Settantanove anni fa, l’8 settembre 1943, il maresciallo Badoglio e il generale Eisenhower resero noto l’armistizio tra Italia e angloamericani. Adolf Hitler, furioso per il tradimento, ordinò alla Wermacht e alle SS di penetrare in Italia e di punire chi si era macchiato di infedeltà nei confronti del Terzo Reich. Tra questi, caddero nelle terribili mani dei tedeschi anche Giovanni Guareschi e Indro Montanelli.
La sera dell’8 settembre 1943, alle ore 19:45, alla radio, dopo la musichetta che precedeva i grandi annunci, gli italiani, stanchi e sfiduciati da tre lunghi anni di guerra, udirono la voce di Pietro Badoglio: “Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la schiacciante potenza avversaria, ha chiesto l’armistizio al generale Eisenhower. La richiesta è stata accolta”. L’armistizio con gli angloamericani illuse gli italiani che la guerra fosse finita, ma nella sua fredda e oscura Germania Adolf Hitler meditava, contro i traditori italiani, una terribile vendetta. I carri armati della Wermacht cominciarono a penetrare in Italia, mentre il Re e il suo governo preparavano la fuga verso Brindisi a bordo della corvetta Baionetta.
L’8 settembre di Giovannino
Quando arrivò la notizia dell’armistizio Giovanni Guareschi si trovava nel cortile della caserma di Alessandria. Passava in rivista il picchetto ai suoi ordini, quando cominciarono ad arrivare le prime tragiche notizie: alcuni soldati italiani erano stati disarmati dai tedeschi, le sentinelle appostate sui ponti erano state uccise, i magazzini e i depositi di munizioni saccheggiati. Un reparto di artiglieria semovente tedesco si era piazzato minaccioso nella piazzetta davanti alla caserma. I cannoni tedeschi iniziarono a sparare e quando questi finalmente tacquero, gli italiani risposero con alcuni colpi di fucile che superavano a fatica il portone posto a difesa della caserma. Alle 11:05 arrivò l’ordine di deporre le inutili armi e a mezzogiorno i tedeschi entrarono nell’edificio, circondando e catturando gli ufficiali del Re.
Durante la notte, molti italiani riuscirono a scappare vestiti da prete. L’indomani mattina, all’alba, i prigionieri erano schierati nel cortile e dei giovani soldati tedeschi li osservavano, puntandogli contro i loro pesanti mitra. Il maggiore delle SS, prima di ordinare il fuoco, chiese ai poveri e impauriti italiani se intendessero collaborare con l’esercito germanico. “Noi siamo ufficiali italiani e possiamo collaborare solo con l’esercito italiano”, rispose un militare. “L’esercito italiano è sciolto”, comunicò il tedesco. “Non è vero!” risposero gli italiani. Allora il maggiore, irritato, gridò: “Disarmateli!”. Il maresciallo gli fece notare che gli italiani erano già stati disarmati il giorno prima: “Disarmateli ancora!”, gridò prima di allontanarsi. Alle cinque, due grandi autocarri trasferirono gli italiani nella fortezza di Cittadella di Alessandria. Per Giovannino, iniziava la prigionia nei lager tedeschi.
L’8 settembre di Indro
Indro Montanelli era a Milano, quando dopo l’armistizio proclamato da Badoglio, i tedeschi invasero e occuparono il Nord Italia. L’aria tragicamente cambiò e la lunga mano nera delle SS s’infilo nei cassetti oscuri e nascosti degli affari italiani. Chi non voleva collaborare con loro aveva una sola via d’uscita, quella di sparire. I nazisti s’impossessarono subito delle liste di proscrizione, con i nomi dei giornalisti e degli intellettuali che avevano avuto guai col regime fascista. Il nome di Montanelli figurava nella lista nera del questore di Milano. Era stato segnalato poiché i fascisti credevano fosse l’autore d’un volgare articolo su Claretta Petacci, l’amante del Duce, apparso anonimo sul «Corriere» all’indomani del 25 luglio. Montanelli fece quello che tutti gli consigliarono: sparì.
Entrò in clandestinità, si fece crescere i capelli e la barba e si nascose a casa di amici. Tempo dopo ricevette un messaggio da Federico Beltrami, un architetto milanese che s’era dato alla macchia per combattere la guerra partigiana in divisa. Indro decise di raggiungerlo. Si erano dati appuntamento un mattino, all’alba, sul portone di una villa che si affacciava sul lago d’Orta. Ma al posto di Beltrami, Montanelli trovò i tedeschi, i quali avevano circondato la villa e arrestato tutti gli ospiti al suo interno. Fu caricato su un’auto e dopo qualche ora di corsa sfrenata scaraventato dentro una cella larga poco più di un metro in un carcere improvvisato di Gallarate, dove gli fu consegnata una lettera della moglie che finiva così: “Ho saputo che ti fucileranno, però nel petto perché ti sei comportato da uomo e da soldato. Maggie”.