Nella prima metà del secolo XVI, Siena, assieme a Lucca, Venezia e a San Marino, era uno dei pochi stati italiani che aveva ancora istituzioni repubblicane e non era soggetta a un Signore o a un Monarca. Il suo stato comprendeva tutta la parte sud dell’odierna Toscana, grossomodo corrispondente alle attuali province di Siena e Grosseto.
Per la verità in passato c’era stato un tentativo di diventare una signoria: fra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento, Pandolfo Petrucci governava pressoché come un Monarca lo Stato senese. Il suo governo, tuttavia, morì con lui, non avendo i suoi eredi le sue stesse capacità.
In epoca di lotte asprissime fra la Francia e Impero, basti pensare alle ben sette guerre combattute in Italia fra il 1498 e il 1559, Siena si distinse sempre per la sua storica fedeltà imperiale.
Carlo V stesso, Imperatore del Sacro Romano Impero e al tempo stesso re di Spagna (il famoso “regno dove non tramontava mai il sole”), aveva visitato la città nel 1536, ricevendo grandi onori, fra cui erezioni statue, banchetti, festeggiamenti vari.
Siena aveva, però, un grosso problema: le divisioni al suo interno. La sua politica era dominata da dei veri e propri partiti, i “Monti”. Lo scontro era particolarmente teso e più volte si verificarono in questi anni tumulti e disordini.
L’arrivo di Don Diego de Hurtado Mendoza a Siena
La situazione per Carlo V, Imperatore e Re di Spagna, era particolarmente delicata. Il Re di Francia, Enrico II, aveva sì subìto alcune sconfitte, ma aveva stretto alleanze potenti. I Turchi spostavano nei pressi delle coste italiane ogni qual volta il suo alleato francese volesse, minacciando soprattutto i possedimenti spagnoli nel Sud Italia (Regno di Napoli), ma anche la Corsica, assoggettata alla Genova dell’Ammiraglio Imperiale, Andrea Doria.
Più a nord, i principi tedeschi protestanti mal sopportavano di sottostare a un Imperatore che poco conosceva la Germania ed era cattolico osservante. In Italia, poi, molte signorie vedevano il pericolo dello strapotere dell’Impero: una su tutte, il papato, che ricordava le lezioni subìte dalle truppe straniere in Italia (si pensi ad esempio al Sacco di Roma del 1527).
Era una situazione preoccupante e l’instabilità di Siena costituiva un pensiero di più. Tumulti, disordini, cattivi rapporti con i vari rappresentanti imperiali, rendevano la repubblica toscana un presidio insicuro, tanto da temere che passasse al nemico. La Francia non vedeva l’ora di mettere le mani su una piazzaforte strategica, a metà strada fra il nord e il sud Italia, ai confini con gli stati del Papa.
Ma la soluzione c’era. Nel 1548 fu inviato a Siena un rappresentante di ferro, lo spagnolo Don Diego de Hurtado Mendoza con un nutrito contingente di militari, con il preciso incarico di costruirvi una fortezza per controllare la città e il suo dominio.
La scelta fu vista dal Governo Senese con costernazione. I soldati di stanza in città divennero ben presto famigerati per angherie, furti, violenze di ogni tipo. Il Mendoza, inizialmente piuttosto accondiscendente, si tramutò in un tiranno. Furono inviati ambasciatori a Carlo V, furono fatte processioni per chiedere aiuto alla Madonna, ufficialmente regina e patrona di Siena.
Ma niente, Mendoza non volle sentire ragioni. Mancava il materiale: occorreva buttare giù torri e palazzi della città per recuperare i mattoni. Mancavano i soldi: avrebbero spremuto tutti i fondi possibili dai cittadini.
La rivolta serpeggia a Siena
I lavori per la cittadella procedevano a rilento. Era un edificio enorme e i sabotaggi erano all’ordine del giorno. Leggenda o realtà si narra che gli abitanti di Siena distruggessero di notte, come faceva Penelope, le mura che costruivano di giorno. Erano capeggiati da Brandano, il “Pazzo di Cristo”, un personaggio famoso per le sue profezie e le sue invettive contro i potenti, il quale viaggiava costantemente con un teschio, a memoria del destino dell’uomo che aspetta, prima o poi, tutti, e con un crocifisso per ricordare tutti, potenti compresi, di vivere secondo i dettami di Gesù.
