La Turchia nella morsa del terrorismo del PKK

L’attacco terroristico

Durante il suo intervento al vertice dei BRICS a Kazan, il presidente turco Erdoğan ha rilasciato dichiarazioni importanti riguardo al recente attacco terroristico; ha sottolineato come tale evento abbia incrementato la determinazione del suo esecutivo a combattere il terrorismo. Allo stesso tempo, ha evidenziato come l’attacco abbia suscitato reazioni autentiche dagli stati alleati della Turchia. Erdoğan ha anche accennato alla possibilità di un cambiamento nel ruolo di Öcalan in futuro.

Il giorno successivo all’attacco ad un centro di difesa vicino Ankara, che ha provocato la morte di cinque persone ed il ferimento di altre quattordici, Erdoğan ha reagito con misure immediate e risolutive, intensificando il conflitto con i gruppi curdi in Siria, ma anche in Iraq. Contemporaneamente, i ministri del governo turco hanno manifestato unanimemente la loro ferma intenzione di neutralizzare il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK). Nonostante ciò, il quadro generale della situazione rimane intricato, con dettagli ancora poco chiari ed ulteriormente complicati dalle relazioni con altre questioni internazionali.

Le “tensioni” con il PKK

Nel corso dell’expo Saha, tenutosi ad Istanbul e focalizzato sulla difesa, il ministro della Difesa turco, Yaşar Güler, ha rivelato che le forze armate del suo paese hanno recentemente effettuato raid mirati contro il PKK, distruggendo 29 basi nel nord dell’Iraq e 18 nel nord della Siria, con il risultato della neutralizzazione di numerosi militanti. All’evento partecipava anche il ministro della difesa italiano, Guido Crosetto, che ha manifestato il proprio sostegno alla Turchia, evidenziando contemporaneamente l’urgenza di affrontare le crescenti tensioni nel Medio Oriente, con un’attenzione particolare alla situazione in Libano, e ha chiamato ad un’immediata riduzione delle ostilità.

Il ministro della Difesa turco, Yaşar Güler all’expo di Saha

Crosetto ha sottolineato l’importanza del ruolo della Turchia nella stabilizzazione regionale e ha promosso la necessità di adottare un approccio multilaterale e cooperativo per risolvere i conflitti. Ha inoltre sollecitato un impegno internazionale congiunto, coinvolgendo le Nazioni Unite, per mediare e risolvere rapidamente le crisi che affliggono Palestina, Libano e la zona del Mar Rosso, puntando ad un accordo pacifico e sostenibile.

I curdi parte delle tensioni?

Le recenti dichiarazioni su diversi fronti indicano che la politica turca in Siria è un tema complesso che merita considerazione. Tra i punti di tensione tra il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ed il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu non vi è solo la problematica della Striscia di Gaza, ma anche la questione curda. Erdoğan ha condotto una lunga campagna contro i curdi, ed un recente episodio ha visto le forze di sicurezza turche arrestare numerosi curdi durante festeggiamenti nuziali, accusandoli di svolgere “propaganda terroristica” per aver cantato canzoni anti- Erdoğan.

Nel frattempo, emergono novità significative riguardanti figure chiave nella politica turca. Selahattin Demirtas, ex leader di una delle principali forze politiche filocurde in Parlamento, detenuto dal 2016, ha condannato il recente attentato ad Ankara tramite un post su X, esprimendo il proprio dolore per le vittime e citando Abdullah Öcalan, leader del PKK. Demirtas sostiene che un’iniziativa di pace da parte di Öcalan potrebbe catalizzare un sostegno parlamentare da parte del partito filocurdo, aprendo la via ad un nuovo capitolo politico in Turchia durante l’ultimo mandato di Erdoğan.

Breve cenno alla storia del PKK

Nel 1978, all’interno di un dormitorio universitario ad Ankara, prende vita il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), in risposta ad una crescente oppressione dei curdi in Turchia. Questa etnia, che conta tra i 30 e i 35 milioni di individui distribuiti principalmente in Turchia, Siria, Iraq ed Iran, è una delle più grandi al mondo senza uno stato sovrano. In Turchia, dove si stima che vivano circa 15 milioni di curdi, la loro identità è stata a lungo negata e fino al 1991 venivano etichettati ufficialmente come “turchi della montagna”. Sotto la direzione del carismatico Abdullah Öcalan, il PKK emerge come un movimento marxista-leninista con l’aspirazione di fondare uno stato curdo autonomo.

Una vecchia foto di Abdullah Öcalan

Il 12 settembre 1980, il colpo di stato militare capitanato dal generale Kenan Evren rappresenta un momento cruciale per la Turchia ed intensifica la repressione nei confronti dei curdi. Il nuovo governo militare instaura rigide limitazioni sulla cultura curda: l’uso della lingua curda viene proibito nelle scuole, nei media, nell’editoria e perfino nelle conversazioni private. Anche i nomi ed i simboli culturali curdi, quali gli abiti tradizionali ed il folklore, sono soggetti a divieto. Tali restrizioni culminano con l’arresto e la detenzione di migliaia di persone semplicemente per aver usato la propria lingua madre.

