Views: 972
Tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo sentito il termine “Repubblica delle Banane”. Tale definizione indica uno Stato che sopravvive grazie ad un unico prodotto da esportazione (in questo caso il frutto tropicale) e pertanto, a causa di tale monocultura, risulta essere economicamente fragile ed afflitto da grave stratificazione sociale, con pochi piantatori ricchi e troppi poveri sottosalariati.
Tuttavia, nell’accezione comune, quando si dice “Repubblica delle Banane” essenzialmente lo si fa per canzonare uno Stato che soffre di corruzione diffusa, svogliatezza sociale, instabilità politica, carenze nello Stato di Diritto e scarsa credibilità delle istituzioni.
Fin qui tutti d’accordo. Ma chi e perché inventò tale dicitura?
“Repubblica delle Banane” fu coniato nel 1904 circa da William Sydney Porter (1862 –1910), conosciuto anche con lo pseudonimo di O. Henry, poliedrico scrittore statunitense.
Fatto è che Porter usò la sua sarcastica definizione in riferimento ad uno Stato immaginario di un suo racconto, ma modellato su uno vero e nel quale aveva vissuto per qualche anno, l’Honduras.
Perché il Paese centroamericano ebbe il poco piacevole privilegio di diventare il modello di una denigrazione lessicale planetaria?
La causa fu l’economia honduregna, la cui principale entrata era rappresentata dall’esportazione del frutto in questione.
Povero e politicamente instabile come praticamente tutta l’America Centrale, nel 1880 l’Honduras iniziò a favorire lo sfruttamento delle sue risorse minerarie ed agricole da parte delle compagnie private statunitensi. Queste, in cambio, avrebbero costruito quelle infrastrutture di cui il piccolo Paese aveva enorme bisogno.
In tale simbiosi Stato sovrano-compagnie private tra le seconde la parte del leone la fece la United Fruit Company, potentissima società specializzata nella coltivazione di frutta tropicale che poi vendeva in Europa e Nord America (società citata persino nel capolavoro cinematografico “Il Padrino – Parte II”).
Malgrado l’iniziativa privata straniera abbia portato in Honduras un innegabile miglioramento economico generale, questo afflusso di capitale non placò i tipici mali dei Paesi centroamericani, ovvero corruzione a tutti i livelli, guerriglia contro qualunque Governo, presenza di un’élite agiatissima affiancata ad una massa di diseredati e spese militari tali da mandare costantemente in deficit il bilancio.
Per capire di cosa stiamo parlando basti pensare che tra il 1920 ed il 1923 vi furono 17 tra rivolte e falliti colpi di Stato. In tale contesto capitava che rivoluzionari e banditi (in America Latina la differenza e spesso molto sottile) attaccassero le proprietà straniere, mentre più di un capopopolo, per nascondere i fallimenti e la corruzione casalinghi, provò a convogliare il risentimento della povera gente contro i “los americanos”. Era l’inizio dell’ormai arcinota retorica antiamericana ed “antimperialista” che, a fronte di qualche ragione, è da sempre infarcita di menzogne, autocommiserazione e soprattutto di tanta invidia.
In reazione a tale instabilità le grandi compagnie americane, sotto certi aspetti delle multinazionali ante litteram, iniziarono a sostenere apertamente le fazioni politiche honduregne meglio disposte nei loro confronti. Scelta obbligata e tutto sommato legittima, viste le copiose somme legalmente investite nel Paese, ma che rese il tutto ancor più caotico e socialmente esplosivo.
Inoltre, nel sostenere i loro amici locali, la United Fruit Company e le aziende simili chiesero l’aiuto del Governo statunitense. Anche in questo caso l’intervento diretto di Washington aveva varie motivazioni, ovvero l’interesse economico, il diritto/dovere di proteggere la vita e i beni dei cittadini americani all’estero e, last but not least, la necessità di mantenere un minimo di stabilità in un Paese del cosiddetto “Cortile di casa” geopolitico statunitense, per di più prossimo al preziosissimo Canale di Panama. Tali circostanze fecero sì che gli Stati Uniti dovettero inviare in Honduras ben sette differenti spedizioni militari, negli anni 1903, 1907, 1911, 1912, 1919, 1924 e 1925. Alla fine di questo lungo ciclo operativo, avente per gli USA un costo umano pressoché nullo, il Paese centroamericano rimase indipendente ed iniziò una fase di sostanziale ordine interno, sebbene in gran parte sotto il controllo economico delle grandi compagnie commerciali statunitensi e, in minor misura, britanniche.
Questo periodo storico si concluse nel 1949, con l’avvio di una serie di riforme politiche ed economiche che, pur tra mille difficoltà ed errori, avrebbero liberato l’Honduras dalla condizione di “Repubblica delle Banane”.
Riferimenti bibliografici:
- Storia del Mondo Moderno – Volume XII, Cambridge Universty Press, Garzanti, 1968, Milano.
- USA Potenza Mondiale, Federico Romero, Giunti Editore, 2007, Firenze.