Ciononostante Carlo V voleva avere una fortezza a Siena. Il Mendoza viaggiava per tutta Italia per reperire fondi per la sua costruzione. Era a Roma, quando un senese molto scaltro, Amerigo Amerighi, con la scusa di riferire cose importanti della situazione in città, lo raggiunse. In realtà voleva prendere contatti con i rappresentanti francesi.
L’Amerighi vezzeggerà lo spagnolo: fingerà di essere un convinto sostenitore della causa imperiale, anche facendo arrestare un fuoriuscito senese che vi si opponeva e che forse progettava una congiura, Cesare Vaiari. E, nel frattempo, brigherà per mettere in contatto quei cittadini di Siena che erano disposti a tutto, anche giurare fedeltà alla Francia pur di mantenere la propria indipendenza. Era il 1552.
Siena caccia gli Spagnoli
A Siena la congiura prendeva corpo: Enea Piccolomini, esponente di una nobilissima famiglia, vi si pose a capo. La Francia si mise in azione, facendo sostare truppe ai confini della repubblica, nei domini dei Farnese, e procurando il denaro necessario a pagare altri soldati. Alcuni Stati vicini, come Urbino, si misero in allerta.
Il Conte Mario Sforza di Santa Fiora, signore di un piccolo dominio sul monte Amiata, procurò settecento fanti e cento cavalieri. L’Amerighi, diventato un uomo di assoluta fiducia per il Mendoza che ormai risiedeva a Roma, giudicando troppo insicuro restare a Siena, lo andò a trovare e riuscì a convincerlo di avere la certezza che una flotta turca si avvicinasse a Napoli.
Occorreva inviare rinforzi, sguarnendo Siena. Il piano era pronto. L’azione scattò la notte del 27 Luglio 1552. L’armata si avvicinò alla città, entrando da Porta ai Tufi, opportunamente incendiata. Fiutando il pericolo, gli Spagnoli accorsero in Piazza del Campo e nel mentre la campana grossa posta sulla Torre del Mangia chiamò i senesi alla rivolta.
Gli imperiali, vista la malaparata arretrarono e si rifugiarono nelle parti della fortezza già costruite, dove avevano accumulato munizioni e viveri. Non avrebbero resistito a lungo: Siena tutt’attorno ribolliva. Don Diego, temendo il peggio, chiese aiuto a Cosimo De Medici, Duca di Firenze, che inviò, forse controvoglia un contingente di soldati in soccorso. Aveva messo in guardia il Mendoza perché non tirasse troppo la corda con la Repubblica di Siena e il suo popolo, ma non era stato ascoltato.
L’arrivo dei soldati fiorentini non mutò la situazione, anzi mise anche loro in pericolo, col rischio di una guerra aperta fra le due città toscane. Allora, il 3 agosto 1552, l’ambasciatore francese a Firenze e il Duca raggiunsero l’accordo: dopo tre giorni i soldati stranieri avrebbero lasciato Siena con l’onore delle armi, abbandonando la fortezza.
E mentre la folla urlava “Libertà! Libertà! Francia! Francia!”, il comandante della guarnigione spagnola pronunciava queste profetiche parole:
“Valorosi Senesi, voi avete compiuto un’azione gloriosa, ma per l’avvenire usate maggiore prudenza, perché voi avete offeso un uomo troppo grande”.
Quel giorno stesso, i cittadini di Siena festeggiarono la loro ritrovata indipendenza demolendo la Fortezza costruita dai loro ex alleati.
Leonardo Conti
Bibliografia Parziale
F. Landi, Gli ultimi anni della Repubblica di Siena, Cantagalli, 1994.
R. Cantagalli, La guerra di Siena (1552-1559), Accademia Senese degli Intronati, 1962.
A. Sozzini, Il successo delle rivoluzioni della Città di Siena, in Archivio Storico Italiano, 1842.
L. Fusai, La storia di Siena dalle origini al 1559, Il Leccio, 1991.
https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_di_Siena
https://it.wikipedia.org/wiki/Amerighi
https://www.treccani.it/enciclopedia/amerigo-amerighi_%28Dizionario-Biografico%29/