“Il meglio del meglio non è vincere cento battaglie su cento bensì sottomettere il nemico senza combattere.”
Questa frase, tratta dalla Bing Fa di Sun Tzu, ovvero “L’Arte della Guerra”, rappresenta esattamente lo spirito di quello che verrà scritto in questo articolo, visto che si andrà a parlare di un personaggio che, sebbene si sia schierato dalla parte della fazione sconfitta e sia morto per difendere il proprio signore, tramite le sue azioni riuscì ad ottenere l’immortalità e il rispetto dei suoi alleati e dei suoi nemici.
Sto parlando del celebre Benkei, un Sohei, un monaco guerriero, che è stato celebrato in molti lavori giapponesi e non solo, come la figura dell’eroe che combatte fino all’ultimo contro i molti, andando a riprendere un nostro personaggio leggendario, ovvero Orazio Coclite e la sua lotta contro gli etruschi di Chiusi.
L’ambito storico
Siamo nel periodo storico del Giappone che venne chiamato “Le Guerre Genpei”, che durarono dal 1180 al 1185 d.C, i quali andarono a termine il cosiddetto periodo della Pace, ovvero quello Heian, che durava dal 795 d.C. Un conflitto che vide contrapposti due potenti clan, i Taira, i quali erano – de facto – i signori del Giappone e i Minamoto, un gruppo relativamente giovane, che sovvenzionati dal Tenno (l’Imperatore) Go Shirakawa, diedero battaglia ai Taira. Ed è in questo clan che nacque un personaggio importantissimo per questa storia, ovvero Yoshitsune Minamoto (1159-1189 d.C).
Yoshitsune nacque in un periodo non esattamente felice per il clan dei Minamoto, visto che appena ad un anno di vita, il pargolo vide suo padre Yoshitomo venire sconfitto e giustiziato da Kiyomori Taira, capo del clan rivale.
Il clan Minamoto venne messo sotto il controllo dei Taira e Yoshitsune, considerato innocuo vista l’età, venne mandato da un clemente Kiyomori in un monastero vicino a Kyoto, o come veniva chiamata prima, Heian Kyo, senza sapere delle sue origini e senza avere la possibilità di poter intervenire nello scacchiere politico del Giappone.
Non ci volle molto tempo, prima che un giovane Yoshitsune comprendesse la sua natura e che decidesse di andarsene dal monastero e iniziare la sua vendetta personale verso il Clan Taira e qui, secondo la leggenda, egli passo sul Ponte Gojo, sul fiume Kamo, nella Prefettura di Kyoto, dove stava una figura imponente e armata con una lunga naginata , un’arma innestata con una lama curva, che sbarrò il passaggio al giovane condottiero.
Era Benkei (forse 1155-1189 d.C.), un Sohei, ma chi erano questi monaci guerrieri?
Uno scorcio inerente i Sohei
Poco prima del periodo Heian di cui parlavamo prima, i Sohei rappresentarono il chiaro bisogno di protezione che era presente nell’animo della popolazione nipponica, un desiderio che neanche il Tenno, nonostante il suo potere, poteva esaudire del tutto. Fu proprio in quel momento che i templi buddisti decisero di cominciare ad allenare le proprie milizie all’interno delle società, creando dei corpi di milizia particolarmente efficiente, i quali avrebbero avuto diverse funzioni molto importanti.
- Colmare le lacune numeriche e disciplinari delle truppe regolari del Tenno, infatti Benkei era stato addestrato all’uso molte armi, oltre che alla Naginata, tra queste possiamo trovare l’ascia Masakari e l’asta da combattimento Tetsubo
- Proteggere le popolazioni più isolate
- Addestrare all’uso delle più svariate armi i guerrieri erranti/ mercenari
- Difendere i luoghi di culto
I Sohei, in particolare i già citati combattenti del monte Hiei, erano considerati i più pericolosi, visto che facevano parte dei cosiddetti “monaci di Montagna“, religiosi che subiranno poi delle gravissime perdite per man mano di Oda Nobunaga nel sedicesimo secolo.
Visto che i templi buddisti erano esentati da praticamente tutte le tasse imperiali ma anche da ogni tipo di sovvenzione ufficiale, la figura del Sohei in breve tempo simile a quella di un lavoro retribuito, permettendo alle comunità monastiche di sopravvivere grazie alle popolazioni o alle persone che devolvevano i loro soldi ad esse per i loro servizi.
Inoltre, si potrebbe pensare che essi avessero una vita di impedimenti e di sacrifici, seguendo una visione alquanto romanzata di questi personaggi, visto che molte fonti storiche (tra cui la sempre odierna Enciclopedia del Giappone dell’Universita di Cambridge) ci parlino di come spesso le ricompense fossero cibi, a volte anche pregiati, buon vino e anche donne con cui passare dei momenti intimi, premi che non venivano mai rifiutati dai Sohei.
Chi era Benkei?
