La dinamica storica della guerra ha sempre ruotato attorno all’eterna dicotomia tra offesa e difesa, manifestata nel concetto di “Cannone e Corazza”. Tralasciando gli antichi dispositivi d’assedio come trabucchi e catapulte, e le difese statiche quali castelli e mura, l’avvento delle navi corazzate in ferro durante il XIX secolo ha portato al concepimento di una difesa apparentemente invulnerabile alle artiglierie dell’epoca. Emblematica fu la contesa del 9 marzo 1862 durante la Guerra di Secessione americana, quando la USS Monitor e la USS Virginia, essenzialmente chiatte corazzate create dalla fusione di rotaie ferroviarie, si affrontarono in un duello d’artiglieria che durò 48 ore, senza che nessuna delle due navi subisse danni decisivi.
Il paradigma di “cannone e corazza” è stato costantemente aggiornato con l’introduzione di nuove tecnologie belliche: dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’innovazione del radar e lo sviluppo di missili, sia balistici che da crociera, hanno ridefinito le strategie di offesa e difesa. Un aggiornamento recente di tale dinamica si è manifestato il 16 maggio 2023 durante la battaglia di Kyiv, quando missili ipersonici russi, capaci di operare a bassa quota e raggiungere velocità superiori a cinque volte quella del suono, sono stati intercettati dalle versioni più avanzate del sistema di difesa aerea americano Patriot: sviluppi che sottolineano l’evoluzione continua e la complessità crescente delle strategie militari in risposta alle sfide poste dalle nuove tecnologie offensive.
L’architettura di difesa antimissile dei paesi occidentali, evolutasi attraverso una profonda analisi operativa e tecnologica lungo un arco di oltre tre decenni, si origina nel quadro geostrategico post-Guerra Fredda: un contesto in cui si è assistito all’intensificazione della proliferazione di armamenti di tipo Terra-Terra, inclusi missili balistici, missili da crociera e sistemi con guida autonoma. Il costo ridotto di tali sistemi ne ha reso possibile l’acquisizione da parte di diversi paesi in via di sviluppo, ampliando la minaccia in modo trasversale ed imprevedibile. L’avanzamento delle tecnologie di posizionamento satellitare, un tempo monopolio degli Stati Uniti ed ora accessibile anche a potenze quali Cina, Russia e paesi europei, ha drasticamente incrementato la precisione di tali vettori: ciò ha ridotto la dipendenza da sistemi di navigazione più costosi e complessi, quali le piattaforme inerziali laser od i sistemi di guida satellitare per missili balistici a lungo raggio. L’avvento della miniaturizzazione informatica e l’incremento della capacità di calcolo, a costi sempre più contenuti, hanno completato il quadro, rendendo le minacce più sofisticate e difficili da contrastare.
Il sistema difensivo in questione, sebbene altamente efficace, ha evidenziato limitazioni significative in termini di costi e schierabilità, risultando sproporzionato rispetto alle potenziali minacce offensive: le nazioni del blocco geopolitico “occidentale”, date le loro esperienze storiche e la scarsa tolleranza verso devastazioni su scala paragonabile ai bombardamenti subiti durante la Seconda Guerra Mondiale, si trovano di fronte a sfide critiche: qualsiasi attacco riuscito contro una delle loro capitali solleverebbe immediatamente gravi preoccupazioni a livello di opinione pubblica interna ed avrebbe ripercussioni disastrose sul piano economico ed industriale. È pertanto imperativo come tali sistemi difensivi siano ottimizzati al fine di contrastare efficacemente un ampio spettro di minacce, operando su differenti altitudini e velocità, onde garantire la massima protezione e resilienza.
Possiamo quindi logicamente dedurre come l’attuale scenario geostrategico sia caratterizzata da un equilibrio operativo tra corazzature ed artiglieria pesante, incluso l’impiego di munizioni ipersoniche. L’analisi del rapporto costi-efficacia rivela tuttavia disparità significative: la fattibilità di un sistema di difesa antimissile puro, nel medio termine, appare limitata. In uno scenario in cui il volume di forze in campo possa sopraffare la qualità tecnologica, l’ipotesi di un attacco preventivo sul territorio nemico potrebbe divenire una contromisura necessaria. In tale contesto, la probabilità della saturazione delle difese antiaeree (AA) aumenta, potenzialmente consentendo a uno o più sistemi offensivi di penetrare le difese territoriali.
Nell’analisi dei paradigmi di sicurezza contemporanei, emerge la problematica di come un sistema di difesa antiaerea avanzato possa innescare una nuova corsa all’armamento nucleare: tradizionalmente, il dislivello di potere tra una potenza militare superiore (il “Forte”) ed una minore (il “Debole”) si manifesta nell’uso della deterrenza nucleare da parte del Forte. Quest’ultimo, detentore di un arsenale nucleare, impiega tale capacità quale strumento di dissuasione contro il Debole, il quale potrebbe a sua volta possedere capacità belliche, seppur limitate, comprese armi chimiche montate su testate balistiche.
L’implementazione di un sistema impenetrabile di difesa antiaerea da parte del Debole complica significativamente tale dinamica: un simile sistema ridurrebbe l’efficacia di un attacco convenzionale o chimico da parte del Forte, il quale, in uno scenario di fallimento nell’eliminazione delle capacità difensive del Debole, potrebbe essere tentato di ricorrere all’uso di armi nucleari tattiche. Un’escalation del genere, a sua volta, potrebbe invalidare gli sforzi diplomatici e di controllo degli armamenti fino a quel momento realizzati, spingendo il Debole a sviluppare od acquisire a sua volta capacità nucleari quale ulteriore deterrente, intensificando in tal modo un ciclo di risposta armata e possibile proliferazione nucleare.
Nell’analisi delle dinamiche di deterrenza nel contesto di uno scenario di confronto bilaterale tra potenze nucleari, si osserva invece come la superiorità strategica possa inclinarsi verso la nazione attaccante che disponga di vettori nucleari più economici ed efficienti: un esempio attuale di tale dinamica è costituito dal regime nordcoreano, il quale, pur avendo un arsenale nucleare relativamente limitato, mantiene un efficace effetto deterrente a mezzo dei suoi vettori balistici che assicurano una credibile capacità di ritorsione. Parimenti, nel subcontinente indiano, si assiste ad una disparità nelle politiche nucleari tra India e Pakistan: quest’ultimo si concentra su una forza nucleare più contenuta, mentre l’India prosegue nello sviluppo di una triade nucleare complessa e costosa, rafforzando la postura di deterrenza in linea con le proprie aspirazioni di superpotenza globale. Tale diversità nell’adozione di strategie nucleari sottolinea come la deterrenza non sia solamente una questione di quantità, bensì anche di capacità strategiche e di efficienza economica.