Focus Sudan
Il Sudan sta affrontando una grave crisi che potrebbe farlo precipitare in un caos militare ed umanitario incontrollabile, influenzando negativamente tanto la popolazione civile quanto il panorama geopolitico dell’intera regione. Il conflitto, che si aggrava di giorno in giorno, è stato definito da più parti come un “genocidio” e sembra essere largamente ignorato dalla comunità internazionale. In questo quadro di instabilità, nazioni esterne quali la Russia, che aspira da tempo a stabilire una base militare sulle coste sudanesi, e diversi stati del Golfo, cercano di trarne vantaggio.
L’interesse internazionale verso il Sudan si è intensificato recentemente a seguito di un efferato massacro nello stato di Gezira, nel settore orientale del paese. Qui, i feroci scontri fra l’esercito regolare e le milizie delle Rapid Support Forces (RSF) hanno toccato livelli di violenza estremi. Le informazioni su questi scontri sono emerse grazie all’impegno di attivisti locali, raggruppati nei Comitati di resistenza di Wad Madani, che hanno diffuso un video in cui si vedono decine di corpi avvolti in teli bianchi, pronti per essere sepolti. I combattimenti si sono focalizzati nel villaggio di Wad al-Nourah, dove le RSF sono state accusate di aver condotto due raid che hanno portato alla morte di almeno 150 persone, colpite indiscriminatamente.
In Sudan, il presidente Fattah al Burhan è alla guida dell’esercito regolare, mentre le Forze di Supporto Rapido (RSF), guidate dal vicepresidente Mohamed Hamdan Dagalo, noto come “Hemedti”, rappresentano un potente esercito parallelo con forte impatto politico ed economico. Queste forze hanno origini nei janjawid, milizie di etnia araba implicate in accuse di genocidio durante il conflitto del Darfur iniziato nel 2003. Prima dell’attuale conflitto, il potere in Sudan era nelle mani del Consiglio Sovrano, una giunta militare formatasi a seguito di un colpo di stato militare nell’ottobre 2021, di cui facevano parte sia al Burhan che Hemedti.
La tensione tra al Burhan e Hemedti riguardo al futuro della governance del Sudan, in particolare sulla transizione verso un governo civile, ha portato ad uno scontro politico prolungato. Questa disputa si è trasformata in un conflitto armato dalla scorsa primavera, causando la morte di almeno 15.000 persone, secondo le stime aggiornate all’inizio dell’anno. A giugno, l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha riferito che più di 9,2 milioni di persone sono state costrette a lasciare le loro case; oltre 7 milioni si sono spostate all’interno del paese e circa 1,8 milioni hanno attraversato le frontiere. Di questi ultimi, più di 600.000 sono fuggite in Ciad ed altre 500.000 verso l’Egitto. La situazione umanitaria è particolarmente critica nel Darfur, area già gravemente colpita dalle violenze belliche nei primi anni 2000.
Human Rights Watch ha denunciato come le Forze di Supporto Rapido (RSF) stiano conducendo una pulizia etnica in Sudan, colpendo soprattutto le minoranze non islamiche, con un’enfasi particolare sui Masalit. Un video diffuso dal governatore del Darfur occidentale mostra un tragico scenario di cadaveri, con accuse esplicite verso le forze guidate da Hemedti per questi atti violenti. Nel video, il governatore lamenta il sostegno internazionale ricevuto dalle RSF, sollevando interrogativi sulle aspettative globali e degli alleati verso le azioni di queste milizie.
Contestualmente, si segnala che la Russia ha tratto vantaggio dalla situazione creatasi, supportando le RSF per fini economici e strategici. L’assistenza russa alle RSF, che in passato includeva il gruppo Wagner ed ora l’Afrika Corps, mira a controllare i preziosi giacimenti di risorse naturali, come l’oro, ed a rafforzare la propria presenza in una posizione geografica critica per il Mar Rosso e il Sahel.
La crescente crisi in Sudan sta attirando l’attenzione globale a causa della capacità potenziale di destabilizzare ulteriormente regioni già vulnerabili. Un reportage di Foreign Policy suggerisce come il conflitto possa ampliarsi fino a ricordare una “Somalia on steroids”, complicando la situazione in aree già affette da instabilità come il Sahel, dove i colpi di stato sono frequenti, e l’area Indo-Mediterranea, già sotto pressione per le azioni degli Houthi. L’ambasciatore degli Stati Uniti ha manifestato la sua preoccupazione riguardo la possibilità che il conflitto civile sudanese possa evolvere in un conflitto di dimensioni regionali, implicando anche l’Italia. Questo perché il Piano Mattei, la strategia italiana per l’Africa, si trova a dover superare notevoli sfide nel tentativo di stabilire una cooperazione equa con i paesi africani, i quali esigono un coinvolgimento più intenso su questi fronti.