Non si sa nulla della vita di Benkei a livello storico certo, prima dell’evento del ponte Gojo, a parte le leggende che ci vengono narrate da John Hall nel suo libro “Japan, From Prehistory to Modern Times” ci parla di come Benkei venisse chiamato da piccolo Oniwaka, ovvero “Bambino Demone” a causa della sua statura e della sua grande forza fisica, unita ad una grande bruttezza (tratto molto strano, visto che i giapponesi, erano alquanto ossessionati da un concetto simile alla Kalokagathia greca).
Una solo cosa è certa, è che Benkei appena divenne adulto cominciò a girare i monasteri giapponesi, in particolar modo quello del Monte Hiei, dove stavano i migliori Sohei di tutto il Giappone, dopo aver ricevuto il suo addestramento, lasciò il monastero dopo anni e andò ad abitare presso il ponte Gojo, dove iniziò la sua caccia alquanto peculiare.
Chiunque fosse appartenuto alla classe dei samurai e possedesse una katana, sarebbe stato sfidato da tale figura, il quale gli avrebbe offerto tre possibilità: o tornava indietro su suoi passi, o lo avrebbe affrontato in combattimento, oppure avrebbe pagato un pedaggio molto salato per poter passare.
Ogni volta che Benkei sconfiggeva un samurai, gli portava via la katana, il suo obiettivo era arrivare a mille di queste armi e al momento, ne aveva novecentonovantanove e la millesima sarebbe stata proprio quella di Yoshitsune.
Sembra che la battaglia durò un’intera giornata e la vittoria alla fine sorrise al giovane Minamoto, il quale, decise di risparmiare questo guerriero fenomenale, il quale era pronto a fare seppuku, il suicidio rituale, ma egli avrebbe dovuto seguirlo e giurargli fedeltà, sembra che Benkei pianse lacrime di gioia quando Yoshitsune gli chiese di mettersi al suo servizio, sentendosi onorato di servire l’unica persona che fosse mai riuscito a batterlo, inoltre il suo onore di Sohei era integro.
Le avventure e la morte
Benkei ebbe numerose avventure col suo nuovo padrone, in particolar modo difendendo Yoshitsune da ogni attacco da parte dei sicari del Clan Taira, riuscendo anche a prendere finalmente la sua millesima spada.
Benkei inoltre partecipò alla battaglia finale delle Guerre Genpei, ovvero quella di DanNo-Ura nel 25 aprile 1185, la quale siglò la vittoria dei Minamoto, ma anche l’inizio dell’invidia del fratello di Yoshitsune, Yoritomo, il quale, essendo il capo del clan, dichiarò nel 1187 sia Benkei che il parente, i due decisero di nascondersi, riuscendo a farlo per circa due anni, in un’abitazione che un tempo faceva parte di un protettore di Yoshitsune.
Il 15 giugno del 1189 però, l’abitazione, protetta da un ponte, venne attaccata da una forza congiunta dei due clan, l’unico che si parava tra loro e il loro signore era un sohei, Benkei.
La leggenda narra di come egli cominciò a menare colpi con la sua Naginata , falcidiando i nemici, uno, due, dieci, venti, i guerrieri non riuscivano a sconfiggere questo gigantesco monaco, il quale, rimaneva solido sulla sua posizione, fu in quel momento, che in maniera alquanto astuta, sebbene non proprio onorevole, i soldati decisero di colpire Benkei con una salva di frecce, prima una, poi due, poi tre, ma il guerriero non si muoveva e rimaneva fermo, in posizione di guardia, fu solo quando si avvicinarono che compresero che il guerriero era morto stando in piedi, fiero nonostante la miriade di ferite che aveva subito.
Yoshitsune fece Seppuku e la sua testa venne portata a Yoritomo, il quale la usò per berci il Sakè.
Ovviamente tutta questa ultima parte è chiaramente romanzata, ma vi fa capire quanto personaggio sia entrato nel cuore e nella mente dei giapponesi, ancora adesso Yoshitsune Minamoto è il prototipo del bushi perfetto, un Sir Galaad orientale, un Rolando nipponico.
La figura di Benkei oggi
Figura amatissima in Giappone, ancora adesso Benkei rappresenta il guerriero che non si tira mai indietro, che sconfigge i suoi nemici e muore senza una ferita sulla schiena, simbolo di disonore.
Le sue gesta hanno ispirato moltissimi personaggi della cultura anime, come ad esempio Barbabianca di One Piece (basato in parte sul celebre pirata realmente esistito Barbanera) che è morto stando in piedi e come arma prediligeva le naginata, proprio come il Sohei , oppure anche la kunoichi (Shinobi di sesso femminile) Chikuma Koshirou in Basilisk.
Inoltre, molti videogiochi e opere teatrali sono stati dedicati a questo leggendario guerriero, simbolo di lealtà, coraggio e forza, delle qualità che ancora adesso per i giapponesi, sebbene siano romanzati.
Riferimenti bibliografici:
- The Cambridge History of Japan (2008), in particolar modo Volume 2 e 3, Hall
- John Whitney. (1971). “Japan, From Prehistory to Modern Times”
- Rosa Caroli, Francesco Gatti (2022), “Storia del Giappone”
- Heike Monogatari, XIV Secolo d.C., Autore Sconosciuto