Hamas e criptovalute: il trait d’union tra jihad e finanza sommersa

I primi anni 2000:

Fin dal lontano agosto 2003, l’allora Presidente degli Stati Uniti George W. Bush, in una nazione ancora profondamente scossa dall’11 settembre, affermò in un discorso pubblico come il Dipartimento del Tesoro USA designasse cinque enti di beneficenza legati ad Hamas e sei allora alti dirigenti del gruppo quali Specially Designated Global Terrorist (SDGT). L’effetto immediato fu il congelamento dei fondi di tali enti e persone da parte degli Stati Uniti e l’imperativo diniego di ogni forma di transazione con i cittadini statunitensi.

Pochi giorni prima, il 19 agosto 2003, Hamas aveva compiuto un attentato suicida a bordo di un autobus a Gerusalemme: un attacco divenuto poi noto come il “massacro dell’autobus 2” e che causò la morte di 23 persone ed il ferimento di almeno altre 130. L’attentatore si fece esplodere su un autobus pieno di passeggeri, molti dei quali erano bambini che tornavano dal Muro del Pianto: uno dei più gravi attacchi compiuti durante la “Seconda Intifada”, che comportò severe ripercussioni, tra cui un netto inasprimento delle misure di sicurezza da parte di Israele.

I resti dell’autobus dell’attentato del 19 agosto 2003

L’allora segretario di Stato USA, John Snow, non usò mezzi termini per condannare l’accaduto: “I leader di Hamas, e quanti forniscano loro finanziamenti, hanno di nuovo le mani sporche del sangue di innocenti; mani, che vuote parole non sono in grado di lavare. Nell’opporre resistenza al piano di pace, Hamas sta sgretolando i sogni di libertà del popolo palestinese, la legittima ambizione di prosperità di uno stato indipendente”. Aggiunse quindi senza titubanza: “gli Stati Uniti continueranno a collaborare con fermezza assieme  ai propri alleati al fine di promuovere il riconoscimento di Hamas quale organizzazione terrorista e per bloccare le sue fonti di finanziamento e sostegno”.

In quell’occasione, vennero designati quali SDGT i seguenti allora leader di Hamas:

  • lo sceicco Ahmed Yassin , leader di Hamas a Gaza
  • Imad Khalil Al-Alami, membro dell’Ufficio politico di Hamas a Damasco, Siria
  • Usama Hamdan, uno dei principali leader di Hamas in Libano
  • Khalid Mishaal, capo dell’Ufficio Politico e del Comitato Esecutivo di Hamas a Damasco, in Siria
  • Musa Abu Marzouk, vicecapo dell’Ufficio politico in Siria
  • Abdel Aziz Rantisi, un leader di Hamas a Gaza che faceva capo allo sceicco Yassin

E le seguenti organizzazioni, che attraverso una rete di finanziamento europea, fornivano il loro supporto a Hamas:

  • Commite de Bienfaisance et de Secours aux Palestiniens (CBSP), in Francia
  • L’Associazione di soccorso palestinese (ASP), in Svizzera (organizzazione collegata alla CBSP)
  • Il Fondo per il soccorso e lo sviluppo palestinese, o Interpal, nel Regno Unito.
  • Associazione Palestinese in Austria, PVOE.
  • L’Associazione Sanabil per il Soccorso e lo Sviluppo, con sede in Libano

2003 – 2021:

Negli anni successivi, molte indagini ebbero luogo, sfociando in conseguenti azioni ritorsive verso Hamas ed enti finanziatori: in occasione del Middle East Forum del novembre 2021 vennero rivelati documenti atti a dimostrare come ben 46 mila sovvenzioni emesse dalla Sheikh Eid Bin Mohammad Al Thani Charitable Association, nota anche con il nome abbreviato di Eid Charity, fossero destinate a svariate organizzazioni islamiche a livello globale.