Allo stesso tempo, il Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha trattato la questione del Sudan nella sua visita a N’djamena, Ciad. Notoriamente critico verso l’Occidente, Lavrov sembra guadagnare il sostegno degli attori locali, pur contribuendo ad acuire le tensioni. Nonostante parli di soluzioni, la sua strategia sembra favorire una fazione in particolare, le Rapid Support Forces (RSF), propendendo per una risoluzione del conflitto che potrebbe avvantaggiare gli interessi russi nella regione, piuttosto che cercare un accordo pacifico equilibrato tra le parti coinvolte.[1]
Il ministro degli esteri russo in Africa
Nel corso delle sue missioni diplomatiche in Africa, Sergei Lavrov, Ministro degli Esteri russo, ha messo in luce un approccio teso a promuovere narrativa anti-UE ed anti-NATO, mirando contemporaneamente a garantire l’accesso a risorse minerarie cruciali ed a rafforzare il supporto alla Russia nelle assemblee delle Nazioni Unite. Durante la sua tappa in Congo, Lavrov ha chiarito tali intenti, menzionando specificamente le ambizioni russe in Ucraina ed in Libia. La strategia geopolitica di Mosca mira ad espandere la sua influenza sul continente africano, un teatro in cui la brigata Wagner svolge già un ruolo decisivo nell’orientare le dinamiche politiche e decisionali. Questa manovra si contrappone agli obiettivi dell’Europa, che aspira ad accrescere la propria presenza in Africa, sostenuta in questo dal Piano Mattei.
Focus Burkina Faso
Durante una riunione a Ouagadougou con il ministro degli Esteri del Burkina Faso, Karamoko Jean-Marie Traoré, Sergei Lavrov ha espresso il forte impegno della Russia nel rafforzare la sua presenza militare. Il governo russo si è impegnato a supportare il paese africano nella lotta contro i gruppi estremisti affiliati ad al-Qaeda e all’ISIS, che per otto anni hanno portato avanti attacchi contro le forze governative. Seguendo i recenti colpi di stato e la partenza delle truppe francesi, il Burkina Faso ha cercato l’aiuto della Russia per migliorare la sicurezza nazionale.
Lavrov ha inoltre evidenziato come la Russia si proponga per riempire l’aspetto securitario tralasciato dai paesi occidentali nella regione. Istruttori militari russi sono già all’opera nel paese per addestrare il personale militare e delle forze di sicurezza. Il ministro russo ha elogiato il Burkina Faso per la sua posizione equilibrata e corretta riguardo al conflitto in Ucraina, confermando il sostegno verso gli africani che desiderino emanciparsi dall’influenza neocoloniale.
La centralità africana nell’agenda Ue
La limitata copertura mediatica riguardo il Piano Mattei in Africa ha generato diverse critiche. Abdoulaye Diarra, precedentemente mediatore culturale in Italia ed ora alla guida dell’Organisation pour le Bien Etre Solidaire (Obes) in Mali, ha lamentato come i media del continente non stiano dando sufficiente risalto all’iniziativa. Inoltre, Dean Bhekumuzi Bhebhe, dell’associazione Don’t Gas Africa, lo ha criticato per le sue implicazioni nei combustibili fossili, vedendolo come un tentativo italiano di rendere l’Africa un corridoio energetico per l’Europa.
Contrariamente, Moez Sinaoui, l’ambasciatore tunisino in Italia, ha valutato positivamente il Piano Mattei, sottolineando un miglioramento dell’immagine dell’Italia in Africa, favorito anche da progetti come ElMed. Recente esempio di tale impegno è stata la missione imprenditoriale italiana in Mozambico, che ha visto la partecipazione di 15 aziende italiane, funzionari del ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, e rappresentanti di Ance. Durante il Mozambico-Italia Business Forum a Maputo, organizzato in collaborazione con l’Agenzia per la promozione degli investimenti e dell’export del Mozambico (Apiex) e la Confederazione Associazioni Economiche del Mozambico (Cta), si sono riunite oltre 170 imprese mozambicane, oltre ad importanti gruppi industriali e piccole e medie imprese italiane già operative nel paese.[2]
Riferimenti bibliografici
[1] https://formiche.net/2024/06/sudan-piano-mattei-rischio-umanitario-africa/#content
[2] https://formiche.net/2024/06/lavrov-in-africa-piano-mattei/#content
Una risposta
Interessantissimo reportage, espresso con la solita chiarezza e competenza da Arianne Ghersi