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“Semplificare la realtà, a volte fino all’estremo, in modo da riportare una parvenza di ordine in quello che spesso è un mondo complesso e caotico, è proprio un’altra delle funzioni svolte dalle teorie del complotto.”
Massimo Polidoro, CICAP.
L’essere umano, come ci è sempre stato insegnato e come la nostra stessa storia ci ha fatto comprendere senza risparmiarsi di farci sbattere la faccia contro, ha sempre avuto bisogno di credere in qualcosa che gli potesse dare la voglia di scoprire qualcosa del suo passato.
Abbiamo sempre cercato qualcosa che ci potesse dare la capacità di sapere che vi ogni singolo dettaglio del mondo e dell’universo in cui viviamo… e anche oltre
Il guaio è che a volte, l’essere umano, senza voler fare discorsi inerenti alla cultura media di ognuno di noi, tende a credere fatti che non possano avere delle fondamenta.
Questo è il caso inerente alla Pila di Baghdad (altre volte chiamata Batteria, sebbene sia utilizzato di più il primo termine)
Nel 1936, presso il villaggio di Kuyut Rabbou’a, vicino a Baghdad , capitale dell’attuale Iraq, nonché una delle città più recenti della zona, essendo dell’VIII Sec. d.C., venne trovato da parte di un team di archeologi di diverse etnie (in particolar modo tedeschi, francesi e inglesi), un vaso che interessò subito il team di esperti che stavano cercando tracce inerenti la civiltà partica, un regno che durò dal 247 a.C. con l’instaurazione del Regno al danno dei Seleucidi ellenistici e che finì nel 224 d.C. quando venne sottomesso dal potere della dinastia Sasanide.
I Parti rappresentarono il secondo impero preislamico che aveva come fulcro il mondo iranico e che succedette all’impero Achemenide per quanto riguarda la cultura e la società, visto che attualmente, l’Impero arsacide viene visto come un impero iranico e non uno persiano.
Questo vaso si presentava come i tipici vasi dell’epoca, ovvero alti circa tredici centimetri di altezza, i tipici vasi che avevano un certo mix tra ellenico e quella persiana, ma che dentro di sé, nascondeva qualcosa di estremamente interessante.
Wilhelm König, il direttore del Museo Iracheno, dopo averlo studiato decise di presentare questi vasi nel 1938, rimanendo stupefatto sia dalla forma affusolata e a “Siluro” che aveva questo oggetto e li paragonò ai vasi di Seleucia che servivano per contenere i papiri, ma quello che vi era dentro era qualcosa di completamente diverso, qualcosa che gli appassionati di teorie di storie alternativa e di altro, avrebbero sicuramente paragonato ai lavori e alle letali armi che secondo certe teorie, vennero create da Nikola Tesla, personaggi sui cui purtroppo, vennero raccontate molte storie di fantasia.
Questi tipi di vasi potevano generare una quantità minima di energia elettrica, per che cosa poteva essere utilizzate? Come è possibile che questa civiltà potesse avere tale tecnologia? È stata portata da potenze che non conosciamo, come dicono alcuni “studiosi”? E se fosse stato questo, che cosa avrebbe portato?
Oppure erano semplicemente un frutto del caso? Uno dei tanti punti neri della storia e delle occasioni mancate che possono essere verificate nel corso della nostra breve storia?
Ma procediamo con calma e vediamo che cosa dissero le persone di quel tempo e ancora prima, che cosa conteneva questo vaso
Dentro ad esso, venne trovato un cilindro di rame, ottenuto arrotolando un sottile foglio dello stesso materiale, il quale a sua volta conteneva una singola barra di ferro, la quale era isolata dal cilindro tramite un tappo di asfalto.
Il cilindro non era a tenuta stagna e questo permetteva alla soluzione elettrolita di giungere a contatto con la barra di ferro.
Il livello di corrosione dei componenti interni ha portato alcuni studiosi a supporre che, come soluzione elettrolitica, si sia potuto utilizzare aceto, succo di limone o succo d’uva.
