Gli eserciti europei già verso la fine del 1914 compresero che la Grande Guerra sarebbe stata una guerra di posizione. E, per oltrepassare le trincee nemiche, inventarono una nuova arma: il carro armato.
Durante il primo conflitto mondiale i vertici militari delle nazioni in guerra si trovarono nel dover cercare di risolvere l’enigma tattico della guerra di posizione. La guerra di movimento sul fronte occidentale era praticamente terminata verso la fine del 1914 ed i soldati si ritrovarono invischiati in una sanguinosa e dispendiosa (in termini di uomini) lotta dove ad avere ragione era spesso e volentieri chi si trovava nella fase difensiva. Trincee e soprattutto le mitragliatrici (una delle armi più iconiche della grande guerra) avevano provocato l’impasse tattico da cui nessuno sembrava in grado di uscire.
Per queste ragioni l’esercito britannico pensò bene di iniziare lo sviluppo di una nuova arma capace di sfondare il fronte nemico e di risolvere finalmente il problema della guerra di posizione. Nel 1916 i britannici ultimarono l’impostazione del loro primo carro armato, il “Mark I”. L’idea era quella di utilizzare un mezzo sufficientemente protetto da potersi avvicinare indenne alla trincea nemica e di poter aprire così il varco necessario alla fanteria per poter penetrare la linea difensiva avversaria.
Il “Mark I” vide il suo primo impiego in battaglia il 15 settembre 1916 a Flers-Courcelette, durante la battaglia della Somme. L’utilizzo di questa nuova e innovativa arma attirò immediatamente l’interesse di tutti gli eserciti della Grande Guerra, che iniziarono così a sviluppare dei programmi per lo sviluppo e la fabbricazione di mezzi equivalenti.
Lo sviluppo del primo carro armato in Italia
L’Italia interessata a questa nuova arma che sembrava essere rivoluzionaria, inviò nel gennaio 1917 un ufficiale sul fronte occidentale, nelle Fiandre, con lo scopo di visionare i carri armati impiegati dagli alleati franco-britannici.
L’ufficiale in questione, il Capitano Alfredo Bennicelli[1] comprese le potenzialità del carro armato e si adoperò sia all’interno dell’esercito italiano e sia con gli alleati al fine di ottenere un carro da poter testare sul fronte italiano per capire come quest’arma si potesse adattare alle esigenze del nostro teatro di battaglia. Alla fine, riuscì ad ottenere il carro francese “Schneider CA1” che fu utilizzato in via sperimentale sempre sotto la supervisione del Capitano Bennicelli in Friuli.
Questi test furono giudicati buoni dall’esercito italiano che avendo premura nel volersi avvalere del carro armato sul campo di battaglia voleva evitare di attendere lo sviluppo di un carro italiano, anche perché vi erano problemi di carattere economico che potevano essere facilmente superati semplicemente chiedendo agli alleati di fornire i loro carri.
Il tempo passava e la guerra continuava; l’esercito italiano riuscì senza non poca fatica ad ottenere cinque carri “Renault FT” dai francesi che arrivarono in Italia solamente verso la metà del 1918.
Nel frattempo, però la FIAT che aveva fiutato l’affare decise di iniziare a provare a sviluppare un proprio carro armato da proporre all’esercito italiano che nel frattempo aveva già chiesto alla FIAT di studiare un progetto da far valutare ad una commissione militare. Gli ingegneri della FIAT senza avere la possibilità di esaminare da vicino i carri degli alleati ma “ispirati” solamente da qualche foto e da rapporti resi pubblici dai giornali[2] riguardo questi nuovi mezzi costruirono un primo prototipo.
Il capitano Bennicelli diventato ormai promotore della nuova arma nell’agosto 1918 procedette ad una dimostrazione davanti al ministro della guerra Zupelli, tale evento venne svolto con l’utilizzo dei cinque “Renault FT” ottenuti dai francesi. Per l’occasione Bennicelli pilotò personalmente uno dei carri.
L’esito fu estremamente favorevole[3], al punto che il ministero della guerra procedette con l’ordine di un centinaio di “FT”; tuttavia, qualche mese dopo con il conflitto che si avviava alla sua conclusione per evitare spese giudicate a quel punto scarsamente utili ci fu una scrematura dell’ordine d’acquisto e fu acquistato un numero enormemente minore di carri. Quasi un anno prima però, tornando al progetto FIAT era stato mostrato un primissimo prototipo di FIAT 2000 ad una commissione militare.
Anche in questo caso, nonostante si trattasse di un progetto non ultimato (il carro aveva addirittura lo scafo incompleto e non era armato), si diede parere positivo. Già all’epoca si parlò di corruzione e tangenti, tuttavia, la cosa non venne mai provata. La FIAT procedette così allo sviluppo di un secondo modello di FIAT 2000 (lasciando molto probabilmente il primo prototipo incompleto) che venne consegnato all’esercito italiano verso la metà del 1918.
