L’Iran tra guerre di prossimità e attacchi simmetrici. La guerra ibrida contro Israele.

Il sostegno dell’Iran ai proxy groups che agiscono in Libano, Siria, Iraq e Yemen è uno dei suoi strumenti più efficaci per il conseguimento dei propri interessi nazionali, combattendo nella “zona grigia”. L’Islamic Revolutionary Guards Corps (IRGC), i famosi Pasdaran, è l’organizzazione paramilitare esecutrice delle politiche per procura iraniane, con stretti legami con gruppi come Hezbollah in Libano, gli Houthi in Yemen, la National Defence Force Militia in Siria e il Badr Corps in Iraq, tra gli altri.[1] Avvalendosi della sua unità di forze speciali nota come Forza Quds, l’IRGC è in grado di addestrare e gestire le sue forze ausiliarie -stimate in 250.000 combattenti-  e, pertanto, rappresenta una minaccia significativa per gli avversari di Teheran in gran parte del Medio Oriente. La Forza Quds è stata istituita all’inizio degli anni ’90 per consentire al regime degli ayatollah di operare di nascosto al di fuori dei confini iraniani. L’obiettivo era costruire un meccanismo operativo che avrebbe portato la Rivoluzione Islamica fuori dall’Iran.[2] Come parte della sua lotta in corso contro Israele, la strategia iraniana utilizza le organizzazioni per procura per due ragioni principali. In primo luogo, a causa della notevole distanza tra Israele e Iran: gli oltre 1.700 chilometri che separano i due stati costituiscono una oggettiva difficoltà operativa per l’Iran per un attacco diretto al territorio israeliano. In secondo luogo, l’Iran teme la risposta delle Israelian Defence Forces (IDF), qualora attaccasse direttamente Israele. Pertanto, l’impiego di organizzazioni che combattono per procura annulla le difficoltà connesse alla distanza tra i due stati, impegnando di fatto Israele su due fronti di lotta, uno a nord contro Hezbollah in Libano e l’altro a sud contro Hamas e movimenti jihadisti nella Striscia di Gaza. Di fatto, vi è una terza direttrice d’attacco che vede le aggressioni condotte dallo Yemen contro le imbarcazioni in transito dallo stretto di Bab al-Mandab che, per qualche ragione, abbiano legami con Israele.

Tale strategia, inoltre, consente all’Iran di evitare il coinvolgimento diretto con il suo avversario.[3] Per raggiungere questo obiettivo, Teheran continua a sostenere le formazioni paramilitari sotto il suo controllo in Libano e nella Striscia di Gaza ed a rifornirle con vari sistemi di armamento, inclusi razzi e missili.[4] Secondo l’intelligence militare israeliana, il programma per il lancio missilistico di precisione è stato concepito per due scopi. Il primo è stato quello di ridurre il raggio di tiro verso Israele. Mentre, come detto, la distanza tra Iran e Israele è di migliaia di chilometri, il Libano meridionale si trova a poche centinaia di chilometri dal centro nevralgico dello Stato di Israele a Tel Aviv e Gush Dan. Pertanto, mentre l’Iran ha bisogno di lanciare missili a lungo raggio per colpire Israele, Hezbollah può raggiungere lo stesso obiettivo dal Libano con razzi di gittata notevolmente inferiore. Il secondo scopo è allontanare il campo di battaglia dall’Iran: sparare contro Israele dalla Siria e dal Libano può prevedere una logica ritorsione israeliana contro questi paesi piuttosto che contro l’Iran stesso.

Il 13 aprile 2024, tuttavia, abbiamo assistito ad un significativo “cambio di passo” da parte di Teheran, in risposta al raid contro un edificio situato accanto all’ambasciata iraniana a Damasco, punto di ritrovo di alti ufficiali iraniani. Ricordiamo che l’attacco israeliano in Siria ha causato la morte di undici persone, tra cui Mohammad Reza Zahedi e Mohammad Hadi Haji Rahimi, comandante e vicecomandante della Forza Quds locale e altri cinque pasdaran.