Nel 1984, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) ha dato inizio ad una lotta armata nel sud-est della Turchia, inaugurando un periodo di conflitti che ha provocato oltre 40.000 morti, molti dei quali civili curdi. Negli anni ’90, il PKK ha subito una trasformazione significativa, abbandonando l’obiettivo dell’indipendenza a favore della ricerca dell’autonomia all’interno dello stato turco e del miglioramento delle condizioni dei diritti. Recentemente, il PKK ha continuato ad adattare la sua strategia: nel 2013, ha annunciato un cessate il fuoco con la Turchia, che è stato interrotto due anni dopo. Nel 2014, ha partecipato attivamente ai combattimenti contro l’Isis in Siria ed in Iraq, emergendo come forza decisiva nel soccorso di decine di migliaia di yazidi assediati sul Monte Sinjar. Nonostante il loro ruolo nella lotta contro l’Isis e la collaborazione con la coalizione internazionale, il PKK è tuttora classificato come organizzazione terroristica dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea e dalla NATO.

La formazione ideologica

La trasformazione ideologica del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) è strettamente collegata all’arresto del suo leader, Abdullah Öcalan, nel 1999. Öcalan, per diverso tempo rifugiatosi in Siria, è stato catturato in Kenya attraverso un’operazione dei servizi segreti turchi, a seguito di prolungate pressioni turche sul governo siriano. Originariamente condannato a morte per terrorismo ed attività separatiste, la sua sentenza è stata modificata in ergastolo quando la Turchia ha abrogato la pena di morte per allinearsi ai criteri di adesione all’Unione Europea. Da allora, Öcalan ha formulato dal carcere sull’isola di İmralı la teoria del “confederalismo democratico”, introducendo un cambiamento fondamentale nell’orientamento ideologico del partito.

La visione politica rinnovata del PKK prevede la sostituzione dello stato-nazione con una struttura composta da consigli amministrativi eletti direttamente dai cittadini. Questi consigli, come delineato nei documenti del partito, dovrebbero concedere alle comunità locali il potere di amministrare autonomamente le proprie risorse, pur mantenendosi interconnesse tramite una federazione di consigli. Questo modello si ispira agli arrangiamenti politici di nazioni come la Svizzera, la Germania e gli Stati Uniti, differenziandosi però per il suo forte accento sulla democrazia diretta.

Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) ha notevolmente innovato la sua visione del ruolo delle donne nella società attraverso l’introduzione di un approccio teorico focalizzato sull’emancipazione femminile. Dall’anno 2004, il partito ha dato vita alle Unità delle Donne Libere (Yja-Star), un segmento completamente femminile all’interno delle sue forze militari. Attualmente, le donne rappresentano il 40% del contingente combattente del PKK, una proporzione significativamente elevata rispetto ad altri contesti del Medio Oriente, segnando un impegno concreto del partito verso l’uguaglianza di genere.

Collage di foto di donne militanti nel Yja-Star

Parallelamente, nonostante la sua identità di partito non religioso, il PKK ha mostrato un atteggiamento inclusivo nei confronti dell’Islam, supportando iniziative come la fondazione di organizzazioni religiose curde e l’organizzazione di preghiere del venerdì in lingua curda. Abdullah Öcalan, il leader del partito, ha sottolineato l’importanza dell’Islam nel mediatore di pace tra i curdi ed i turchi, mantenendo allo stesso tempo un rispetto per lo zoroastrismo, che è considerato la religione originaria dei curdi.

Difensori della libertà o terroristi?

L’argomento relativo alla definizione del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) come entità terroristica è oggetto di un acceso dibattito internazionale. Paesi come Turchia, Stati Uniti, Unione Europea e NATO lo hanno classificato come tale, mentre altri stati, inclusi Russia e Svizzera, non lo hanno incluso nelle loro liste. Un verdetto di particolare importanza è stato emesso nel 2020 dalla Corte Suprema belga, la quale ha decretato che il PKK non dovrebbe essere visto come un’organizzazione terroristica, bensì come una parte attiva in un conflitto armato interno.

Il PKK è stato implicato in gravi reati, come il reclutamento forzato di bambini soldato e l’esecuzione di attacchi terroristici in centri urbani, oltre ad incursioni mirate contro i civili. Analisi effettuate da organizzazioni umanitarie rivelano che tra il 2013 ed il 2023, il gruppo ha incorporato almeno 29 minori, alcuni dei quali non avevano ancora compiuto 15 anni, configurando un possibile crimine di guerra secondo il diritto internazionale. Nel 2013, il PKK ha assunto l’impegno di interrompere il reclutamento di minori sotto i 16 anni e di tenere gli adolescenti tra i 16 ed i 18 anni lontani dalle zone di combattimento.

Allo stesso tempo, la Turchia ha ricevuto numerose critiche per presunte violazioni dei diritti umani nella sua offensiva contro il PKK. Si afferma che il governo turco abbia raso al suolo migliaia di villaggi curdi, compiuto eccidi di civili ed attuato arresti di massa nel tentativo di debellare i militanti. La Corte Europea dei Diritti Umani ha più volte sanzionato la Turchia per queste azioni, citando esecuzioni extragiudiziali, tortura e deportazioni forzate.


Riferimenti bibliografici:

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