Le sovvenzioni in oggetto, emesse tra il 2004 ed il 2019, coinvolsero una cifra pari a 770 milioni di dollari USA dell’epoca, di cui una parte significativa finì in mano a gruppi jihadisti e loro delegati. Il Carnegie Endowment for International Peace, a seguito dell’evidenza documentale, descrisse l’Eid Charity come “probabilmente la più grande ed influente organizzazione di soccorso controllata dai salafiti al mondo”: già dal 18 dicembre 2013, a dar continuità alle rigide reazioni del governo USA del 2003, il fondatore di Eid Charity, Abdulrahman al-Nuaimi, era stato designato quale SDGT dal Dipartimento del Tesoro statunitense. Il lasso temporale di ben otto anni tra l’azione giuridica nei confronti fondatore dell’associazione e la dimostrazione di come l’intera Eid Charity fosse al servizio di gruppi estremisti, sottolinea la difficoltà e la complessità delle indagini che coinvolgono le reti di finanziamento, frenate sia dalle tempistiche di accesso alla documentazione, che dal sovrapporsi di normative internazionali (spesso non collimanti, quando non anche in parziale contrapposizione), che dall’ostruzionismo burocratico di qualche istituzione, che dalla mancata trasparenza di alcuni organismi bancari aventi sede nei cosiddetti paradisi fiscali.

La sede dell’associazione Eid Charity

Sempre a seguito di quanto emerso durante la medesima sessione del convegno, Sam Westrop, allora direttore del programma Islamist Watch del Middle East Forum, osservava: “Il ricorso al crowdsourcing (rete di finanziamento, n.d.a.) per la ricerca sulle centinaia di organizzazioni che ricevono fondi da questa importante istituzione del regime porterà ad una importante comprensione aggiuntiva dell’agenda di Doha. Vi è un chiaro finanziamento dei jihadisti nelle aree che è lecito attendersi: Yemen, territori palestinesi, Pakistan, tra gli altri. Ma c’è molto altro da indagare. Il livello straordinario di investimenti del Qatar, principale fornitore di finanziamenti islamici internazionali, nei beneficiari in Africa occidentale, Africa orientale ed Estremo Oriente, per esempio, merita un’attenzione particolarmente accurata da parte di giornalisti, cittadini ed organizzazioni investigative”. Parole che oggi – a fronte della vicenda Houthi, del 7 ottobre e del conseguente conflitto a Gaza – risuonano quanto mai sagge e lungimiranti.

2021 – 2023:

Occorre, tuttavia, attendere il 2023 affinché emerga una nuova (non sorprendente per gli analisti, in verità) sconcertante realtà: all’interno dei meccanismi di finanziamento di Hamas venne per la prima volta dimostrato un uso non secondario delle criptovalute.

Come riportato da Business Standard (rivista indiana specializzata nel mondo della finanza), “secondo esperti e funzionari, il gruppo militante palestinese Hamas si avvale di una rete finanziaria globale per incanalare il sostegno di enti di beneficenza e nazioni amiche, facendo passare denaro contante attraverso i tunnel di Gaza od utilizzando criptovalute al fine di aggirare le sanzioni internazionali”. Nella settimana successiva al 7 ottobre 2023, la polizia israeliana dichiarò di aver congelato un conto bancario Barclays che le autorità ritenevano collegato alla raccolta fondi di Hamas ed aver bloccato i conti in criptovaluta utilizzati per raccogliere donazioni: l’azione aprì uno scorcio sulla ramificata e complessa rete finanziaria, in parte trasparente, in parte nascosta, a sostegno di Hamas che guida il governo nella Striscia di Gaza dal lontano 2007: da un lato Matthew Levitt, ex funzionario statunitense specializzato in antiterrorismo, aveva stimato come la maggior parte del bilancio “trasparente” di Hamas, pari a oltre 300 milioni di dollari, provenisse dalle tasse sulle imprese, nonché da paesi quali Iran e Qatar o da enti di beneficenza, dall’altro, tra dicembre 2021 ed aprile 2023, Israele aveva sequestrato circa 190 account crittografici ritenuti collegati in maniera più o meno diretta ad Hamas.