L’Iran, infatti, ha sferrato un attacco senza precedenti direttamente dal proprio territorio,evitando di affidarsi a Hezbollah o altre milizie filoiraniane nella regione. L’attacco, ampiamente preventivato, non ha causato danni ingenti grazie all’efficacia dei sistemi difensivi contraerei Iron Dome e Arrow-3 e all’intervento congiunto delle forze aeree di Israele, Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia che hanno neutralizzato oltre il 90% degli ordigni impiegati dall’Iran. Va detto che, secondo quanto dichiarato da tre funzionari statunitensi anonimi, l’Iran abbia lanciato tra i 115 e i 130 missili e di questi circa la metà avrebbero registrato avarie in fase di lancio o si sarebbero schiantati prima di raggiungere gli obiettivi.[5] Le fonti ufficiali riferiscono di circa 350 missili e droni lanciati e, in definitiva, quelli giunti su Israele avrebbero solo causato danni non irreparabili alle infrastrutture della base dell’aeronautica militare di Nevatim.

Secondo quanto riferito da diverse fonti, l’Iran avrebbe impiegato droni del tipo Arash e Shahed 136 (gli stessi ceduti anche ai Russi, che li hanno ridenominati Geran 2),  missili da crociera Soumar e Paveh 351 e missili balistici a medio raggio del tipo Emad, Sejil, Qadr , oltre ad alcuni ipersonici Kheibar (7 secondo fonti iraniane, che avrebbero tutti raggiunto il bersaglio), accreditati di una velocità massima di Mach 8 nell’atmosfera (16 fuori da essa) con un’autonomia fino a 2.000 chilometri e una testata di 1.500 chilogrammi. I missili da crociera Paveh 351, in dotazione ai Pasdaran, avrebbero un’autonomia di 1.650 chilometri a una velocità fra i 600 e i 900 chilometri orari mentre i droni-kamikaze (loitering munition) Shahed 136 sono dotati di una testata esplosiva da 50 chilogrammi e volano per oltre 1.200 chilometri a una velocità di 200 chilometri orari. A proposito dell’impiego e, soprattutto dell’efficacia o meno dei missili Kheibar nella fattispecie di questo attacco, nutro qualche perplessità, proprio per le caratteristiche tecniche dell’arma ipersonica ed i suoi costi elevati per impiegarla solo a “scopo dimostrativo”, come ripete la maggior parte degli opinionisti che giudicano l’attacco solo un’attività di facciata, un atto dovuto per salvare la faccia doppo l’affronto subito.

Quali sono, allora, gli aspetti di cui tenere debitamente conto come “lezioni apprese” in relazione a questo evento bellico?

Il primo e più immediato è a livello politico-strategico: come si suol dire, si è “alzata l’asticella” nel conflitto che da decenni infiamma il Medio Oriente. Anche il secondo attiene la sfera degli equilibri geopolitici. Tenuto conto della tiepida reazione del Cremlino nel commentare l’accaduto, manifestatasi con le solite frasi di circostanza in quanto la Russia è, comunque, paese membro dell’ONU, tra l’altro appartenente al Consiglio di Sicurezza, emerge il solido collante che lega Mosca a Teheran. Mi astengo da ulteriori considerazioni di carattere politico e sposto l’attenzione sugli aspetti eminentemente militari, anche questi indicativi dell’applicazione di un modello operativo mutuato dalla Russia. L’attacco iraniano contro Israele ricalca quelli che i Russi conducono di continuo contro l’Ucraina, sebbene su una scala più vasta per l’elevato numero di ordigni impiegati simultaneamente. Se i danni inferti sono stati più limitati del previsto, probabilmente è perché gli iraniani hanno sottovalutato le enormi capacità di difesa del nemico. È fondamentale non sottovalutare l’opportunità che l’Iran ha avuto di testare il livello e la tipologia di reazione dell’avversario, in previsione di simili azioni da sviluppare in futuro. La contiguità con la procedura tecnico-tattica così massicciamente attuata da Mosca in Ucraina si riflette proprio nella modalità con cui l’attacco è stato effettuato. Le loitering munitions sono state lanciate in anticipo rispetto ai missili balistici, probabilmente valutando che attivassero la difesa aerea di Israele più o meno nello stesso momento dei missili da crociera. Lo scopo è quello di fare in modo che i missili da crociera e i droni siano ingaggiati dalle difese aeree per consentire ai missili balistici, peraltro più difficili da abbattere, di giungere sugli obiettivi designati. Gli Iraniani, molto probabilmente si aspettavano che pochi, se non nessuno, dei missili da crociera e dei droni avrebbero colpito i loro obiettivi, ma forse speravano che una percentuale significativamente più alta di missili balistici ci riuscisse.[6]

È un fatto, inoltre,  che l’Iran non sia in grado di affrontare con successo le forze armate israeliane in una guerra convenzionale e, pertanto, cerchi affannosamente di perseguire i propri obiettivi per la realizzazione di un proprio arsenale nucleare. Non tanto per impiegarlo, ma almeno per poter proclamare minacce che destino reali preoccupazioni. Folli e fanatici non mancano mai, purtroppo. Non deve destare meraviglia, allora, se Israele si sia adoperato, fin dalla prima decade del secolo, per impedire la realizzazione di questi obiettivi con efficaci iniziative come il cyber-attacco operato tramite il malware Stuxnet che, infiltrato nei sistemi SCADA di supervisione e controllo delle centrifughe di arricchimento dell’uranio, causò notevoli danni alle medesime, dando un duro colpo alle tempistiche del programma nucleare iraniano.