Konig parlò subito di una teoria derivante da una galvanizzazione dei metalli, conscio che anche i greci conoscessero l’elettricità e che erano consapevoli che determinati materiali, sovraeccitati in una maniera, potevano creare in qualche modo l’effetto elettrico, ma non erano mai riusciti a ricrearlo alla perfezione, anche perché sinceramente, non lo trovavano come un fattore estremamente interessante, ergo non ci persero mai davvero troppo tempo sotto questo aspetto, non trovandoci vera utilità, ma solo un motivo di svago, soprattutto per quando si parla del magnetismo.
Il direttore del Museo, inoltre, pensò che potesse essere un nuovo metodo per poter applicare l’elettro placcatura dell’oro, una tecnica di copertura dei metalli tramite un altro materiale, che a livello canonico venne utilizzata per la prima volta da un italiano, ovvero Luigi Brugnatelli, il quale utilizzò per questo esperimento delle cellule voltaiche, visto che tale esperimento venne fatto durante la seconda metà del diciannovesimo secolo (circa 1855 d.C), ciò portò a far credere al direttore che questo processo sarebbe stato presente fin dagli inizi dell’Impero Partico, visto che per Konig, tale vaso sarebbe stato creato nel 250 a.C., quindi anche leggermente prima dell’avvento Arsacide in Persia, ma questa sua teoria venne smontata da un suo collega, ovvero John Simpson del British Museum, legato soprattutto al dipartimento di Orientalistica.
Simpson notò che probabilmente la stessa datazione di Konig , dicendo che essa fosse del tutto sbagliata, visto che il direttore del museo di Baghdad usò una tecnica troppo rudimentale per capire la sua origine, dato che Simpson lo datò a ben dopo, ovvero circa nel quarto secolo dopo Cristo, in piena supremazia Sasanide, ovvero il vero e proprio secondo impero persiano di cui abbiamo storia, uno dei più grandi rivali di Roma, che esistette dal 224 d.C. , quando questa dinastia sopraffò i Parti e che finì nel 651 d.C. , quando la Persia venne conquistato dal Califfato Rashidun arabo, coloro che avrebbero portato l’Islam in quelle terre.
Secondo Simpson, la faccenda era ben diversa, ovvero che essi fossero semplicemente dei vasi che potessero contenere delle pergamene sacre, quindi, perché dentro vennero trovati dei metalli?
Nel suo referto, Simpson ci spiega il perché, dicendo che tale pratica era comune in Partia, in particolar modo per quanto riguarda l’oro e l’argento, i quali hanno sempre avuto un’importanza estremamente importante per le popolazioni mesopotamiche ed iraniche (e non solo) ,in particolar modo .in epoca achemenide era presente la “trinità” divina di cui ci parlò anche il Federico Arborio Mella, ovvero quella di Ahura Mazda, il dio supremo, Mithra, dio della lotta e della guerra e Anahita, Dea dell’acqua e della cura, questa pratica venne poi portata avanti anche dagli Arsacidi e dai Sasanidi, specialmente dai secondi, i quali si consideravano i veri precursori degli Achemenidi.
Anche se sembra che questa pratica venne perfezionata dal popolo di Hatra, una città presente nell’attuale Iraq, che fu estremamente importante nel periodo Seleucide, nonché poi importante città di confine per i romani tempo dopo.
Quindi, la teoria di John Simpson avrebbe anche senso, ma è finita qui? No assolutamente, visto che ora entriamo nell’ambito più “Interessante”, ovvero quello dedicato alla storia alternativa
A questo vaso si interessarono particolarmente due nomi incredibilmente importanti per quanto concerne la Storia Alternativa e la Paleoastronautica, ovvero Peter Kolosimo e Erich Von Daniken, i quali videro subito in questo misterioso contenitore un’ottima occasione per poter parlare delle loro teorie, in particolar modo avvalorando il fatto che sebbene la Pila fosse di chiare origini umane e create dall’essere umano, la tecnologia non era ancora stata scoperta, ergo era stata portata da visitatori extraterrestri, il quale sarebbero poi andati via.
