Democrazie, dittature, leadership: un diverso approccio al diritto di uccidere?

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Una guerra tra democrazie è un fenomeno estremamente raro nella storia e pressoché sconosciuto negli ultimi cento anni. Essenzialmente i conflitti armati, soprattutto quelli simmetrici e dichiarati (quelli asimmetrici e non dichiarati, per loro stessa natura, hanno trasversalità più complesse) sono avvenuti e stanno avvenendo tra Stati dittatoriali e Stati democratici o tra dittature in contrasto tra loro. L’esempio classico è la Germania nazista che con il suo espansionismo ha imposto alle democrazie la Seconda Guerra Mondiale, dopodiché, malgrado ventidue mesi di proficua alleanza con l’Unione Sovietica, attaccò anche il gigante comunista.

La ragione principale di questo fatto è semplice: la guerra è la più costosa delle attività umane, tali costi abbassano il tenore di vita del grosso della popolazione, nelle democrazie si vota. Ergo un popolo con il portafoglio alleggerito fa perdere le elezioni al Governo in carica, spesso anche in caso di vittoria in guerra. A questo si aggiunga che la guerra danneggia i vantaggi del libero commercio, da sempre favorito dalle democrazie e spesso osteggiato dalle dittature, e che i conflitti armati mandano a casa le bare dei soldati caduti. Quest’ultimo fatto nelle democrazie può avere un effetto socio-politico devastante (vedasi il ritiro dalla corsa presidenziale di Lyndon Johnson nel 1968 a causa del Vietnam malgrado il trionfo elettorale del 1964), mentre nelle dittature il malessere non può esprimersi liberamente e rimane sotto la pentola a pressione del regime. Finché non arriva la vittoria, l’annientamento del regime da parte del nemico esterno o lo scoppio dall’interno della pentola a pressione.

Abbiamo scritto “democrazie” evitando l’aggettivo “occidentali”. Questo perché ad oggi le democrazie sono tutte occidentali o, al massimo, di Paesi e popoli occidentalizzati.

Fatta questa premessa risulta evidente che un’attuale democrazia classica (ovvero inserita nel blocco occidentale ad oggi capitanato dagli Stati Uniti) ha molte più possibilità di scontrarsi con una dittatura che con una sua “sorella” istituzionale. Questo assioma trova la sua dimostrazione nella Guerra delle Falkland del 1982. In quel conflitto la dittatura argentina, in crisi di consensi a causa del disastro economico, attaccò la democratica Gran Bretagna. E questo malgrado la giunta militare di Buenos Aires fosse di natura fascista e ferocemente anticomunista, al punto di avere delle palesi collaborazioni col blocco occidentale contro il comune nemico marxista. Ma tutto questo non bastò, poiché una dittatura in crisi è come un cane rabbioso: o si isola per morire di consunzione o azzanna qualcuno alla prima occasione.

Quanto visto finora ci porta ad alcune considerazioni.

Parliamo dal punto di vista delle democrazie (ovvero il punto di vista di chi scrive) ed ipotizziamo una leadership politica democraticamente eletta il cui Stato è coinvolto in un conflitto simmetrico tra eserciti regolari. Tale leadership avrebbe il diritto/dovere di trattare diversamente il Governo avversario qualora fosse anch’esso il prodotto di una democrazia piuttosto che il vertice di una dittatura? Chi scrive ritiene di sì. Vediamo il perché.

Senza arzigogolare su quali Stati sono o erano democratici (lo sappiamo benissimo così come sappiamo benissimo che tutte le democrazie sono imperfette) una democrazia delega il potere politico a soggetti per lo più eletti ed in parte nominati. In altre parole la sua leadership è emanazione della maggioranza del suo popolo votante. Questo fa sì che anche in guerra sia moralmente giusto evitare di colpire militarmente (ovvero cercare di uccidere) i membri di una leadership. Presidenti, Primi Ministri e via dicendo, se in possesso di un genuino mandato elettorale, sono né più né meno che l’emanazione della volontà del proprio popolo. Pertanto eliminarli con attacchi mirati significa intaccare il libero processo decisionale di una Nazione: un gesto che una democrazia deve assolutamente evitare nei confronti di un’altra democrazia. Farlo significherebbe solo uccidere e martirizzare chi possiede il tuo stesso modo di pensare, aprendo la strada a Governi d’emergenza o ad altre arcinote formule esecutive sempre meno disposte, via via che il conflitto prosegue, al rispetto della vita umana e della libertà.

