Dieci anni dalla proclamazione del Califfato e la presidenza di Bashar Al-Assad

L’anniversario

Con gli occhi del mondo rivolti agli scontri in Ucraina, alle tensioni tra Israele e Gaza, ed alle minacce militari della Cina nell’Indo-Pacifico, è passato quasi inosservato un anniversario significativo: dieci anni fa, un ex leader miliziano di Al-Qaeda poco noto al grande pubblico, dichiarava dalla moschea di Mosul la fondazione del Califfato. Dopo una rapida ascesa durante la guerra civile in Libia, per la prima volta un gruppo jihadista si elevava al rango di Stato. Questo momento fu l’apice di una serie di devastanti attacchi terroristici a livello globale, il reclutamento di seguaci da ogni angolo del pianeta e la dichiarazione di una guerra contro ciò che consideravano il male degli stati, unendo alleati ed avversari contro un comune nemico.

La scarsa “mediaticità”

Il 16 giugno l’uccisione di un alto comandante dello Stato Islamico in Siria mediante un raid aereo, evento poco “coperto” dai media principali, evidenzia come la minaccia degli ultimi dieci anni rimanga prepotentemente attuale. La persistenza di tale pericolo implica la necessità di una costante vigilanza, che si estende oltre i consueti teatri di guerra, raggiungendo altre aree, come l’Africa. L’operazione in Siria serve da monito del fatto che lo Stato Islamico sta recuperando forze e capacità operative, persino in Europa.

L’evento ha rivelato notevoli sfide nell’ottenere e ricostruire informazioni attendibili. Questo ritardo informativo diventa particolarmente significativo quando sono coinvolti membri di alto livello delle strutture organizzative, generando dubbi sulla rapidità e veridicità delle comunicazioni ufficiali in contesti delicati.

Miliziani delle Syria Democratic Forces

Jenan Moussa, una giornalista specializzata di Ahkbar al Aan, un’importante piattaforma mediatica panaraba con sede a Dubai, ha cercato chiarimenti dalle Syria Democratic Forces (SDF), ma le risposte ottenute non hanno dissipato i dubbi. Le SDF, una coalizione di milizie ribelli formate con l’appoggio americano per combattere il Califfato in Siria, hanno ammesso di essere state informate dell’operazione militare che si stava svolgendo tra al Bab e Afrin, due aree strategiche al confine turco, riconoscendo di aver tenuto sotto osservazione un “obiettivo” specifico.

Le Syria Democratic Forces hanno confermato che l’individuo neutralizzato era incluso in una lista di 50 figure chiave consegnata agli Stati Uniti, lista che includeva nomi di alto profilo come Abu Bakr al Baghdadi, celebre per aver portato l’organizzazione al vertice del terrorismo globale. L’individuo in questione, pur non essendo tra i leader più eminenti, svolgeva un ruolo essenziale nel reclutamento all’interno del gruppo, un’attività fondamentale per la sua persistenza, che ha continuato incessantemente negli ultimi dieci anni.

Tra reclutamento e proselitismo

Il proselitismo è cruciale per la sopravvivenza del gruppo, il quale si affida ad individui motivati a supportare la causa attraverso diversi canali, inclusa la raccolta fondi e l’orchestrazione di attacchi. Tali operazioni sono meticolosamente coordinate da leader influenti che offrono guida e supporto ai membri, permettendo loro una relativa autonomia fino a quando non si richiede un impegno più significativo. In tale schema, anche gli attacchi attribuiti ai cosiddetti “lupi solitari” risultano spesso essere il frutto del supporto, sia diretto che indiretto, da parte di reclutatori, mentori od altri facilitatori.

La rimozione di una figura prominente nella rete di reclutamento rappresenta un duro colpo per l’IS, dato che esso si fonda in gran parte sulla fiducia reciproca e sulle capacità di leadership del reclutatore. Tali figure, essendo chiave nelle operazioni sul campo, costituiscono obiettivi primari nelle azioni di controterrorismo, soprattutto perché rimpiazzarle rapidamente è spesso complesso per l’organizzazione.

Secondo quanto riportato, un raid è stato condotto presso il campo per rifugiati di Kuwait al Rahma, alle porte di Afrin. Questo campo ospita individui fuggiti dalle zone della Siria teatro di conflitti tra governo e ribelli. In tali contesti di crisi, l’IS ha spesso trovato terreno fertile per il reclutamento, approfittando della disperazione di chi è in cerca di una qualsiasi promessa di miglioramento delle condizioni di vita, favorendo così la diffusione di ideologie estreme.[1]

Il presidente Assad

Bashar al-Assad, che ha ereditato la presidenza della Siria dal padre Hafez, è attualmente al centro di una controversia legale internazionale. La Corte d’Appello francese ha confermato un mandato di arresto contro di lui per la sua presunta responsabilità in un devastante attacco chimico nel 2013 (di cui alcuni osservatori denunciano la totale mendacità della ricostruzione dei fatti), che ha causato la morte di molti civili, tra cui donne e bambini. Durante l’Angelus del 1° settembre, Papa Francesco ha espresso una condanna decisa dell’uso delle armi chimiche, ricordando le “terribili immagini” di quei giorni e sottolineando l’inevitabilità del giudizio divino e storico sulle azioni umane.

