Se il corpo di armata standard (Kara) erano la base dell’armata dei Re persiani il reggimento degli Immortali (Jāwīdān o Anusiya, ovvero i compagni/seguaci) erano la punta di diamante dello Shah Achemenide.
Introduzione ai Jawidan
Soldati perfettamente addestrati, passavano tutta la loro vita a perfezionare le capacità belliche, le capacità di comando (spesso erano ufficiali di alto rango che ricoprivano ruoli di addestramento o potevano divenire guardie dei satrapi) e le loro arti nel sotterfugio e dell’intrigo (spesso gli immortali partecipavano ai giochi di potere che avvenivano nella capitale dell’impero, Persepoli, basti vedere il complotto di Artabano di Ircania, un alto funzionario, probabilmente un immortale, che sembra che governò alcuni mesi sul trono achemenide dopo aver ucciso il Re dei Re Serse I nel 465 a.C, ma su questo ci sono numerose leggende).
Alimentati col miglior cibo, trastullati dalle donne e dagli uomini più belli (secondo Erodoto), scelti tra i figli della nobiltà che risultavano essere più intelligenti e fisicamente prestanti, il corpo degli immortali era il miglior reparto che potesse vantare lo Shah. Il loro nome era derivato da una diceria greca. Il numero degli appartenenti al corpo non scendeva mai sotto le diecimila unità, e se uno di loro fosse caduto sarebbe stato sostituito immediatamente, ciò fece credere ai greci che questi soldati eccezionali sapessero tornare in vita.
La loro nascita
Come dissi nel mio primo articolo sul blog di Parabellum, la nascita degli immortali nacque all’interno del mondo achemenide, basandosi anche sui corpi di elitè medi (tra l’altro molti medi andarono a far parte dei Jawidan), durante la battaglia di Thymbra del 547 a.C. quando Ciro il Grande sconfisse il grande Re Creso, venendo fondati solo tre anni dopo la nascita dell’Impero Achemenide (secondo la Cronologia occidentale).
Di queste diecimila unità, sappiamo in maniera anche abbastanza nebulosa, che mille di essi avrebbero poi formato la guardia personale dello Shah, prendendo il nome di Melophoroi, i portatori di mele, dal loro tipico umbone presente sui loro scudi. Questo corpo apparve per la prima volta durante la seconda guerra greco- persiana, del 480 a.C.
Equipaggiamento
L’uniforme del reggimento consisteva in una tiara (copricapo di origine persiana) o un copricapo di feltro soffice, una tunica ricamata a maniche lunghe, pantaloni e una cotta di metallo, la migliore di tutto l’impero e uno scudo di pelle e di vimini. Gli immortali fino ai venticinque anni studiavano quattro armi in particolari
Spada (acinace): l’acinace era lunga, tra i 36–46 cm, con i due bordi affilati, un pomolo diviso, e una guardia cruciforme a forma di B o anche rettangolare o arrotondata, che, sebbene profonda, non si protendeva molto dalla lama. Poiché l’acinace sembrava essere un’arma da stoccata, e siccome era indossata generalmente sulla destra, l’inclinazione in avanti doveva servire probabilmente a permetterne la rapida estrazione, in una posizione molto favorevole per portare assalti a sorpresa, trovandosi infatti impugnata con la lama inclinata verso il basso e in avanti.
Lancia Persiana: lunga di solito sul 1.30 metri secondo Erodoto, secondo Kaveh Farrokh poteva raggiungere i 2.10 metri.
Arco composito: forse la loro arma più devastante, era ricurvo e simmetrico, realizzato in corno di ibex, legno e tendine di gazzella o daino. Questo tipo di arma veniva sottoposto a pressioni notevoli. Gli esperti sostengono che, privo di corda, l’arco persiano si sarebbe ripiegato su sé stesso fino a far incrociare le “braccia”. L’arco composito persiano aveva una tecnica di caricamento della freccia molto veloce
Cavallo: I persiani erano maestri nell’arte di andare a cavallo. Erano una cavalleria estremamente pesante e corazzata, composta da cavalli che erano stati allevati apposta per quello. Scelti tra i più coraggiosi e quelli più resistenti al dolore, queste bestie erano in grado di portare il terrore tra le truppe nemiche. A cavallo era utilizzata spesso un’arma che assomigliava molto sia ad un martello e ad un’ascia, ovvero la sagaris, con un manico lungo 70-80 cm e la testa piccola, con lama di scure da una parte e “penna” a becco di piccone dall’altra.
Lo stile di combattimento degli immortali era molto simile a quello degli altri membri della Kara, sebbene portato all’estremo come competenza, iniziando una pioggia di proiettili scoccati dall’arco composito per poi passare ad un feroce corpo a corpo. Coloro che potevano, spesso raggiungevano a grande velocità il nemico usando il proprio cavallo, usando l’animale come un vero e proprio ariete di carne e metallo.
Note:
- Secondo lo storico di Alicarnasso, Erodoto, gli Achemenidi (“discendenti di Achaemenes“) furono così chiamati da questo personaggio, Haxāmaniš/Achaemenes, del quale non si conosce nulla, se non per il fatto che fu l’unico dell’equipaggio di Ulisse che rimase nella grotta di Polifemo e cominciò a convivere col ciclope cieco
- Sembra esserci una concordanza tra la tradizione iranica e quella greca di Erodoto; quest’ultimo descrive il fondatore leggendario della dinastia come figlio di Perseo cresciuto da un’aquila.
Riferimenti bibliografici:
- “Storie”, Erodoto
- “Persian Army”, Duncan Head
- “Armies of Ancient Persia: The Sassanians”, Kaveh Farrohk
Una risposta
Ottimo approfondimento