Ho accennato al fatto che, allo stato attuale, le forze regolari di Teheran non siano competitive in uno scontro che le veda opporsi a quelle di Gerusalemme. Voglio tornare, pertanto, sulla dimensione “ibrida” della guerra condotta dall’Iran contro Israele, perché, ad ogni buon conto, ritengo che, proprio a causa del ruolo “sperimentale” svolto dagli attacchi convenzionali diretti, a tutt’oggi debba essere quella da tenere maggiormente in considerazione.

L’organizzazione politico-paramilitare più nota su cui l’Iran fa affidamento è Hezbollah, che iniziò le sue operazioni militari in seguito all’espulsione delle forze dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) dal Libano nel 1982 durante la prima guerra del Libano: ispirato dalla giustificazione religiosa dei principali ideologi sciiti come l’ayatollah Khomeini, ne ricordiamo ancora gli attentati suicidi contro obiettivi israeliani, americani e francesi situati in Libano. Hezbollah è riuscito a far progredire lo status della comunità sciita in Libano da comunità perseguitata e deprivata a comunità più potente e dominante del Paese, reprimendo, nel contempo, la comunità cristiana nel paese. Gli Iraniani, che hanno cercato di divulgare i principi religiosi che guidarono la rivoluzione islamica di cui si resero protagonisti e di migliorare la qualità della vita degli Sciiti libanesi, hanno versato centinaia di milioni di dollari a sostegno di Hezbollah. Pertanto, l’Iran ha fondato molte istituzioni sociali per gli Sciiti in Libano, come ospedali, cliniche, università, istituzioni culturali ed emittenti radiofoniche e televisive.[7] Parallelamente, ha addestrato ed armato i membri di Hezbollah trasformandoli in una milizia militare al servizio dell’IRGC.[8] L’organizzazione conta circa 20.000 uomini di pronto impiego, di cui 5.000 sono combattenti d’élite e un numero che oscilla tra 20.000 e 50.000 sono invece combattenti di riserva.[9] Hezbollah basa la propria difesa sulla popolazione civile dell’area in cui opera. Sebbene la concezione teocratica iraniana sia quanto di più distante dall’ateismo di stato cinese, emerge l’affinità con il principio enunciato da Mao Zedong di “mescolarsi alla popolazione come pesci nel mare” e guadagnarne il consenso. Sotto il profilo delle procedure tecnico-tattiche (TTPs), l’organizzazione stabilisce i propri headquarters ai piani inferiori di edifici residenziali di dieci piani e sempre in edifici residenziali nei quali nasconde armi come missili e razzi.[10] Hezbollah esercita quindi una forma di deterrenza nei confronti di eventuali attacchi da parte israeliana, che sarebbe soggetto ad aspre critiche da parte della Comunità Internazionale per gli “effetti collaterali” di una tale decisione. Anche Hezbollah, tuttavia, è stata oggetto di critiche per la scelta tattico-strategica operata.  In risposta alle critiche, l’organizzazione ha affermato che, alla luce della debolezza dell’esercito libanese, è la sola a garantire un cuscinetto tra Israele e Libano per proteggere quest’ultimo da qualsiasi aggressione israeliana.[11]