Le molteplici forme di finanziamento di Hamas coinvolgono anche le criptovalute

Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha altresì affermato come l’Iran fornisse (dati 2023) fino a 100 milioni di dollari all’anno a sostegno di gruppi palestinesi, tra cui Hamas, e ha citato svariati metodi atti a spostare denaro avvalendosi di società fittizie, transazioni di spedizione e metalli preziosi. Contestualmente, il Dipartimento del Tesoro statunitense ha dichiarato come nel 2022 Hamas avesse creato una rete segreta di società in grado di gestire investimenti per un ammontare di ben 500 milioni di dollari in aziende sparse dalla Turchia all’Arabia Saudita, aziende contro le quali, a partire dal maggio del 2022, annunciò severe sanzioni.

Da anni Israele ha più volte sollevato la questione di come il sostegno dell’Iran ad Hamas non sia solo ideologico, ma anche operato attraverso finanziamenti occulti, sebbene riconosca, in virtù dei dati e dei documenti man mano emersi, come quanto fornito del governo iraniano non costituisca la parte preminente degli introiti di Hamas: solo rimanendo nell’ambito di quanto operato alla luce del sole, il Qatar, ad esempio, grazie agli introiti sugli idrocarburi, ha versato centinaia di milioni di dollari a Gaza fin dal 2014.

2023 – oggi:

Nel medesimo periodo, Brian Nelson, Sottosegretario USA per il terrorismo e l’intelligence finanziaria, partecipando alla XV conferenza annuale antiriciclaggio di Deloitte, ha lasciato una lunga e dettagliata dichiarazione, che si dipana dallo scenario del novembre 2023 fino al futuro prossimo riguardo alle iniziative che amministrazione statunitense è decisa ad intraprendere.

Nel dettaglio:

Operazioni di finanziamento di Hamas:

Hamas viene descritto da Nelson come “un’organizzazione terrorista con risorse eccezionali, comprendente un cospicuo numero di combattenti e dotata di un vasto arsenale che include droni, razzi e munizioni; dispone inoltre di strutture di addestramento e magazzinaggio distribuite in tutta la Striscia di Gaza e detiene considerevoli risorse finanziarie ed utilizza metodi sofisticati al fine di infiltrarsi nel sistema finanziario tradizionale”.

“Il sostegno finanziario di Hamas”, prosegue Nelson “proviene in parte anche dall’Iran, ma l’organizzazione genera significative somme di denaro attraverso portafogli di investimento segreti, che comprendono una rete di asset (risorse, n.d.a) globali valutati in centinaia di milioni di dollari. Tali investimenti consentono ai principali funzionari di Hamas di mantenere uno standard di vita elevato, anche fuori dalla Palestina, mentre i residenti comuni di Gaza vivono in condizioni difficili e con prospettive economiche scarse. Il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha mirato e continuerà a mirare a questi investimenti ed ai loro gestori.”

Il Sottosegretario USA per il terrorismo e l’intelligence finanziaria, Brian Nelson

Nelson chiarisce anche quanto siano variegate le fonti di introito di Hamas: “Hamas ottiene ulteriori entrate controllando i valichi di frontiera e le vie commerciali, oltre a sfruttare sistemi di racket e pratiche estorsive ai danni delle comunità locali. L’organizzazione riceve anche donazioni internazionali, spesso deviate illecitamente attraverso organizzazioni caritative fittizie.

L’uso di asset (portafogli, n.d.a.) virtuali per raccogliere e trasferire fondi è un altro strumento impiegato da Hamas e dal Jihad Islamico Palestinese (PIJ) per eludere il sistema finanziario tradizionale. Il Dipartimento del Tesoro collabora attivamente con enti internazionali per sequestrare centinaia di conti affiliati a Hamas ed al PIJ gestiti da fornitori di servizi di asset virtuali, impegnandosi a garantire trasparenza all’interno di tale ecosistema al fine di contrastare le attività illecite di criminali, stati canaglia e finanziatori di terrorismo.”