Per utilizzare questa teoria, Von Daniken e Kolosimo si basarono in una maniera alquanto poco convincente su quello che lessero da un non preciso, ovvero lo Samhita, che in uno scritto disse che:
In un recipiente d’argilla si deve collocare una placca di rame accuratamente levigata. Poi la si deve ricoprire prima con solfato di rame e quindi di segatura di legno umida. Dopo si colloca sulla segatura una placca di zinco amalgamato a mercurio in modo da prevenire la polarizzazione. Dal contatto di questi elementi scaturirà un’energia liquida conosciuta col duplice nome di Mitra-Varuna. Questa corrente separa l’acqua in Pranavayu e Udanavayu. Si dice che un centinaio di questi vasi messi assieme dia risultati sorprendenti
Con questa teoria, i due ricercatori cercarono di dare una veridicità storica inerente i Vimana, vere e proprie fortezza volanti, che potevano essere utilizzate per vari modo, in particolar modo come postazioni da combattimento fluttuante e come templi volanti, utilizzando proprio come motore i vasi simili a quelli che vennero trovati vicino a Baghdad, visto che tutti assieme, essi avrebbero contribuito a far muovere queste strutture che, sempre secondo Kolosimo e Von Daniken, vengono citati nella Mahābhārata , ovvero dove si narra in maniera mitologica del mondo degli Arii, coloro che poi avrebbero dovuto dare origine sia agli Iranici che gli indiani, un termine che poi verrà stravolto durante la seconda guerra mondiale, in particolar modo dalla Germania Nazista.
Non per nulla il termine Iran, coniato dal 1935 a livello ufficiale per la nazione significa “Il paese degli arii”
Inoltre, per quanto riguarda il discorso di Kolosimo e Von Daniken inerente all’utilizzo del vocabolo Samahita, non ha molto senso, visto che esistono tutta una serie di volumi che portano tali nomi e i due ricercatori non hanno mai spiegato nel dettaglio di quale libro stessero parlando, rendendo la loro confutazione, foriera di dubbi, visto che la ricerca della fonte, risulta essere il cardine di tutto il lavoro di un divulgatore, di un ricercatore e di uno studioso.
In conclusione, che cosa ha dimostrato la Pila o Batteria di Baghdad? Che cosa può essere a livello storico e storico alternativo? Per quanto riguarda i secondi, essa è ancora fonte di numerosi dibattiti ed opinioni, svariando tra l’ambito, scientifico, astronomico e militare, per i primi invece sono state poste diverse teorie interessanti, anche se nessuna di esse, ha dato una risposta certa su questo vaso.
- Molto probabilmente i papiri o le pergamene dentro, decomponendosi, hanno creato una reazione chimica che sotto determinate condizioni, potrebbe creare energie elettrica. Un’energia che comunque, non potrebbe alimentare nulla, ma soprattutto, qualcosa di non voluto.
- Un vaso isolante ante litteram utilizzato come esperimento e poi mai veramente portato avanti, come ci fa notare l’archeologo Ken Feder, il quale ci dice, che non sono presenti in alcun modo dei fili che potessero condurre energia elettrica.
- Alcune teorie parlano addirittura di un sistema di purificazione della birra. Ma su questa teoria, le fonti sono praticamente nulle o labili.
- Un semplice errore o caso, come si è visto più volte nella storia.
La Pila o Batteria di Baghdad ha sempre suscitato l’interesse e ancora adesso, risulta un oggetto che scatena un certo interesse, in maniera molto simile a quello suscitato dall’ Arca dell’Alleanza, la quale a volte, ha dei connotati simili all’oggetto che abbiamo visto fino adesso.
Anche i celebri Mythbusters fecero un esperimento per vedere se potesse funzionare ed ebbero un certo buon risultato, ma è anche vero che collegarono più di questi vasi, riuscendo ad ottenere comunque un risultato abbastanza modesto, che di certo, non avrebbe permesso le azioni mirabolanti di cui si è parlato poco prima.
Riferimenti bibliografici:
- Paszthory E.: “Electricity generators or Magic? The analysis of an unusual group of findings in Mesopotamia”, MASCA Reseach papers in Science and Archaeology.
- Kolosimo P.: “Astronavi nella preistoria.”
- Arborio Mella F. “L’Impero Persiano, da Ciro il Grande alla Conquista Araba”
- Fukai S. “The Artifacts of Hatra and Parthian Art”
- Von Daniken E. “Gli extraterrestri torneranno”
- Mythbusters 5X29 “Cooling a Six-Pack”