In occasione del 25 aprile un lato poco conosciuto della guerra di liberazione, visto attraverso gli occhi dei servizi segreti italiani.
A ridosso della sconfitta definitiva subita in nord Africa nel maggio del 1943 da parte delle truppe italo-tedesche, iniziarono all’interno del panorama politico-militare italiano le macchinazioni finalizzate alla deposizione del regime mussoliniano, ritenuto dal sovrano e da gran parte della nazione (elementi del P.N.F. compresi) ormai giunto alla fine dei suoi giorni. Seguiremo in questo articolo le vicende del servizio informazioni italiano dalla caduta del fascismo alla fine della guerra, raccontando un lato poco conosciuto della guerra di liberazione, che, affrontata e discussa attraverso svariati argomenti, raramente è stata vista attraverso gli occhi dei “servizi segreti” italiani.
Le fasi della liberazione, dalla caduta del fascismo all’armistizio
Il 25 luglio 1943 cadde il fascismo e il S.I.M.[1], come ogni altro organo statale, fu ovviamente coinvolto nel terremoto politico che seguì la caduta di Mussolini. Nonostante il servizio informazioni italiano fosse riuscito a mantenere una relativa autonomia rispetto al regime, fu inevitabile cadere sotto l’influenza dello stesso, pur sottolineando che per quanto riguarda la repressione interna delle attività antifasciste l’organo principale durante l’epoca mussoliniana fu l’OVRA[2]. Nonostante la tendenza monarchica delle forze armate nello stesso S.I.M. non mancavano certo i sostenitori di Mussolini e del regime. Nei giorni antecedenti al 25 luglio nello stesso S.I.M. vi furono scontri interni, rapporti volutamente sbagliati ed altri inganni, atti ognuno a supportare la propria causa fosse essa legata al fascismo o alla destituzione di esso.
Una volta caduto il fascismo, primo passo verso laliberazione, il nuovo capo del governo, il maresciallo Pietro Badoglio, iniziò a dubitare della lealtà del direttore del S.I.M. Cesare Amé[3]. Quest’ultimo che aveva incontrato il capo dei servizi segreti tedeschi, l’ammiraglio Canaris, su indicazione del nuovo capo del governo, con l’obiettivo di dissuaderli dall’inviare ulteriori truppe in Italia, tuttavia, mantenne un atteggiamento prudente nei loro confronti e il risultato fu il fallimento del suo tentativo di mediazione con Canaris. Già nella lista dei possibili “filo-tedeschi” al punto che venne tenuto all’oscuro di quanto fu ordito ai danni di Mussolini nel luglio del 1943, venne infine destituito da Badoglio il quale utilizzò come scusa il mancato successo del suo incontro con la controparte tedesca.
Il 20 agosto 1943 Badoglio decise di riportare a capo del S.I.M. una vecchia conoscenza, il generale Giacomo Carboni, già direttore del S.I.M. fino al settembre 1940. Carboni iniziò subito a adoperarsi per la defascistizzazione dell’intelligence italiana e gli agenti del S.I.M. ritenuti troppo vicini al partito fascista vennero nella maggior parte dei casi congedati e posti sotto strettissima sorveglianza.
Il S.I.M. si concentrò così sul fronte interno. Si temeva infatti un nuovo colpo di Stato, questa volta a favore del vecchio governo fascista. Per scongiurare ciò, Carboni iniziò a costituire una rete di controspionaggio interna, con l’obiettivo di individuare e arrestare tutti gli elementi sospettati di possibili azioni contro lo Stato.
Sono in molti ad attribuire al S.I.M. la morte di Ettore Muti, ex segretario del PNF e al tempo al servizio del S.I.A.[4] Muti si trovava nella sua villa a Fregene quando venne arrestato dai Carabinieri il 24 agosto 1943, quella stessa notte venne ucciso in circostanze misteriose. Secondo il rapporto dei Carabinieri, durante l’arresto vennero improvvisamente sparati dei colpi da parte di ignoti e nel parapiglia Muti si diede alla fuga, dove venne quindi raggiunto da alcuni proiettili sparati dagli stessi Carabinieri.
Le reali circostanze della sua morte non furono mai chiarite ed è probabile che Badoglio abbia deciso di far fuori un personaggio scomodo, definito da un rapporto del S.I.M. come “estremamente pericoloso”. Carboni continuò il suo lavoro di defascistizzazione fino all’8 settembre, giorno in cui venne comunicata la resa dell’Italia. Dopo l’armistizio anche il S.I.M. finì per sbandarsi come quasi tutte le forze armate italiane. Carboni fuggì a Brindisi come la maggior parte degli elementi principali del governo, compreso il Re. Tuttavia, La guerra era tutt’altro che finita.
