Gli arabi nell’esercito di Mussolini

L’Italia e la Germania appoggiarono per anni il nazionalismo arabo, allo scopo di indebolire il potere dei britannici in Medio Oriente. Il Gran Mufti di Gerusalemme Al-Husseini appoggiò pubblicamente la causa delle nazioni dell’Asse e il 10 ottobre del 1941 si recò a Roma dove incontrò Mussolini. Successivamente visitò Berlino per confrontarsi con Hitler, il leader dei nazionalisti arabi chiese ai due dittatori il loro appoggio per la formazione una nazione araba in Medio Oriente.

Mussolini ribadì la sua assoluta amicizia nei confronti delle popolazioni musulmane (Il duce nel 1937 venne omaggiato da un capo arabo in Libia con la “spada dell’Islam”, un’arma cerimoniale fatta forgiare proprio per la cerimonia che vide il capo Yusef Kerbisc nominare Mussolini protettore dell’Islam), naturalmente si trattava semplicemente di un mero strumento propagandistico utile al regime nell’ottica di una espansione della propria influenza sui popoli del nord africa e del Medio Oriente.  Hitler allo stesso tempo, promise ad Al-Husseini di liberare il Medio Oriente dal dominio britannico. Il Gran Mufti si stabilì proprio a Berlino dove visse fino alla fine della Seconda guerra mondiale.

Nasceva cosi l’opportunità sia da parte della Germania che dell’Italia di poter sfruttare il mondo arabo a proprio vantaggio. La creazione di reparti composti da volontari arabi sarebbe servita esclusivamente come arma propagandistica più che un qualcosa con una vera utilità bellica in quanto il vero obiettivo era quello di cercare sempre più consensi nella popolazione araba sotto il controllo dei britannici con la speranza della nascita di rivolte e moti interni.

La formazione bellica degli arabi e le loro unità

Prendendo spunto dall’idea del generale Fedele De Giorgis che già nel 1941 aveva caldeggiato la possibilità di arruolare truppe arabe nelle fila del Regio Esercito, nel maggio del 1942 il Capo di Stato maggiore generale Ugo Cavallero predispose la creazione di un’unità araba che inizialmente prese il nome di “Centro Militare A”. 

L’unità venne addestrata a Roma sotto il comando del Colonnello Massimo Invrea ed al settembre 1942 comprendeva 300 uomini tra truppa, sottufficiali ed ufficiali. Naturalmente la totalità degli ufficiali era italiana e le truppe effettivamente di provenienza araba erano circa 130. La scarsità di volontari arabi costituì motivo d’imbarazzo per gli italiani che si videro costretti ad un accordo con i tedeschi. L’Italia si impegnò nell’inviare in Germania gli indiani catturati in nord Africa ed in cambio Berlino accettò di inviare a Roma 250 palestinesi.

Tuttavia, lo scambio rimase tale solo sulla carta dato che a conti fatti presso la capitale italiana arrivarono soltanto otto uomini. Continuarono così gli scambi diplomatici tra i due paesi dell’asse con l’Italia che promise di inviare un terzo dei prigionieri indiani (all’incirca 1.500 uomini in tutto) in Germania, confluirono così a Roma un’altra manciata di palestinesi, comunque inferiori alle cifre pattuite.

Successivamente venne decisa la creazione di altri Centri Militari, uno denominato “T” composto da elementi provenienti dalla Tunisia (Tra i quali molti italo-tunisini) ed un terzo chiamato “I” comprendente truppe indiane precedentemente catturate in battaglia durante la campagna del nord Africa a cui venne data la possibilità di lasciare la prigionia in cambio del loro arruolamento nelle fila italiane.

 Complessivamente i tre reparti formavano un’unità più grande chiamata Raggruppamento Centri Militari “Frecce Rosse”, alla fine del periodo di addestramento l’unità comprendeva al suo interno circa 1.000 uomini.

Il Gruppo “I” ebbe però vita breve, i suoi elementi a differenza del reparto composto dagli arabi, erano malvisti dal comando italiano in quanto ex combattenti per l’esercito britannico peccavano di disciplina, infine dopo la sconfitta di El Alamein le truppe indiane tentarono di ammutinarsi. Vennero così disarmate e inviate di nuovo nei campi di prigionia.

