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Perché il grande Paese nordafricano interessa all’Italia.
Per sua natura geografica l’Italia è incastonata in uno dei bacini d’acqua più grandi al mondo, comunicante con il resto delle acque solo via stretto di Gibilterra ad ovest e per canale di Suez ad est. Aggrappato al continente europeo attraverso le Alpi a nord, lo stivale è proteso verso il grande continente africano a sud, affacciando in particolare sulla Tunisia ma anche e soprattutto sullo spiazzo libico. Guardando una semplice cartina geografica, molti paesi circondano il nostro ed è legittimo chiedersi perché tra questi ci si voglia soffermare proprio sulle Libie. Ma di ragioni ce ne sono tante.
Il periodo coloniale
Tripolitania e Cirenaica, che d’accordo non ci sono mai andate, formano la Libia, un paese con cui l’Italia ha un rapporto storico intricato e complesso. Dopo essere stata approdo di un espansionismo coloniale ritardatario nel 1911, è finita per entrare nei progetti fascisti imperiali a furia di guerriglia, controguerriglia e campi di concentramento, con lo scopo di farne la propria quarta sponda, annettendola di fatto alla nazione ed equiparandone la zona costiera ad una regione italiana. I porti che si trovavano in questo territorio dovevano assicurare il saldo controllo geopolitico dello specchio di mar Mediterraneo antistante lo stivale, consolidando il controllo sulle rotte commerciali che passavano per lo stretto di Sicilia in un momento in cui quello stesso mare era controllato dagli inglesi, a cui gli italiani già nazionalisti e poi fascisti sognavano di sostituirsi[1].
I rapporti nel periodo di Statualizzazione
Al termine della Seconda guerra mondiale, il controllo militare e politico diretto e i trasferimenti di coloni italiani in Libia divennero, nemmeno troppo velocemente, bollati di anacronismo e la decolonizzazione liberò finalmente il paese. Ma le necessità geostrategiche italiane non potevano essere cancellate con lo stesso colpo di spugna con il quale gli italiani si erano dimenticati della loro esperienza coloniale[2]. I governi democristiani sotto la spinta dell’Eni di Mattei cominciarono a tessere uno stretto rapporto con il paese che dal 1969 finì sotto il controllo della Ğamāhīriyya di Gheddafi. Nonostante qualche querelle diplomatica non trascurabile e recriminazioni libiche contro i crimini coloniali compiuti dagli italiani, risorse energetiche, controllo sui flussi migratori e rapporti di buon vicinato furono stabiliti tra italiani e libici durante gli anni[3] e mantenuti anche sotto l’egida del nuovo primo ministro Silvio Berlusconi che coltivando uno stretto rapporto con Gheddafi, era riuscito ad assicurarsi non solo quelle risorse e quella sicurezza geopolitica già stabilita durante i precedenti governi, ma anche toni di aperto dialogo e bon ton tra leader sanciti in un Trattato di amicizia nel 2008. Con questo accordo, impostato come un risarcimento italiano per il dominio coloniale, si garantirono in realtà investimenti per far costruire ad aziende italiane infrastrutture in Libia in cambio di agevolazioni finanziare per le ditte italiane operanti sul territorio. Anche il volume dei reciproci investimenti si intensificò notevolmente in quegli anni, rendendo l’Italia paese privilegiato[4].
L’instabilità dal 2011 in poi
La rivolta del 2011, nella più ampia ottica delle rivolte arabe, è stata per la Libia spartiacque che ha segnato la rottura dello status quo con un prima caratterizzato da ordine dispotico sorretto da Gheddafi e un dopo di disordine e guerra non particolarmente meno dispotico. Da quest’anno in poi, con una ricaduta nel 2014, varie forze sul campo si sono contese influenza e potere, tra cui un governo riconosciuto dall’Italia e dall’Europa di Unità nazionale e una formazione di miliziani guidata dal generale al Haftar oltre che numerosi altri gruppi e sottogruppi di cui il più noto è quello dell’ISIS.
