gloria dell’Ucraina, né la sua libertà,
a noi, giovani fratelli, il destino sorriderà ancora.
I nostri nemici scompariranno, come rugiada al sole,
e anche noi, fratelli, regneremo nel nostro Paese libero.
Daremo anima e corpo per la nostra libertà,
e mostreremo che noi, fratelli, siamo di stirpe cosacca.

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