Houthi ed Israele: cronaca dei controversi rapporti

Premessa

In passato, gli Houthi erano considerati una minaccia minore, limitata principalmente alla stabilità della penisola arabica, con dieci anni di conflitto tra Yemen ed Arabia Saudita. Recentemente, la situazione si è aggravata, compromettendo anche i commerci navali tra lo stretto di Bab-el-Mandeb e Suez, attraverso il Mar Rosso. Gli Houthi, ribelli sciiti, non hanno mai nascosto il loro principale obiettivo: Israele, utilizzando ora il pretesto di sostenere Hamas a Gaza.

Israele è il bersaglio principale, ma anche gli Stati Uniti e gli alleati occidentali, come la Gran Bretagna e gli Stati europei coinvolti nella missione Aspides (tra cui l’Italia), che pattugliano il quadrante per proteggere i commerci marittimi, sono nel mirino. Gli Houthi non si pongono limiti, se non quelli imposti dalla gittata delle loro armi, missili e droni. Questi ordigni, tutti di fabbricazione iraniana (con possibili aggiornamenti di origine russa), sono oggi in grado di coprire distanze considerevoli. Anche i centri nevralgici israeliani più distanti, come Tel Aviv, Haifa ed altre località costiere, sono diventati bersagli plausibili.

Dal 7/10/2023 ad oggi

La cronaca recente mette in luce un’intensificazione dei conflitti iniziata il 7 ottobre, quando Hamas ha lanciato un attacco che ha provocato la morte di 274 militari e 859 civili israeliani, oltre al rapimento di 250 ostaggi. Attualmente, 30 di questi ostaggi sono deceduti, 100 sono stati liberati, mentre il destino degli altri rimane incerto. Israele, a causa della sua storia e della costante sensazione di essere accerchiata, ha sempre risposto con determinazione ad ogni minaccia alla sua integrità ed ai suoi cittadini.

L’attacco Houthi in Israele

Un recente attacco missilistico sulla capitale ha evidenziato l’aumento delle tensioni nella regione, causando una vittima e diversi feriti; questo evento ha ulteriormente ridotto la tolleranza di Israele, già bersaglio di numerosi attacchi da parte degli Houthi. In risposta, il gabinetto di sicurezza di Tel Aviv, convocato d’urgenza durante lo Shabbat, ha deciso di lanciare un attacco diretto contro diverse infrastrutture militari ed il porto yemenita di Hodeida, controllato dai ribelli.

Gli F35 israeliani hanno colpito un deposito di carburante, provocando un vasto incendio visibile a chilometri di distanza. Un portavoce israeliano ha dichiarato che questo attacco è un monito per tutte le milizie armate contro Israele.

L’attacco israeliano contro le infrastrutture dell’area portuale di Hodeidah sotto il controllo Houthi

Dopo l’attacco subito, gli Houthi hanno promesso prevedibili contro-attacchi su larga scala. Alex Selsky, analista del Middle East Forum ed ex consigliere di Netanyahu, ha dichiarato che l’attacco mortale a Tel Aviv e la rapida risposta contro lo Yemen controllato dagli Houthi, rappresentano una pericolosa escalation.

Secondo quanto riportato da AGI, Selsky ha spiegato ai microfoni di Iran International che questo conflitto non è solo tra Israele e gli alleati regionali dell’Iran, ma è un conflitto più ampio che vede Israele come simbolo degli Stati Uniti e dell’Occidente in Medio Oriente. Questa interpretazione, sostenuta anche da altre fonti, suggerisce come lo Yemen sia già da mesi il terzo fronte di scontri anti-israeliani e potrebbe non essere l’ultimo. Milizie filo-iraniane, come Kataib Hezbollah in Siria ed Iraq, ed altre presenti in alcune aree della Giordania, continuano a muoversi, nonostante il desiderio della Giordania di rimanere fuori dai conflitti regionali, pur ospitando circa due milioni di rifugiati palestinesi.[1]

I dati dell’escalation

Il vero problema, però, è che l’attacco a Tel Aviv, insieme ad altri avvenuti recentemente nella regione Indo-Mediterranea, sottolinea la continua pericolosità rappresentata dagli Houthi. Questa minaccia ha già causato una riduzione del 25% delle entrate dell’Egitto derivanti dai passaggi nel Canale di Suez. Da quando i miliziani yemeniti hanno iniziato a colpire le navi commerciali nel corridoio Suez-Bab el Mandeb, estendendo i loro attacchi anche al Mar Arabico ed all’Oceano Indiano occidentale, Il Cairo ha perso 2,2 miliardi di dollari di entrate.

Durante i giorni in cui i droni sorvolavano Tel Aviv, le dichiarazioni quantitative di Osama Rabie hanno ricevuto meno attenzione mediatica. Tuttavia, il capo dell’autorità egiziana che gestisce il Canale di Suez ha annunciato come i ricavi dei transiti nel primo anno fiscale di destabilizzazione siano diminuiti a 7,2 milioni di dollari, rispetto ai 9,4 milioni dell’anno precedente. Inoltre, 5763 navi hanno scelto di evitare il passaggio per Suez, optando per circumnavigare l’Africa come si faceva prima del 1869. Questo comporta una riduzione degli introiti diretti e indiretti per l’Egitto, ma la questione ha anche implicazioni più ampie.

A giugno, uno dei mesi con il maggior numero di azioni lanciate dagli Houthi, tra missili e droni di vario tipo, inclusa un’azione record di distanza contro la Maersk Sentosa in pieno Oceano Indiano, la Defense Intelligence Agency statunitense ha pubblicato un rapporto. Questo documento indica che gli Houthi hanno messo in pericolo gli equipaggi, compromesso la sicurezza regionale, ostacolato gli sforzi internazionali di soccorso umanitario, minacciato la libertà di navigazione ed aumentato i costi ed i tempi di transito per le spedizioni commerciali.