In questa nuova fase storica, le Libie precipitano in una zona che su Limes hanno esaustivamente definito con il termine di Caoslandia[5] per esemplificare i caratteri di instabilità che caratterizzano questo territorio ad un passo dalle nostre coste. Questi eventi, disastrosi sul piano umanitario per le popolazioni locali, hanno determinato un peggioramento non indifferente anche della nostra sicurezza geopolitica. I flussi migratori che confluiscono in Libia dall’Africa subshariana sono finiti in mano a trafficanti di esseri umani e gli accordi presi dal ministro Minniti per arginare il problema sono stati solo un maldestro tentativo di risolvere la questione degli sbarchi clandestini che si sono intensificati negli anni a fasi alterne[6] e hanno determinato anche un aumento nella percezione collettiva degli italiani, non scevra di un certo razzismo, di essere vittime di invasione straniera.
Quindi, alla perdita di un importante partner economico, all’intensificarsi di un’emergenza umanitaria al confine e all’ingestibilità di flussi migratori che la classe politica italiana si è dimostrata tendenzialmente incapace di gestire si sono aggiunti nel 2019 ulteriori elementi di pericolosità. La presenza di mercenari russi in Cirenaica[7] per esempio ha determinato l’arrivo di militari turchi in Tripolitania,[8] allargando il conflitto a due nuovi attori: il primo informalmente nemico dell’Italia e l’altro, se non nemico nemmeno informalmente, comunque pericolosamente rivale.[9] L’attuale incapacità italiana di interessarsi al suo estero vicino potrebbe determinare gravi problemi per la collettività, da sempre intricata nella propria tensione tra essere e dover essere con scarse capacità di divincolarsi da questo paradigma filosofico.
Cristiano Rimessi
[1] Angelo Del Boca, Gli italiani in Libia, Tripoli bel suol d’amore 1860-1922, Milano, Mondadori, 1993; Angelo Del Boca, Gli italiani in Libia, dal fascismo a Gheddafi, Milano, Mondadori, 1994
[2] Per una comprensione di come il tema si è evoluto nella storiografia alcuni riferimenti sono: A. Del Boca, le conseguenze per l’italia del mancato dibattito sul colonialismo, in <<Studi Piacentini>> n°5, 1989, pp. 33-45; A. Del Boca, The Myths, soppressions, denials and Defaults of Italian colonialism, in P. Palumbo, A place in the Sun, University of California Press, Berkeley, 2003, pp. 17-36; N. Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, Il Mulino, Bologna 2002; N. Labanca, Compensazioni, passato coloniale, crimini italiani. Il generale e il particolare in G. Contini, F. Focardi, M. Petricioli (a cura di), Memoria e rimozione. I crimini di guerra del Giappone e dell’Italia, Viella, Roma 2010, A.M. Morone, Il vizio coloniale tra storia e memoria, in V. Deplano, A. Pes, Quel che resta dell’Impero. La cultura coloniale degli italiani, Mimesi, Milano-Udine, 2014, pp. 351-370
[3] John Wright, Libya: A Modern History, London, Croom Helm, 1981
[4] Claudia Gazzini, Berlusconi-Gheddafi la vera storia di una strana coppia, sito web di Limes, 14/12/2010, reperibile al link: https://www.limesonline.com/cartaceo/berlusconi-gheddafi-la-vera-storia-di-una-strana-coppia
[5] Carta di Laura Canali, Caoslandia versus Ordolandia, sito web di Limes, 6/04/2020, reperibile al link: https://www.limesonline.com/carta-ordolandia-caoslandia-usa-russia-cina-mediterraneo-intermarium/117160
[6] Cruscotti statistici del ministero degli interni reperibili al link: http://www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/it/documentazione/statistica/cruscotto-statistico-giornaliero
[7] Marc Nexon, Ces miliciens russes morts en Libye qui embarassent Moscou, Le point international 8/10/2019, reperibile al link: https://www.lepoint.fr/monde/ces-miliciens-russes-morts-en-libye-qui-embarrassent-moscou-08-10-2019-2340022_24.php#xtor=CS2-239
[8] RFI, Libye: le raisons de l’implication turquie dans le conflit, RFI, 27/12/2019, reperibile al link: https://www.rfi.fr/fr/afrique/20191227-envoi-troupes-turques-syrie-raisons-intervention-ankara
[9] Gianandrea Gaiani, Russia e Turchia: una Libia a me e una te, sito web di Limes, 1/03/ 2021 reperibile al link: https://www.limesonline.com/cartaceo/russia-e-turchia-una-libia-a-te-e-laltra-a-me
2 risposte
Complimenti per l’articolo. Molto interessante e scritto molto bene.
Ottimo articolo, rende bene il quadro, sopratutto l’assenza di attenzione, tantomeno di una seria politica estera con una strategia e di una prospettiva