Azioni intraprese:

Il Sottosegretario USA descrive quindi l’operato pregresso dell’Amministrazione USA: “Il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha collaborato strettamente con giurisdizioni particolarmente vulnerabili alle reti finanziarie illecite di Hamas al fine di rafforzare i loro obiettivi di Anti-Money Laundering/Countering the Financing of Terrorism (AML/CFT), scoprire le relative reti di connessioni ed agevolare l’applicazione della legge e le azioni normative delle nazioni ospitanti. Il Tesoro ed i suoi alleati regionali, consapevoli dei rischi che Hamas rappresenta per i sistemi finanziari nazionali e globali, hanno intensificato i loro sforzi per contrastare il finanziamento dell’organizzazione. Qualora un’istituzione od una giurisdizione non adottino le misure appropriate, andranno incontro a possibili conseguenze.”

Nelson compie quindi una breve retrospettiva storica degli ultimi due decenni: “Dall’attacco dell’11 settembre, gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni a numerose persone ed entità collegate a Hamas a livello globale, inclusa una serie di organizzazioni caritatevoli che hanno avuto un ruolo chiave nel finanziare attività terroristiche, operanti anche negli Stati Uniti ed in Europa.

Per esemplificare le manovre finanziarie di Hamas, nel 2022 il Tesoro ha preso di mira i portafogli d’investimento globali dell’organizzazione, stimati in oltre 500 milioni di dollari e gestiti attraverso una rete di società fantasma che operano in diverse nazioni quali Turchia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Sudan ed Algeria.

Zaher Jabirin, alto dirigente finanziario di Hamas

Verso la fine del 2019, il Tesoro ha inoltre designato sei individui ed un’entità a causa dei loro legami con Hamas, tra cui Zaher Jabirin, alto dirigente finanziario di Hamas ed uno dei principali intermediari tra la Forza Qods iraniana e Hamas, Muhamad Izadi. Zaher Jabirin è stato capo del Dipartimento Finanziario di Hamas, sviluppando una rete finanziaria che ha permesso a Hamas di accumulare, investire e riciclare ingenti somme di denaro. Inoltre, è stata designata Redin Exchange, un’azienda di trasferimento denaro con sede in Turchia che ha trasferito decine di milioni di dollari a Hamas.”

Azioni in corso:

Nelson sottolinea l’insieme delle consapevolezze acquisite a seguito delle indagini congiunte ad opera dei servizi di intelligence: “Si è appurato come Hamas stia utilizzando la tragedia che essa stessa ha generato al fine di finanziare ulteriormente le proprie ambizioni terroriste. Si ha evidenza di campagne online di base, connesse a presunte organizzazioni benefiche precedentemente identificate in Kuwait, che chiedono contributi celandosi sotto la maschera di opere con finalità umanitarie.

Si stanno inoltre notando raccolte fondi sospette, probabilmente collegate ad Hamas, che utilizzano i social media con lo scopo di influenzare i provider (gestori, n.d.a.) di pagamento peer-to-peer (alla pari, n.d.a.) e le reti di carte di credito degli Stati Uniti.”

Il Sottosegretario procede evidenziando quali azioni siano state intraprese a contrastare il fenomeno: “Si collabora attivamente con diverse istituzioni onde scambiarsi informazioni sulle reti di finanziamento di Hamas, al fine di interrompere tali attività, e si incoraggia la segnalazione di ulteriori suggerimenti, contatti, post sui social media, numeri di conto, e indirizzi di portafogli di valuta virtuale. Si è entusiasti di ampliare questo tipo di collaborazione con istituzioni sia nazionali che estere per combattere il finanziamento del terrorismo.”

Le criptovalute, strumento atto a finanziamenti illeciti, sono percepite come una minaccia sempre più tangibile ed incombente

Nelson desidera altresì fornire rassicurazioni su come la determinazione degli USA a fronteggiare i finanziamenti ai gruppi terroristi non infici l’impegno ed il sostegno verso le organizzazioni umanitarie internazionali: “Per quanto riguarda i programmi di sanzioni degli Stati Uniti, le sanzioni antiterrorismo continuano a prevedere autorizzazioni di licenza atte a sostenere gli sforzi di alcune organizzazioni internazionali, quali Nazioni Unite (UN) e Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR), nonché volte a transazioni specifiche a supporto di attività legittime e predeterminate delle organizzazioni non governative. L’impegno per l’attività umanitaria non verrà mai meno.”