Il comando del Regio Esercito completò l’addestramento delle truppe arabe in fretta e furia per scongiurare l’arrivo di unità arabe inquadrate nell’esercito tedesco. Nel dicembre del ’42 infatti l’OKW comunicò al comando italiano di voler inviare in nord Africa il suo Deutsche-Arabische Lehr (L’unità araba aggregata alla Wehrmacht).

Per tutta risposta, due dei tre reparti costitutivi del Raggruppamento “Frecce Rosse”, il Gruppo “A” ed il “T” (Rinominato Battaglione d’Assalto “T”) vennero inviati in Tunisia il 2 gennaio del ’43. Per l’Italia sarebbe stato uno smacco troppo grande nell’ambito delle relazioni diplomatiche con le popolazioni musulmane lasciare che i tedeschi impiegassero gli arabi in Africa prima di loro.

Gli arabi sul campo di battaglia

Le due unità vennero aggregate alla Divisione “Superga”, raggiunsero il fronte il 25 gennaio. Il 28 avvenne il loro primo scontro a fuoco, il Gruppo “A” si trovava nella zona di Kesra, quando venne investita dall’attacco della 1ª Divisione Americana, contrariamente alle aspettative le truppe arabe combatterono con grande coraggio. Le truppe americane inflissero loro gravi perdite (101 tra morti, feriti e dispersi).

Medesima la sorte del Battaglione “T” che subì perdite gravissime, rimpiazzate però da altri volontari tunisini reclutati sul posto. Il “T” successivamente si scontrò con le truppe della Francia Libera, anche in questo caso il numero di caduti fu altissimo. L’unità allo sbando fu costretta ad una marcia forzata per rientrare in linea e non restare intrappolata nelle file nemiche. Le truppe italo-tunisine riuscirono poi ad evitare la cattura combattendo con grande tenacia contro i francesi.

L’andamento della campagna di Tunisia, per certi versi segnato fin dall’inizio, segnò anche la fine dei reparti arabi. Tra l’11 ed il 13 maggio le due unità si arresero agli alleati, dopo aver perso complessivamente sul campo di battaglia circa 300 uomini. Per il Battaglione “T” la fine delle operazioni in Tunisia fu doppiamente tragico, essendo infatti elementi del posto vennero giudicati come dei traditori da parte dei francesi con conseguenze gravissime sia per loro che per le loro famiglie.

Gli arabi di Mussolini, un pugno di uomini

Nonostante tutto alcuni elementi delle due unità riuscirono a riparare in Italia. Una volta raggiunta Roma, sede del Raggruppamento Frecce Rosse, i superstiti della campagna di Tunisia vennero riorganizzati in un’unica unità chiamata Battaglione d’Assalto Motorizzato equipaggiata con AS-42 “Sahariana” e qualche autocarro.

L’unità venne schierata a nord di Roma, precisamente a Monterotondo, dove ebbe compiti di presidio e sicurezza interna. Il 25 luglio alla caduta di Mussolini, l’unità fu chiamata a concorrere al ristabilimento dell’ordine nella capitale.

L’8 settembre al momento della dichiarazione dell’armistizio fra l’Italia e gli Alleati, l’unità (I cui componenti arabi erano ormai in numero ridotto) era a Roma disposta per la difesa di importanti infrastrutture come la sede dell’EIAR (antenato della RAI).

Sorprendentemente nonostante il caos, l’unità non si sbandò, restò anzi agli ordini del comando italiano. Una compagnia partecipò agli scontri contro i tedeschi che cercavano di impadronirsi della capitale nei pressi di Porta San Paolo. Mentre un’altra, dislocata a Monterotondo, si impegnò insieme ad altre truppe italiane contro le forze tedesche provenienti da nord.

Il 10 settembre con la resa delle unità italiane nei dintorni di Roma, l’unità finì per sciogliersi. Alcuni decisero di proseguire la loro battaglia nelle fila della Repubblica Sociale Italiana, altri invece si misero al servizio degli Alleati e del Regno del Sud.

Danilo Morisco

Fonti

Stefano Fabei, La legione straniera di Mussolini.

Giancarlo Mazzucca, Mussolini e i musulmani.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *