Il “caso” India: elezioni, sviluppo economico, riforme legislative e presunte discriminazioni

Le “condizioni” elettorali

L’India è pronta ad ospitare uno dei più grandi eventi elettorali del 2024, con un numero record di partecipanti, rendendolo il più grande processo elettorale mai organizzato a livello globale. Il voto si terrà in un periodo di sei settimane, con varie sessioni che si concluderanno il 1° giugno. I risultati definitivi verranno resi noti poco dopo. Il Primo Ministro Narendra Modi, leader del Bharatiya Janata Party (BJP), cerca di ottenere il suo terzo mandato consecutivo. Tuttavia, le opposizioni, unite in una grande coalizione, sostengono che il mantenimento del BJP al potere potrebbe minacciare diverse libertà dei cittadini indiani.

Sotto la guida di Modi, l’India ha conosciuto una significativa crescita economica, posizionandosi tra le economie con il più alto tasso di crescita nel mondo, avvicinandosi allo status di superpotenza; tuttavia, negli ultimi dieci anni, il paese ha subito una crescente polarizzazione religiosa. L’India, un tempo nazione laica, è diventata più orientata verso l’induismo, con crescenti tensioni tra la maggioranza induista e la minoranza musulmana, che costituisce il 15% della popolazione, con quasi 200 milioni di persone.

Narendra Modi

Le date delle elezioni sono distribuite su sette giornate di voto: 19 aprile, 26 aprile, 7 maggio, 13 maggio, 20 maggio, 25 maggio e 1° giugno. In questo periodo, verranno contati i voti provenienti dai 28 stati interni e dagli otto territori dell’Unione, con i risultati che saranno pubblicati il 4 giugno.

Con 1,4 miliardi di abitanti, l’India è il paese più popoloso del mondo. Quest’anno, 969 milioni di persone saranno ammesse a votare, un numero che supera le popolazioni di Stati Uniti, Unione Europea e Russia messe insieme. Inoltre, 13,4 milioni di cittadini indiani che vivono all’estero dovranno registrarsi e tornare in India per poter votare. Gli elettori devono essere cittadini indiani, avere almeno 18 anni, essere iscritti nelle liste elettorali ed avere una carta d’identità valida.

Nel sistema elettorale indiano, gli elettori scelgono 543 deputati per la Lok Sabha, la camera bassa del Parlamento, utilizzando un sistema maggioritario multipartitico; altri due seggi vengono assegnati direttamente dal presidente. Per ottenere la maggioranza e formare un governo, un partito od una coalizione deve assicurarsi almeno 272 seggi, il che consente di nominare il primo ministro tra i candidati eletti. I deputati della Lok Sabha restano in carica per cinque anni e rappresentano ciascuno una circoscrizione elettorale; in questo sistema, vince il candidato che ottiene più voti.

Per garantire una rappresentanza equa, il sistema indiano riserva 131 seggi a deputati delle “caste classificate” e delle “tribù classificate”, gruppi considerati svantaggiati che compongono circa un quarto della popolazione totale. Sebbene sia stata approvata una legge per destinare un terzo dei seggi alle donne, tale norma non sarà applicata a questa tornata elettorale.

Le elezioni in India sono considerate le più costose al mondo, persino più delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Il Center for Media Studies di Delhi ha riferito che nel 2019 partiti politici, candidati ed enti regolatori hanno speso fino a 8,6 miliardi di dollari, con una previsione di aumento per quest’anno. La complessità delle elezioni si riflette nella diversità geografica dell’India: i voti sono espressi elettronicamente in oltre un milione di seggi elettorali, situati dalle montagne dell’Himalaya alle foreste degli Stati centrali.

Per gestire questo immenso processo elettorale, circa 15 milioni di operatori sono mobilitati per raggiungere ogni angolo del paese. Questi “scrutatori” utilizzano diversi mezzi di trasporto, tra cui strada, barca, cammello, treno ed elicottero, per raggiungere i seggi. Tashigang, un villaggio dell’Himachal Pradesh situato a 4.650 metri di altitudine ed al confine con la Cina, detiene il record come seggio elettorale più alto del mondo: nel 2022, il villaggio ha ospitato le elezioni per il governo statale.[1]

Gli sfidanti

Il Bharatiya Janata Party (BJP), guidato dal primo ministro Narendra Modi, punta a conquistare un terzo mandato consecutivo in India. Modi è alla guida del governo dal 2014 e ha ottenuto un successo significativo nelle elezioni del 2019, quando il BJP ha conquistato 303 seggi. La coalizione dell’Alleanza democratica nazionale (NDA), di cui fa parte il BJP, ha ottenuto un totale di 352 seggi, una maggioranza schiacciante. Ora, il primo ministro ha dichiarato di voler raggiungere l’ambizioso traguardo di 370 seggi per il BJP ed oltre 400 per l’NDA, un risultato che sarebbe senza precedenti nella storia politica indiana.

Durante il suo mandato, Modi ha affrontato diverse sfide socio-economiche, tra cui infrastrutture antiquate, mancanza di acqua pulita e servizi igienici. Allo stesso tempo, l’India ha ottenuto risultati notevoli a livello internazionale, con iniziative di digitalizzazione, un recente allunaggio, promozione della moneta elettronica ed investimenti in energie rinnovabili. Tuttavia, il governo di Modi è stato anche al centro di critiche per presunti casi di controllo e repressione, in particolare nei confronti delle minoranze.

Mallikarjun Kharge

Il principale avversario del BJP è il Congresso Nazionale Indiano, noto come Congress, guidato da Mallikarjun Kharge. Quest’ultimo è il primo presidente in 24 anni a non far parte della famiglia Gandhi. Dopo diversi fallimenti elettorali, la famiglia Gandhi, discendente politica di Jawaharlal Nehru e di sua figlia Indira Gandhi, ha scelto di fare un passo indietro, probabilmente per ridurre le accuse di dinastia, spesso sollevate da Modi che aveva definito il Congress un “affare di famiglia”.

Per contrastare il BJP, il Congress ha formato una coalizione con diversi partiti regionali, chiamata Indian National Developmental Inclusive Alliance, o INDIA. Questa coalizione comprende diverse forze politiche, tra cui l’All India Trinamool Congress, il partito al governo nel Bengala Occidentale, e l’Aam Aadmi Party (AAP), che governa Delhi. Tra gli altri membri ci sono il Dravida Munnetra Kazhagam, al potere nel Tamil Nadu, il Partito Comunista di Liberazione (marxista-leninista) e la Lega musulmana. Nonostante questa ampia alleanza, la coalizione INDIA ha dovuto affrontare alcune crisi interne ed avrà il compito impegnativo di mantenere l’unità tra le diverse fazioni politiche.[2]

Riforme legislative

L’11 marzo è stata promulgata una legge che permette la regolarizzazione solo ai migranti non musulmani provenienti da Pakistan, Bangladesh ed Afghanistan. Questa nuova legislazione ha sollevato polemiche, essendo stata accusata di discriminazione verso i musulmani, in quanto molti vedono questa legge come un segnale della tendenza anti-musulmana del governo del primo ministro Narendra Modi.

Questa non è un’eccezione nel contesto politico indiano: il governo nazionalista e populista di Modi ha adottato misure che sembrano finalizzate a rafforzare la sua posizione politica, limitare l’opposizione e reprimere il dissenso. Alla fine di dicembre, il parlamento ha approvato una serie di riforme del codice penale che dovrebbero essere implementate nel corso dell’anno. Critici sostengono che questi cambiamenti conferiscano eccessivo potere alla polizia ed alle autorità statali, rendendo la legge più arbitraria. Si rileva un’accusa consistente di discriminazione e repressione, che interessa non solo la comunità musulmana, ma anche accademici ed attivisti, attraverso un impiego improprio delle strutture governative. Ad esempio, un’azione significativa si è manifestata all’inizio di febbraio, quando il Central Bureau of Investigation (CBI), principale ente investigativo dell’India, ha effettuato un raid negli uffici del Centre for Equity Studies a New Delhi. Questo centro si impegna a sostegno delle fasce più marginalizzate della popolazione ed il suo fondatore, Harsh Mander, un influente attivista, è stato accusato di irregolarità finanziarie.

Harsh Mander

Tuttavia, Mander è solo uno tra i molti critici del governo che hanno subito simili misure coercitive. Altre figure di spicco dell’opposizione, inclusi quattro governatori di partiti rivali, hanno affrontato perquisizioni ed arresti. Un caso emblematico è quello di Hemant Soren, ex governatore del Jharkhand e segretario del partito Jharkhand Mukti Morcha, componente dell’INDIA, coalizione di centrosinistra. Soren è stato arrestato dall’agenzia antiriciclaggio subito dopo aver rassegnato le dimissioni, in un contesto che suggerisce un clima di crescente tensione politica e sociale.

A fine dicembre, il parlamento ha varato nuove leggi che entreranno in vigore nel corso dell’anno: tra queste, tre riguardano cambiamenti nel codice penale, ed il ministro dell’Interno, Amit Shah, sostiene che esse mirino a rimuovere gli elementi del periodo coloniale ancora presenti nel codice. Alcune parti del codice, infatti, risalgono ai tempi della dominazione britannica, che si è conclusa nel 1947. Shah ha affermato che queste leggi “libereranno i cittadini dalla mentalità dell’era coloniale e dai suoi simboli”.

Tuttavia, gli oppositori sostengono che il governo stia utilizzando il tema della decolonizzazione come pretesto per introdurre leggi più rigide ed autoritarie rispetto a quelle che sostituiscono: tra le modifiche più controverse c’è l’estensione del periodo di custodia cautelare, che da 15 giorni passa ad un massimo di 60 giorni. Gli attivisti per i diritti umani evidenziano come la maggior parte degli abusi e delle torture sui detenuti si verifichino proprio durante il periodo di custodia della polizia; in India cinque persone in media muoiono ogni giorno mentre sono sotto custodia.

Il nuovo codice penale introduce anche pene fino a sette anni per un reato descritto in modo ampio: “Mettere in pericolo la sovranità, l’unità e l’integrità dell’India”. Questa definizione, ritenuta vaga da alcuni ex giudici, può essere interpretata in modo arbitrario, minacciando così le libertà civili.

Verso la fine di dicembre, il governo ha promulgato una nuova legge con l’intento di aggiornare le normative sulle telecomunicazioni. Queste nuove disposizioni rendono più semplice effettuare intercettazioni, bloccare l’accesso ad internet ed autenticare gli utenti tramite dati biometrici; ciò ha sollevato timori basati sulla preoccupazione che possa aumentare la sorveglianza indiscriminata dei cittadini, compromettendo la loro privacy.

Di recente, le autorità hanno preso di mira diverse organizzazioni non governative (ONG); in particolare, hanno sospeso l’account su X e reso inaccessibili i siti web di Hindutva Watch e India Hate Lab, entrambi progetti di ricerca con sede negli Stati Uniti, impegnati a documentare i crimini ed i discorsi di odio contro le minoranze religiose.

Un internet point in India

Inoltre, l’India è diventata il paese con il maggior numero di blocchi di internet negli ultimi anni. Nel 2022, su 187 interruzioni globali, ben 84 si sono verificate in India, secondo un rapporto del gruppo statunitense Access Now: una delle aree maggiormente colpite è il Kashmir, una regione a maggioranza musulmana contesa tra India e Pakistan. Il governo ha anche ridotto notevolmente l’autonomia ed i diritti della popolazione di questa regione, abolendo nel 2019 lo statuto speciale che la Costituzione indiana garantiva fin dagli anni Cinquanta.[3]


Riferimenti bibliografici

[1] https://www.upday.com/it/al-via-le-elezioni-in-india-quasi-un-miliardo-di-elettori-alle-urne-dureranno-44-giorni

[2] https://www.wired.it/article/india-elezioni-narendra-modi/

[3] https://www.ilpost.it/2024/03/13/india-modi-repressione/

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