Sebbene Hezbollah sia nata come una tipica milizia atta ad essere impiegata con tattiche di guerra asimmetrica, nel tempo si è evoluta in un’organizzazione in grado di combattere diverse tipologie di conflitto. Durante la guerra civile libanese, quando non era che uno dei tanti gruppi di milizie del paese, Hezbollah ha lanciato principalmente attentati suicidi ed attacchi frontali alle forze occidentali e israeliane,: entrambi metodi che, militarmente, non sono né sofisticati né efficienti. La silenziosa evoluzione di Hezbollah da forza di guerriglia a struttura militare in grado di applicare TTPs più convenzionali è passata inosservata ed è diventata evidente solo durante la guerra di 34 giorni contro Israele nel 2006. L’organizzazione ha mostrato tattiche e capacità ben oltre di quanto ci si aspettasse, tanto da inquadrarla a pieno titolo nella tipologia della guerra ibrida. Dopo l’invasione israeliana, Hezbollah ha sfruttato appieno il terreno roccioso del Libano, ideale per i movimenti a terra, ma impraticabile per le manovre corazzate. Ha incentrato le proprie battle-positions su villaggi collinari facilmente difendibili, che offrono ottimi campi di osservazione e tiro e sono abitati da popolazioni solidali con la sua causa. Nonostante fosse numericamente inferiore, le sue unità si sono dimostrate coese, ben addestrate, disciplinate ed esperte su come controllare il territorio.

Dotato di un’efficace catena di comando e controllo, grazie ad un complesso sistema di comunicazione, Hezbollah ha impiegato con successo tattiche di difesa “a riccio”, creando capisaldi in bunker fortificati, come una forza regolare. Durante il conflitto, poi, ha continuato a lanciare razzi su Israele utilizzando lanciatori nascosti, anche dietro le linee nemiche.

Nessuna di queste tattiche è caratteristica delle forze di guerriglia, che di solito si basano su metodi incentrati sulla popolazione per nascondersi. In sostanza, Hezbollah ha colto di sorpresa Israele perché ha agito in un modo non propriamente riconducibile ad un combattente irregolare, né all’esercito regolare di uno Stato.

Nella condotta della guerra ibrida iraniana, anche gli attacchi informatici, le info-ops e le psy-ops stanno aumentando rapidamente, poiché sempre più hacker iraniani lavorano per prendere di mira persone, aziende ed enti governativi in ​​tutto il mondo, concentrandosi principalmente sulla regione del Medio Oriente (Arabia Saudita e Israele). In particolare, l’Iran ha effettuato un attacco di cancellazione dei dati su dozzine di reti governative e private saudite tra il 2016 e il 2017.[12] Il regime di Teheran esercita uno stretto controllo sulla diffusione interna di informazioni (info-ops), limitando le trasmissioni televisive, l’uso dei social media e l’accesso a internet, il che limita notevolmente l’influenza straniera e promuove le narrazioni pro-regime (psy-ops).[13]A livello internazionale, le info-ops hanno aiutato l’Iran a perpetuare la sua immagine di potenza regionale, in particolare come sfidante per l’Arabia Saudita e Israele, presentandosi contemporaneamente come un partner internazionale affidabile. Le info-ops dell’Iran includono anche lo Spazio come arena della “zona grigia”. Teheran, infatti, in diverse occasioni ha bloccato le trasmissioni di comunicazioni satellitari, come nel caso delle interruzioni delle trasmissioni di Voice of America e della BBC.[14]

Nel quadro delle attività di propaganda del regime rientrano i caroselli di macchine, i canti e le bandiere iraniane sventolate a Teheran dove, in concomitanza con l’attacco missilistico contro Israele  la gente è scesa in strada a festeggiare. Quanto queste manifestazioni di giubilo siano state del tutto spontanee è discutibile.

Concludo con una considerazione che ci riguarda come Paese occidentale e che deve indurci a riflettere su quanto sia ambigua e caotica la realtà geopolitica alla quale apparteniamo. Nel 2023, in occasione del 44° anniversario della rivoluzione iraniana, contrariamente a quanto fatto dagli altri Stati membri dell’Unione Europea, la Polonia e l’Ungheria hanno inviato i loro ambasciatori – il polacco Maciej Fałkowski e l’ungherese Zoltán Varga-Haszonits – ad un ricevimento formale con il presidente Ebrahim Raisi. L’iniziativa diplomatica č, quantomeno, discutibile, se pensiamo che la scelta di disertare la cerimonia da parte degli altri Paesi č dettata dalla sanguinosa repressione attuata da Teheran contro le massicce proteste di piazza antiregime. Anche le forniture di droni kamikaze Shahed 136 alla Russia e impiegati indiscriminatamente su obiettivi civili e militari in Ucraina, non agevola certamente l’immagine di Teheran nel contesto internazionale, almeno non in quello dell’Occidente. La violenza sistematica perpetrata dal regime degli ayatollah nei confronti delle donne che rivendicano il diritto ad una libertà negata come esseri umani è cosa nota. Le autorità iraniane, interpellate sull’argomento accusano l’Occidente di malcostume ed ingerenze nei loro affari governativi. Di questo non c’è da meravigliarsi. C’è da meravigliarsi, piuttosto, quando rappresentanti di Polonia e Ungheria non abbiano risposto immediatamente alle richieste di commentare la loro presenza alle celebrazioni del regime iraniano. Sebbene non vi sia alcun accordo formale tra i membri dell’UE per non partecipare a eventi come quello a cui hanno partecipato i summenzionati ambasciatori, le capitali dell’UE hanno un’intesa informale per agire di concerto con misure simboliche, come il boicottaggio di cerimonie pubbliche di alto profilo, al fine di esprimere il loro comune sgomento per la repressione di Teheran contro i manifestanti.