La rinascita del S.I.M
Pochissimi elementi del servizio informazioni riuscirono a raggiungere Brindisi. Quei pochi però si riattivarono subito per riformare il S.I.M. che inizialmente prese il nome di Ufficio informazioni e collegamento. In ottobre l’ufficio venne trasferito a Napoli e lì il nuovo servizio informazioni riuscì a ricominciare la sua opera. Vennero istituite nuove reti di spionaggio, finalizzate al supporto del fronte militare clandestino, un’organizzazione formata dai militari rimasti a Roma e leali al governo Badoglio. Le operazioni del S.I.M. furono decisive per la creazione ed il mantenimento di quei movimenti partigiani cosiddetti Badogliani[5] che combattevano per la liberazione dal nazifascismo.
A capo del servizio informazioni fu posto il colonnello Pompeo Agrifoglio, un agente segreto già impegnato nel nord Africa dal 1941 al 1943. A causa delle restrizioni imposte dagli alleati, il nuovo servizio informazioni non fu mai totalmente autonomo. Gli angloamericani non avevano molto fiducia negli agenti italiani, temendo potessero fare il doppio gioco per la neocostituita Repubblica Sociale Italiana.
Proprio nella neonata R.S.I. nacque un servizio informazioni formato da ex agenti del S.I.M. che scelsero di restare dalla parte di Mussolini. Chiamato S.I.D. (Servizio Informazioni Difesa), effettuò principalmente missioni di controspionaggio finalizzate a scoprire elementi sotto copertura al servizio del “regno del sud”, come ad esempio il caso del generale Faldella.
Proprio Faldella fu al centro di una vasta ed importante operazione del nuovo S.I.M. Il generale, infatti, aderì alla R.S.I. dove venne nominato intendente generale delle forze armate. Si trattava in realtà di un doppio gioco, Faldella infatti era il gestore di una rete di spionaggio clandestina all’interno della repubblica di Mussolini. Venne scoperto ed arrestato il 16 maggio 1944, scampò alla condanna a morte solamente grazie all’aiuto del generale Graziani, suo vecchio amico, passò successivamente il resto del conflitto a Milano sempre in contatto con gli esponenti del CLN.
Per volere degli alleati il S.I.M. venne formalmente sciolto nel novembre del 1944, cinque mesi prima della liberazione, proprio in seguito all’affaire “Faldella”. Gli alleati colsero infatti la palla al balzo ritenendo poco affidabile un servizio d’intelligence con degli elementi la cui fede non era mai stata realmente provata. Tuttavia, i suoi agenti continuarono ad operare in clandestinità grazie al nuovo ufficio informazioni dello stato maggiore, che teoricamente doveva servire solo da collegamento tra alleati e stato maggiore italiano, ma che in realtà funzionò anche da servizio di coordinamento per gli agenti dell’ormai ex S.I.M. dell’esercito. Gli agenti italiani continuarono il loro lavoro di controspionaggio per tutto il resto del conflitto all’insaputa delle forze alleate e fornirono un servizio prezioso alla resistenza italiana anche purtroppo al costo della vita di alcuni suoi elementi.
Fonti
– Cesare Amé, Guerra segreta in Italia 1940-1943, Casini Editore, 1954.
– Mimmo Franzinelli, Guerra di spie, Arnoldo Mondadori Editore, 2004.
– Gabriele Bagnoli, Cesare Amé e i suoi Agenti. L’intelligence italiana nella Seconda Guerra Mondiale, Idrovolante Edizioni, 2019
[1] Sviluppato dal suo precursore che operò durante la Grande Guerra (Servizio I) il Servizio Informazioni Militare venne fondato nell’ottobre 1925.
[2] L’OVRA fondato nel 1927 fu la polizia politica del regime fascista il cui compito era finalizzato al controllo ed alla repressione delle attività interne ritenute dannose per il regime.
[3] Il generale Cesare Amé fu a capo del servizio informazioni militare dal 1940 fino alla sua destituzione voluta da Badoglio nell’agosto 1943.
[4] Nonostante il S.I.M. fosse il principale organo d’intelligence italiano, la solita lotta tra le varie branche delle forze armate portò alla nascita di altri servizi d’informazioni, in questo caso il S.I.A. era quello legato all’Aeronautica Militare.
[5] I partigiani delle formazioni autonome militari legati per lo più al Regio Esercito piuttosto che ai movimenti partigiani poi confluiti nel Comitato di liberazione nazionale rappresentarono una grossa fetta della resistenza italiana, inquadrati ed organizzati come vere e proprie unità militari si unirono al Corpo Volontari della Libertà solo in un secondo momento.