Le immigrazioni barbariche, la battaglia di Adrianopoli e l’ultimo secolo dell’Impero Romano d’Occidente.
Non appena ci si muove da uno studio elementare dell’Antica Roma, pervenendo a un’analisi più critica e profonda, si capisce facilmente che il 476 d.C. identificato come anno della caduta dell’Impero Romano d’Occidente è una pura convenzionalità. Questo perché, per varie ragioni, possiamo considerare (almeno così la pensa gran parte degli storici moderni) la caduta dell’Impero Romano d’Occidente avvenuta quasi un secolo prima. L’evento principale alla base della dimostrazione di questa tesi è sicuramente la Battaglia di Adrianopoli, avvenuta il 9 agosto 378 d.C. e combattutasi in Tracia, nell’odierna Edirne, tra i Goti di Fritigerno e i Romani condotti da Valente. In molti non l’avranno forse mai sentita nominare, ma a livello storico è una battaglia non inferiore a Waterloo, a Poitiers e a Stalingrado. Certo, i periodi storici centrano ben poco, per usare un eufemismo, ma dobbiamo constatare che la odierna conformazione geopolitica europea (e non solo) proviene in parte da ciò che avvenne ad Adrianopoli. Cerchiamo però di non bruciare le tappe e andiamo per ordine. Iniziamo a parlare di come era l’Impero prima del 378 d.C.
La Roma del IV secolo
Seppur molto differente da quello del II secolo, non possiamo assolutamente affermare che l’Impero del IV secolo fosse un dominio in declino, tutt’altro. Ne è una prova il fatto che i barbari volessero entrare. Sicuramente l’Impero era cambiato, e non poco: tra i cambiamenti più grandi vi era l’avvento del cristianesimo e soprattutto la divisione in due, tra Impero d’Occidente e Impero d’Oriente. I Romani sapevano molto bene che al di fuori dei “limes” dell’Impero vi fossero molti altri popoli. Non è un caso che già da secoli intrattenessero rapporti con altri popoli, specie verso Sud, e che con questi avessero dei veri e propri rapporti “simbiotici” e di reciproca utilità. L’Impero faceva innegabilmente della sua forza l’autoritarismo, però si era capito che l’integrazione sarebbe stato un buon principio da mantenere negli anni per garantire la dignità ma al contempo la fedeltà e il clientelismo dei popoli sottomessi, con strumenti come l’estensione della cittadinanza oppure il servizio militare, simboli di come quello romano fosse “un dominio a geometria variabile”. I barbari che affronteremo in questa “trattazione” sono quelli del “limes” settentrionale, il confine delimitato dal Reno e dal Danubio. Questo è probabilmente il confine del quale i Romani avevano minor conoscenza. Sapevano che al di là vi fossero grandi steppe molto fredde, dove nessuno si era mai spinto. Sapevano che c’erano genti rozze ed incolte, ma per le altre cose dovevano lasciare posto all’immaginazione.
I barbari
Dal “mos maiorum” perveniva ai cittadini dell’Impero una concezione molto negativa dei barbari: gente disumana, violenta, balbettante (“bar bar” è proprio un’espressione coniata dai Greci che sta ad indicare la carenza linguistica e semantica di queste genti), quasi inutile. Con un approccio più razionale però nei palazzi del potere si diffuse sempre più la convinzione che i barbari fossero molto più di gente con cui combattere: sarebbero potuti essere manodopera innanzitutto, una manodopera abbondante e a basso costo (un po’ come oggi accade in molti Paesi, specie dell’Est), che poteva essere utile in molti asset strategici dell’Impero tra cui quello bellico e agricolo. Accogliere i barbari voleva dire anche un’altra cosa: avere un nemico in meno da combattere. L’Impero Romano era già di per sé un impero multietnico da molto tempo, un’unione di razze e religioni ed era quasi sempre riuscito a far convivere in pace tutta questa eterogeneità geografica e genetica. Sarà proprio infatti quando questa accoglienza venirà a mancare che si troverà di fronte un nemico molto più grande di come lo aveva immaginato.
L’Imperatore Valente
Prima di Adrianopoli i Romani erano entrati diverse volte in contatto con i barbari ed avevano anche compreso che molto spesso ad atteggiamenti rozzi e violenti si contrapponeva anche la voglia di una terra e di un futuro migliore, tanto è che il retore greco Temistio vissuto proprio in quel periodo era convinto che i barbari si sarebbero potuti civilizzare. Insomma, come accade nella vita di tutti i giorni, molte volte le cose sono più umane di quel che ci si aspetta e ad esse ci si abitua facilmente. In tutto ciò rimane il fatto che i barbari fossero realmente, se non trattati nel giusto modo, un pericolo. Quanto invece agli imperatori in carica in quegli anni, Valentiniano era a capo dell’Impero d’Occidente mentre suo fratello Valente si trovava alla guida di quello d’Oriente. Valentiniano era visto meglio di Valente, seppur lo storico Ammiano Marcellino (storico romano da considerarsi sicuramente di parte del tutto romana, che scrive qualche anno dopo Adrianopoli, fornendoci l’unica fonte attendibile di quel periodo) ci dia una buona impressione di quest’ultimo. Sarà probabilmente che Valente era un fanatico religioso, un ariano e per questo perseguitò i cattolici e non fece altro che inasprire i conflitti religiosi. Tuttavia, cercò di ridurre le tasse, combatté la corruzione e investì molto denaro in opere pubbliche. I barbari, intanto, erano accampati sulla riva del Danubio da giorni, completamente abbandonati a sé stessi e senza viveri. Eppure non ne vollero sapere di andarsene. Forse, dal canto loro, fecero bene: qualche mese dopo, in un assolato pomeriggio del 9 agosto 378, ad Adrianopoli, l’odierna Edirne, l’Impero subì una delle sconfitte più gravi della sua storia. I Goti di Fritigerno poterono esultare, e da quel giorno i Romani furono costretti a guardarli con un’ altra consapevolezza; la consapevolezza di chi era cosciente di aver perso la propria forza militare e l’ autoritarismo politico che li avevano caratterizzati fino a quel momento. Questo è il contesto nel quale, storicamente parlando, arriviamo al 476, anno da identificare nella caduta dell’Impero romano d’Occidente per pura convenzionalità, visto che l’impero era già in decadenza da tanto, troppo tempo. Si era logorato, da solo. E gli imperatori, ormai, non contavano più davvero nulla.
Flavio Maria Coticoni