Il quadro, tuttavia, cambia radicalmente se il nostro teorico Stato democratico si trova in guerra con uno Stato dittatoriale. Un dittatore, o un Governo collegiale autocratico, rappresenta un potere che di per sé non si sottomette alla volontà del suo popolo. Pertanto secondo il parametro politico-legale occidentale (al quale questo articolo appartiene senza ipocrisie) tale potere non rappresenta la maggioranza della sua Nazione. È vero che vi sono state nella storia dittature che hanno raggiunto il potere tramite mezzi legali o semi legali (fascismo italiano e portoghese piuttosto che nazismo tedesco ne sono alcuni esempi), così come vi sono state dittature che vincendo un conflitto civile hanno semplicemente impedito l’ascesa di una tirannia di diverso colore (la Spagna di Franco è l’esempio più eclatante). Resta il fatto che tali regimi una volta conquistato il palazzo ne sono usciti solo perché costretti, chi dalla sconfitta militare e chi dall’esaurimento storico della propria ideologia. Pertanto se possiamo in parte dare al loro raggiungimento del potere il mantello della volontà popolare, il loro mantenimento del potere sicuramente non lo ha.

Ne consegue che se la leadership autocratica di uno Stato in guerra non rappresenta il suo popolo decade automaticamente al gradino inferiore della gerarchia: quello di bersaglio legittimo e preferenziale, esattamente come in battaglia, dove è preferibile uccidere il capitano piuttosto che un marinaio semplice.

Del resto sono molti gli elementi che portano le democrazie ad avere il diritto-dovere di provare ad uccidere i Capi di Stato e di Governo delle dittature con le quali dovessero trovarsi in guerra. Quello politico-istituzionale lo abbiamo già affrontato. Vi sono poi l’elemento tattico, quello strategico, quello umano e quello della reciprocità.

Tattico: i Governi tirannici quasi sempre concentrano nelle mani di poche persone la direzione del loro complesso militare-industriale. Ciò significa che decapitarne il vertice ha effetti ben più gravi che nelle istituzionalmente più elastiche democrazie.

Strategico: spesso le guerre che coinvolgono una o più dittature sono figlie della volontà dell’uomo “forte” al comando. Questo fa sì che l’uccisione mirata del tiranno di turno creerebbe sicuramente un devastante vuoto di potere, vuoto che spesso e volentieri viene riempito dalle seconde linee, le quali storicamente auspicano più di godersi i benefit raggiunti che ad inseguire la gloria. È storicamente palese che se Hitler fosse stato assassinato la guerra sarebbe finita nel tempo necessario a raggiungere un compromesso basato sulla situazione militare del momento.

Umano: i dittatori e le loro corti sono esseri umani. Spesso nemmeno migliori dei tanto vituperati politici eletti nelle democrazie occidentali. Al contrario, la storia è ricca di “uomini forti” che nel momento del crollo hanno provato a scappare in modi anche farseschi, ovviamente dopo aver depositato enormi fortune all’estero alla faccia dell’onore della patria. Pertanto un elemento non da poco per sbollire i sogni di gloria degli autocrati è dargli la certezza che, in caso di guerra, la prima pallottola è per loro e per i loro colleghi. Non sono molte le persone disposte a farsi ammazzare mentre hanno raggiunto potere, ricchezza e donne a volontà…

Reciprocità: i dittatori non guardano in faccia nessuno. Per loro la vita umana ha un valore molto più relativo che negli Stati di Diritto. Inoltre le autocrazie stracciano le leggi internazionali ed il diritto naturale come se niente fosse, poiché si ritengono ontologicamente superiori a tali “sovrastrutture borghesi” o “regole colonialiste bianche” che dir si voglia. Pertanto la reciprocità serve a far capire ai bulli internazionali che i primi a rischiare la pelle in caso di conflitto armato sono proprio loro. Del resto è ormai arcinoto il tentativo fallito delle forze speciali di Putin di assassinare il Presidente Zelens’kyj all’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina.

Perché le democrazie, anche quelle più imperfette, dovrebbero comportarsi diversamente?

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