Agenda del Dipartimento del Tesoro per il 2024:

Il sottosegretario conclude il suo discorso di novembre 2023 volgendo lo sguardo al futuro prossimo (i giorni nostri): “Oltre agli sforzi volti ad interrompere il flusso di fondi a Hamas e altre organizzazioni terroristiche, è anche necessario affrontare le carenze sistemiche nel quadro dell’Anti-Money Laundering e del Countering the Financing of Terrorism (AML/CFT) degli Stati Uniti, sfruttate dagli attori illeciti per spostare, conservare e riciclare fondi: il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti sta procedendo ad una significativa modernizzazione del quadro AML/CFT, la più grande riforma dall’era post-11 settembre. La massima priorità nella strategia nazionale per combattere il finanziamento illecito è colmare le lacune legali e normative che gli attori illeciti sfruttano, inclusa l’implementazione del Corporate Transparency Act (CTA), che obbligherà diverse società statunitensi e straniere a rivelare alla FinCEN (Financial Crimes Enforcement Network) le informazioni sui loro reali proprietari.

FinCEN inizierà a raccogliere le informazioni sulla titolarità effettiva dal 1° gennaio 2024, conservandole in un database sicuro e non pubblico, e potrà condividerle con le autorità governative e gli istituti finanziari, proteggendole con adeguate misure di sicurezza.

FinCEN sta anche finalizzando una normativa atta a stabilire chi possa accedere alle informazioni sulla titolarità effettiva e come possano essere utilizzate e protette le relative informazioni. Si sta altresì lavorando ad una proposta di normativa volta ad aumentare la trasparenza nel settore immobiliare e si sta valutando l’inclusione degli advisor (consulenti, n.d.a) finanziari, un settore da 120 trilioni di dollari generalmente esente da obblighi completi AML/CFT, nei meccanismi di controllo, poiché in grado di facilitare il movimento di proventi illeciti. Tali iniziative normative sono intese a rafforzare e completare il lavoro più ampio previsto dall’AML Act al fine di semplificare, modernizzare e rafforzare il regime AML/CFT degli Stati Uniti, rendendo più difficile per criminali e terroristi sfruttare il sistema finanziario formale.”


Immagine evocativa a sottolineare la dicotomia del Patriot Act, tra esigenze di sicurezza e strumenti di sorveglianza

Di conseguenza, appare chiaro come il sistema di finanziamenti illeciti sfruttato dalle organizzazioni terroriste sia così ampio ed articolato, che la sola sinergia tra servizi di intelligence, sistema bancario, organizzazioni ed istituzioni, non sia più sufficiente a coprire tutte le casistiche reali, prima fra tutte il ricorso alle criptovalute. Diviene infatti necessario un adeguamento (anche normativo) delle procedure di revisione delle transazioni che garantisca al tempo stesso il mantenimento sicuro dei dati delle stesse e la loro possibilità di interrogazione da parte dei servizi preposti, in un complesso equilibrio tra la tutela della privacy e la sicurezza internazionale.

Il movimentato scenario delle prossime elezioni statunitensi potrebbe determinare – a seconda della scelta degli elettori – un rallentamento od un’accelerazione dei processi in corso, rischiando di sfociare in un’inefficacia di fatto delle misure intraprese a causa di possibili class action da parte di cittadini od imprenditori che vedano lesa la propria autonomia di investimento, oppure in uno sproporzionato inasprimento delle normative ed un eccesso di supervisione sulle attività dei singoli giustificato, da parte di chi governerà il Paese, da quanto stabilito dal Patriot Act in nome della sicurezza nazionale: in parte composto da misure a scadenza che richiedano di essere rinnovate al fine di rimanere in vigore ed in parte mitigato dal Freedom Act del 2015, il Patriot Act rende infatti ad oggi comunque legittima la raccolta dati, non più massiva, ma mirata.


Riferimenti bibliografici:

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