Che l’Ungheria, che si è guadagnata la reputazione di pecora nera dell’UE sotto il primo ministro Viktor Orbán, sia desiderosa di approfondire i legami con l’Iran e, pertanto, ignori un tale consenso non deve sorprendere. Per quanto riguarda la Polonia, invece, la storia è diversa. Varsavia è stata tra i più fedeli sostenitori dell’Ucraina. I leader polacchi sostengono che aiutare l’Ucraina a difendersi dall’invasione russa sia essenziale per la sicurezza tanto della Polonia, quanto dell’Europa. Le forniture militari iraniane alla Russia avrebbero dovuto far sì che la Polonia fosse uno dei paesi meno propensi a partecipare alla celebrazione della Rivoluzione. Premesso che il boicottaggio informale degli eventi iraniani da parte dell’UE abbia meno a che fare con il sostegno del paese alla Russia rispetto al trattamento riservato ai manifestanti e alle donne, evidentemente per la Polonia la sensibilità nei confronti dei diritti umani violati ogni giorno in Iran ha un peso ancora minore del timore nei confronti della minaccia russa alle porte, quando si tratta di stringere o consolidare accordi commerciali in prospettiva molto vantaggiosi. Il governo iraniano ha anche detto di aver ricevuto messaggi di congratulazioni per l’anniversario della rivoluzione da Bulgaria, Romania e Croazia.

Qualche interrogativo, forse, dovremmo porcelo.


Riferimenti bibliografici

[1] J. M. McInniss, Proxies: Iran’s Global Arm and Frontline Deterrent, in Hicks et al., Deterring Iran After the Nuclear Deal, CSIS, Rowman & Littlefield, 2017.

[2] Y. Katz, Y. Hendel, Israel vs. Iran: The Shadow War, Kineret Zmora-Bitan Dvir. Israel, 2011.

[3] E. Eilam, Containment in the Middle East, University of Nebraska Press, Lincoln (NE), 2019.

[4] R. Bergman, Rise and Kill First: the secret story of Israel’s targeted assassinations, Random House, New York, 2018.

[5] Funzionari Usa: metà dei missili lanciati dall’Iran non ha funzionato a dovere, Agenzia Nova, 15/04/2024. https://www.agenzianova.com/news/funzionari-usa-meta-dei-missili-lanciati-iran-non-ha-funzionato-a-dovere/.

[6] A. Ganzeveld, A. Braverman, J. Moore, A. Jhaveri, B. Carter, N. Carl, Iran Update, ISW, April 13, 2024.  https://www.understandingwar.org/backgrounder/iran-update-april-13-2024.

[7] A. Harel, A., Issacharoff, 34 days: Israel, Hezbollah and the war in Lebanon, Kineret Zmora-Bitan Dvir, Israel, 2008.

[8] Y. Katz, Y. Hendel, op. cit.

[9] E. Eilam, Israel’s Future Wars: Military and Political Aspects of Israel’s coming Wars, Westphalia Press, Washington DC, 2016.

[10] C. Kaunert, O. Wertman, The Securitisation of Hybrid Warfare through Practices within the Iran-Israel conflict – Israel’s practices for securitising Hezbollah’s Proxy War, Security & Defence Quarterly, War Studies University, Poland, 11 December 2020.

[11] A. Harel, A., Issacharoff, op. cit.

[12] D.R. Coats, 2019 Worldwide Threat Assessment, ODNI, 29 January 2019.

[13] M. Eisenstand, Information Warfare: Centerpiece of Iran’s Way of War, in Hicks et al., Deterring Iran After the Nuclear Deal, CSIS, Rowman & Littlefield, 2017.

[14] K.H Hicks, A. Hunt Friend and others, By Other Means. Part I: campaigning in the Gray Zone, CSIS, Rowman & Littlefield, July 2019.

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