A distanza di undici anni da quell’evento, si rinnovano i dibattiti sulla necessità di rendere giustizia, evidenziando le responsabilità di al-Assad come capo di un governo spesso associato a brutali repressioni. Inizialmente, la procura antiterrorismo francese aveva tentato di bloccare il mandato di arresto, citando l’immunità di cui gode come capo di stato in carica. Tuttavia, hanno argomentato che tale immunità potrebbe essere revocata solo attraverso processi internazionali, come quelli condotti dalla Corte Penale Internazionale, che si occupa di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Nonostante queste argomentazioni, la Corte d’Appello ha deciso di procedere con le azioni legali contro il presidente siriano, respingendo l’argomentazione dell’immunità.

Dalla narrazione legata alla figura di Hafez al-Assad emerge un particolare interessante: alla sua morte, un ritratto di Gamal Abdel Nasser era l’unico ornamento nelle sue stanze, simbolo del modello di leadership che avevano condiviso. Questo modello includeva leader arabi autoctoni, con radici contadine, carriere militari e propensioni golpiste, tratti distintivi sia di Nasser che di Assad. Sebbene sia complesso analizzare dettagliatamente le loro differenze in questo contesto, si nota come Bashar al-Assad abbia evoluto tale modello: ha abbandonato le origini rurali per un governo basato su legami clanici, trattative tribali ed una gestione finanziaria opaca, supportata da un’infrastruttura di servizi segreti.

Sotto la guida di Bashar, il governo siriano si è trasformato in una struttura sia commerciale che oppressiva, che ha raggiunto il culmine della sua ferocia durante la cosiddetta primavera siriana. Attraverso la narrazione della minaccia terroristica islamista, il governo ha cercato di intralciare gli Stati Uniti in Iraq, posizionandosi poi come il cosiddetto “male minore” di fronte ad un Occidente confuso. Lungo queste linee, la ricostruzione ufficiale ha spesso dipinto le atrocità come azioni degli insorti, descritti tutti come terroristi che avrebbero agito contro il proprio governo, portando alla morte di migliaia di civili. Tuttavia, questo racconto sta venendo corretto dalla magistratura francese, che sta riorientando l’attenzione sulle responsabilità reali, identificando il governo non più come vittima, ma come carnefice.

Il Presidente siriano Bashar al-Assad

Un processo giuridico recentemente tenutosi in Francia ha messo in evidenza gravi crimini contro l’umanità, grazie anche alla nazionalità siro-francese di una delle vittime. Durante il processo, è stata presentata un’ampia serie di documenti che implicano direttamente le alte sfere dell’intelligence siriana in numerose violazioni umanitarie. Queste evidenze hanno alimentato la possibilità di avviare procedimenti penali contro figure di spicco del regime, inclusa una possibile azione legale nei confronti del presidente Bashar al-Assad.

Accanto a questi sviluppi giuridici, si è profilato un complesso scenario politico. Assad, nonostante le gravi accuse a suo carico, ha ottenuto un rinnovato sostegno dai leader arabi, partecipando ai summit della Lega Araba. Tale reintegrazione ha permesso la riapertura di numerose ambasciate a Damasco, consolidando il potere di Assad in un paese segnato dalla devastazione, dove il valore di uno stipendio decente è paragonabile al prezzo di un chilo di zucchero.

In questo contesto, Assad è alla ricerca di finanziamenti per la ricostruzione della Siria; allo stesso tempo, gli è stato chiesto di cessare il traffico del captagon, una sostanza stupefacente sintetica che ha invaso il Medio Oriente. Nonostante queste pressioni, sembra che Assad non solo non abbia fermato il commercio della droga, ma abbia anche rafforzato le sue alleanze con rinomati cartelli di narcotrafficanti.

La crescente crisi umanitaria in Libano, esacerbata dal trasferimento forzato di un grande numero di siriani da parte del governo di Assad, ha portato il piccolo Paese alla soglia del collasso economico. L’incapacità del Libano di gestire tale massa di rifugiati si aggiunge ai suoi già gravi problemi finanziari, spingendo molti rifugiati a cercare rifugio in Europa attraverso vie clandestine.

Sorgono indiscrezioni su una possibile manovra di Assad, non ancora ufficialmente confermate, che suggeriscono un potenziale accordo con l’Europa: in cambio della normalizzazione delle relazioni diplomatiche e del ripristino delle attività finanziarie, il leader siriano faciliterebbe il rientro dei rifugiati. I dettagli di tale accordo, in particolare le condizioni di accoglienza dei rimpatriati, rimangono nebulosi e di marginale interesse per la comunità internazionale.

Contemporaneamente, emerge un fatto storico nel panorama giuridico internazionale: la giustizia francese ha incriminato Assad per crimini contro l’umanità, segnando un precedente per un capo di stato ancora in carica. Questa mossa giuridica pone seri dubbi sulla fattibilità di qualsivoglia negoziato con il presidente siriano, specialmente considerando l’eventualità di un mandato di cattura internazionale emesso dall’Interpol su richiesta della Francia.[2]


Riferimenti bibliografici

[1] https://formiche.net/2024/06/un-leader-dellis-ucciso-in-siria-dopo-dieci-anni-il-califfato-non-fa-piu-notizia/#content

[2] https://formiche.net/2024/06/assad-mandato-di-cattura-francia-siria/#content

Una risposta

  1. Complimenti ad Arianne Ghersi per la narrazione esaustiva e chiara su scenari a noi per il solito misconosciuti

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