Arianne Ghersi intervista Fabrizio Marcelli – Ambasciatore italiano in Libano

Fabrizio Marcelli


La morte del capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, come e quanto contribuisce alla destabilizzazione interna del Libano?

È ancora presto per valutare gli effetti sulla politica libanese della morte (venerdì 27 settembre) del segretario generale del Partito di Dio. Nasrallah aveva primeggiato, condizionandola pesantemente, sulla vita politica libanese negli ultimi 32 anni. Ultimamente nessun passaggio fondamentale per il Libano veniva deciso senza l’assenso della struttura di cui era a capo. La sua scomparsa potrebbe quindi sbloccare la dinamica istituzionale permettendo finalmente l’elezione di un Presidente (paralizzata da due anni per il veto di Hezbollah a candidati considerati ostili alla milizia-partito) e a cascata di tutte le altre cariche che dipendono dal Presidente. Oggi però la stabilità del Libano dipende da due attori esterni principali, Israele che sa conducendo un’offensiva di cui non sono ancora chiari gli obiettivi finali e l’Iran, principale sponsor di Hezbollah il cui intervento potrebbe scatenare un conflitto regionale, come sembra il caso con gli ultimissimi avvenimenti.


Quanto è concreto il sostegno a Hezbollah da parte del tessuto sociale libanese?

Naturalmente la base di Hezbollah è rappresentata dalla comunità sciita, presente soprattutto nel Libano meridionale, la valle della Bekaa e la periferia meridionale di Beirut, aree ora martellate dalle incursioni aeree israeliane. Hezbollah fornisce servizi sociali, sanitari e educativi alle famiglie dei propri aderenti. Uno Stato parallelo che negli ultimi anni ha funzionato meglio delle prestazioni pubbliche al resto della popolazione, grazie anche alle disponibilità finanziare generate dai trasferimenti iraniani e dallo svolgimento di attività, non tutte di natura lecita. L’etichetta di resistenza islamica all’occupazione israeliana di limitate aree residue di terre libanesi lungo la linea blu e l’adesione alla causa palestinese dopo il 7 ottobre (c.d. unità dei fronti) hanno valso ad Hezbollah simpatie anche fra il resto della popolazione libanese, soprattutto quella di confessione sunnita. Ora lo scoppio del conflitto e le distruzioni e le vittime che sta causando, sta alienando parte delle simpatie fra gli stessi sciiti, che non vedono alcun collegamento fra il Libano e le vicende di Gaza.


La divisione delle cariche pubbliche in chiave confessionale è, in questo caso, un beneficio?

Il dato confessionale è sempre presente in Libano, inteso sia in senso positivo quale modello di convivenza (famosa metafora di Giovanni Paolo II del Libano quale Stato-messaggio) che in negativo, come avvenuto durante la lunga guerra civile. Gli accordi di Taef che hanno posto termine a quest’ultima, prevedevano una diluzione dell’elemento confessionale, ad esempio nei programmi scolastici che avrebbero dovuto essere basati su un curriculum nazionale. Purtroppo gli accordi sono rimasti in gran parte lettera morta e l’affermazione di Hezbollah come elemento condizionante della vita politica libanese non ha consentito l’evoluzione auspicata verso una società meno condizionata dall’appartenenza confessionale.


Quali le prossime svolte?

Naturalmente speriamo tutti che la crisi attuale abbia anche dei risvolti positivi. A medio termine dopo il cessate il fuoco non si arrivi alla cantonalizzazione del Libano a seconda dell’appartenenza comunitaria. L’indebolimento del partito di Dio può condurre al superamento dello stallo politico la con nomina delle cariche attualmente vacanti. Può anche portare alle auspicate riforme in campo finanziario con la ristrutturazione delle banche e la ricostruzione della fiscalità, attualmente praticamente inesistente. A risollevare le sorti Paese possono infine contribuire il ristabilimento dello Stato di diritto, la generosità della numerosa diaspora che tornerebbe a reinvestire nel Paese e l’innata imprenditorialità dei libanesi, che al momento non può esplicare i suoi effetti sulla crescita per gli ostacoli frapposti dagli interessi improduttivi acquisiti, spesso favoriti da appoggi a livello politico.

Una risposta

  1. Complimenti ad Arianne Ghersi per l’intervista a Marcelli. Ne esce un panorama internazionale di vivo interesse, a parte le ineludibili preoccupazioni che in tutti noi suscita

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