Con il passare degli anni qualcosa sembra cambiare nell’atteggiamento cinese. La Cina è in una posizione geopolitica di estrema difficoltà: deve difendersi sia per mare che per terra. I rapporti con l’India sono storicamente tesi, ma il contrafforte montano del Tibet fornisce sufficiente sicurezza. A Nord vi sono le distese siberiane della Russia, i rapporti con la quale sono marcati da storica diffidenza reciproca e da convergenze tattiche più o meno ricorrenti ma sempre momentanee. L’unico accesso alla massa eurasiatica che permetta di non dover spedire le merci cinesi verso il nord in Siberia è la regione dello Xinjiang, storicamente turcofona ed islamica, instabile e segnata da moti centrifughi anche violenti e dalla quale arrivano anche le risorse naturali dell’Asia Centrale. Anche i confini meridionali – tra impraticabili monti e foreste con la Birmania ed il Vietnam – sono stati segnati in passato da linee di conflitto. I pericoli peggiori per la Cina vengono però dal mare.
I traffici cinesi
Dalle rapide vie blu passano la maggior parte dei traffici dalla Cina e verso la Cina, la quale però è circondata da fasce di isole ostili (Taiwan e Giappone) o sospettose (Indonesia, Malesia, Filippine) e con le quali esistono contese territoriali. In Corea si ha uno dei teatri politici più caldi del mondo: la Cina è costretta, volente o nolente, ad impedire il collasso nordcoreano per evitare che la riunificazione della penisola crei un’ancor più grande potenza vicinissima al cuore del potere a Pechino, per di più alleata degli USA. Proprio questo “dilemma della sicurezza” spinge i Cinesi a diventare più risoluti e intraprendenti nella loro politica estera e militare, cosa che oggi rende ostili i sospettosi e in futuro renderà gli ostili dichiaratamente nemici. La Cina ha bisogno, geopoliticamente ed economicamente, di profondità strategica. Geopoliticamente per sfuggire all’accerchiamento; perciò, essa investe nelle infrastrutture che svilupperanno il progetto della Nuova Via della Seta.
La tecnologia
Economicamente, perché è bisognosa di materie prime e di sbocchi per le proprie merci e per i capitali accumulati nel tempo, ma ancor di più di tecnologie. Preoccupate dalla massiccia presenza cinese in Africa e in Asia, le potenze occidentali corrono ai ripari alzando barriere commerciali e giuridiche per ostacolare le acquisizioni cinesi di competenze e tecnologie. La Cina continua ad affermare di non voler farsi Occidente e di voler agire confucianamente: nessun espansionismo militare, ma investimenti in infrastrutture e coinvolgimento dei paesi asiatici, africani ed europei in iniziative di reciproco vantaggio. L’Africa affamata di sviluppo ed i paesi europei strozzati dalla miope austerità non possono resistere, ma pochi possono dire se gli investimenti cinesi siano cavalli di Troia e se le infrastrutture potranno davvero essere volano di sviluppo locale e non puramente funzionali alla Cina, lasciando i paesi oggetto di investimento intrappolati nel debito contratto con la Repubblica Popolare (come nei casi di Pakistan e Sri Lanka).
La nuova politica
Che la Repubblica Popolare stia lentamente deponendo la politica di Deng Xiaoping di mantenimento di un bassissimo profilo internazionale: aumenta le proprie spese militari, apre basi all’estero, è ormai un punto di riferimento economico per l’Africa, l’Europa e l’Asia. Resta un paese che protegge il proprio mercato e il proprio modello di sviluppo, che non separa la politica dall’economia. Non si può dire, quindi, che la Cina si stia occidentalizzando in una prassi politica assertiva e – diciamolo – imperialista, ma si può affermare che essa rappresenta un interlocutore politico, oltre che economico, dal quale è anche opportuno tutelarsi. L’assertività muscolare americana degli ultimi trent’anni e il riflesso condizionato del forte che sa utilizzare solo la forza (“se l’unico strumento che sai usare è il martello, tratterai ogni problema come se fosse un chiodo”) hanno spinto Russia, Cina e Iran tra le braccia l’uno dell’altro, azzerando la manovra kissingeriana di separazione dei propri avversari. Poco ma sicuro: una potenza globale è tale quando ha il prestigio necessario. La drammatica vicenda del Coronavirus assesta un colpo forte all’immagine della Repubblica Popolare nell’opinione pubblica mondiale (colpo che i media statunitensi sono stati ben lieti di sfruttare); tuttavia la Cina risponde con una prontissima ed efficace diplomazia sanitaria verso i Paesi colpiti (tra i quali l’Italia).
Amedeo Maddaluno