Le specifiche del FIAT 2000
Il primo carro armato italiano alla vista si presentava in maniera similare agli altri carri pesanti dell’epoca, ispirandosi chiaramente al “Mark I” britannico ed al “A7V” tedesco. Il FIAT 2000 con le sue quaranta tonnellate di peso ottenne il primato del carro più pesante dell’epoca; equipaggiato con un motore FIAT A12 (un motore aeronautico) poteva raggiungere una velocità massima di 7,5 Km/h su strada, mentre fuori strada il carro era enormemente più lento.
La sua autonomia era di 75 Km. Armato con sette mitragliatrici FIAT-Revelli 14 e con un cannoncino da 65 montato in torretta girevole sulla parte superiore del carro, possedeva una buona potenza di fuoco. L’equipaggio era composto da dieci persone, di cui sette mitraglieri, un cannoniere, un pilota ed un capo carro. Il suo essere enorme e lento si rivelò essere un problema al di fuori dalle strade battute.
In molti casi il carro si impantanava ed i suoi cingoli evidentemente troppo stretti per la mole del mezzo non erano d’aiuto su terreni incidentati. Con queste specifiche fu presto chiaro che il FIAT 2000 non poteva essere un mezzo adatto a gran parte del fronte italiano della Grande Guerra.
Storia operativa
Il FIAT 2000 non vide mai il campo di battaglia della Prima guerra mondiale, entrato in servizio troppo tardi e con il suo equipaggio in fase di addestramento non fece in tempo ad avere il suo battesimo del fuoco. Tale ritardo sembra però sia dovuto anche alla scarsa considerazione del mezzo dopo alcune prove ad equipaggio completo, dato che come abbiamo detto la sua performance fuori strada lasciava molto a desiderare.
Col finire della Grande Guerra il parco carri del Regno d’Italia era composto da: due FIAT 2000 (di cui solo uno realmente operativo), un carro “Schneider CA1” e quattro “Renault FT”. Verso la fine del 1918 questi mezzi vennero inquadrati in quella che è la prima unità corazzata italiana della Storia, la “1a Batteria Autonoma Carri d’Assalto”.
Il FIAT 2000 vide finalmente il suo primo impiego operativo nel febbraio 1919, quando il reparto di cui faceva parte venne inviato in Libia per operazioni di polizia coloniale. L’unità venne impiegata contro i ribelli libici nella zona di Misurata, dove il carro si dimostrò troppo lento per i compiti assegnati. I lunghi tratti da percorrere e l’autonomia di soli 75 Km decretarono definitivamente l’inefficienza del FIAT 2000 nel contesto coloniale.
Terminato il ciclo operativo del reparto in Libia, il destino del carro si fa incerto. Abbiamo indicazioni certe del fatto che al momento del rientro in Italia della sua unità il FIAT 2000 non venne riportato nella penisola ma restò a Tripoli, dove infatti fu presente nel 1920 ad una parata. Da quel momento in poi del carro si perdono le tracce. L’altro esemplare di FIAT 2000 mai diventato realmente operativo rimase a Roma.
L’ultima notizia legata al carro è del 1936, dove risulta essere stato utilizzato come monumento presso la sede del “3o Reggimento fanteria corazzato” accasermato a Bologna. L’esemplare con ogni probabilità venne successivamente demolito allo scopo di riutilizzarne il metallo. Nel 2020 l’Associazione Nazionale Carristi d’Italia ultimò la costruzione dell’esatta replica del FIAT 2000 che è oggi esposta presso il Museo civico delle forze armate 1914 – 1945 a Vicenza.
Danilo Morisco
[1] Il capitano Alfredo Bennicelli è idealmente considerato il fondatore dei carristi italiani.
[2] La FIAT prese come punto di riferimento il primissimo prototipo di carro inglese “Little Willie” sviluppato verso la seconda metà del 1915. Il carro in realtà non vide mai il campo di battaglia ma fu utile agli inglesi per il successivo sviluppo del “Mark I”.
[3] Il “Renault FT” era un carro leggero, pesante solamente 6,6 tonnellate ed estremamente maneggevole se confrontato agli altri carri dell’epoca. Sicuramente più adatto al fronte italiano rispetto ad un carro pesante incapace di percorrere terreni incidentati.
Fonti:
- Rivista Mezzi Corazzati, Il carro armato FIAT-2000 Dal 1917 alla costruzione della replica, Archivio Storia, 2022
- Maurizio Parri, Tracce di cingolo – compendio di generale di storia dei carristi 1919-2009, Assocarri, 2009
Una risposta
direi che le limitazioni del grande Fiat 2000 erano principalmente di natura logistica. Nessuno ne parla ma immagino fosse piuttosto complicato trasportarlo via ferrovia (andava smontato a metà) e praticamente impossibile (per autonomia e velocità) farlo muovere su lunghe distanze sui propri cingoli. Tra l’altro ponti della giusta classe di peso non credo fossero molte. Non solo le dimensioni quindi ma i vincoli imposti da una viabilità che non era certo quella di oggi. In sintesi era un grande problema riuscire a portare il carro laddove di volta in volta sarebbe servito.