L’importanza del peso quantitativo è evidente anche in questo contesto. Tuttavia, l’analisi dell’intelligence militare americana non considera un elemento cruciale per diversi Paesi regionali, a causa di obiettivi ed interessi specifici. Mentre l’Egitto subisce una perdita diretta di entrate a causa del mancato transito, altri Paesi come l’Italia affrontano effetti geoeconomici indiretti ma altrettanto preoccupanti. Le navi che evitano il Canale di Suez, per motivi di sicurezza, scelgono rotte alternative, marginalizzando il Mediterraneo. Circumnavigando l’Africa, queste navi non rientrano attraverso Gibilterra, ma si dirigono direttamente verso i porti del nord Europa. Nonostante l’aumento dei costi, il mercato si è adattato, con un assestamento dei prezzi delle spedizioni ed un accomodamento pragmatico previsto per il futuro, nonostante la fluidità del contesto. Tuttavia, se questa tendenza dovesse continuare, il rischio non è solo commerciale, ma anche geopolitico, trasformando il Mediterraneo in una serie di rotte locali che servono il mercato regionale piuttosto che quello intercontinentale Europa-Asia.

L’impatto globale sul commercio marittimo in conseguenza delle azioni Houthi

Le aziende commerciali si adattano e prendono decisioni principalmente per motivi di interesse economico. Gli aspetti geopolitici sono considerati secondari e sono di competenza dei governi. Le missioni attualmente in corso, come “Aspides” dell’Unione Europea e “Prosperity Guardian” e “Poseidon Archer” guidate dagli Stati Uniti, non sembrano aver ottenuto risultati significativi finora. Gli Houthi continuano a dichiarare che i loro attacchi sono diretti contro navi associate ad Israele, Stati Uniti o Gran Bretagna, come parte del loro sostegno a Hamas nella guerra contro Israele. Tuttavia, molte delle navi attaccate non hanno alcun legame con il conflitto, incluse alcune destinate all’Iran, che supporta gli Houthi.

La situazione attuale ha creato un precedente estremamente complesso: un gruppo armato locale, non statale, che mira ad ottenere un controllo parziale sullo Yemen, è consapevole di non poter mai amministrare l’intero Paese, anche se ipoteticamente gli venisse concesso, cosa che Riad non permetterà mai.

Le reazioni internazionali

Gli Stati Uniti e il Regno Unito, a differenza dei Paesi europei, hanno condotto operazioni cinetiche offensive contro le forze yemenite. Queste azioni, anche di natura preventiva, mirano a neutralizzare i lanciatori individuati per prevenire ulteriori attacchi. Gli europei, invece, adottano un approccio difensivo, abbattendo i vettori d’attacco, come spesso sottolineano i politici dei Paesi coinvolti nel progetto Aspides. Tuttavia, se nemmeno gli attacchi angloamericani sono sufficienti, è improbabile che le sole azioni difensive possano garantire una deterrenza efficace. Nel frattempo, gli Houthi continuano le loro operazioni e la marginalizzazione del Mediterraneo prosegue inesorabilmente.

Lo scenario complessivo rischia di essere ulteriormente complicato da un insieme di dinamiche, quale la possibilità che fra qualche mese Donald Trump possa essere eletto come Presidente degli Stati Uniti.

Trump ha infatti dimostrato, coerentemente alla politica “America First”, una limitata attenzione alle questioni del Mediterraneo, nonostante i vari apparati dello stato possano volgere il loro interesse alla regione in virtù degli atteggiamenti assunti dai rivali geostrategici degli USA.

Il candidato repubblicano ed ex Presidente USA, Donald Trump, impegnato in un accorato discorso durante l’attuale campagna elettorale

Trump ha messo più volte in chiaro come “aiutarsi” (ovvero aumentare ad esempio i propri impegni in seno alla NATO) vada considerata conditio sine qua non per essere aiutati (vedasi ad esempio il caso Taiwan). Tale atteggiamento potrebbe peraltro essere assunto anche dal successore di Joe Biden in quanto, seppur divergenti su molti altri temi, i due schieramenti politici statunitensi sembrano allineati in merito a limitare l’utilizzo di forze armate nelle modalità attuate fino ad oggi dal Paese. È infatti innegabile come interesse primario degli USA sia quello di proteggere le relazioni geoeconomiche con Europa ed Asia e non necessariamente ritenere l’area Mediterranea come prioritaria all’interno di tale obiettivo. 

La nuova Commissione europea, guidata per il secondo mandato da Ursula von der Leyen, dovrà adottare posizioni più decise? 

La crisi nell’Indo Mediterraneo rappresenterà un primo, significativo banco di prova? 

La gestione della questione Houthi sarà probabilmente uno dei compiti principali del commissario per il Mediterraneo, a condizione che Bruxelles voglia davvero mantenere il Mediterraneo come un crocevia centrale delle rotte globali. Se così non fosse, il commissario rischierebbe di diventare un semplice “vigile di quartiere”, costretto a gestire una regione ulteriormente caotica. La perdita di centralità potrebbe comportare, nel medio termine, maggiori destabilizzazioni, anche da parte di attori esterni rivali, che potrebbero approfittare della minore attenzione ed attività di chi finora ha cercato di mantenere l’ordine basato sulle regole. Ciò è esattamente quanto accaduto nell’Indo-Mediterraneo, destabilizzato dall’azione congiunta di un gruppo non-statale armato dall’Iran, uno degli attori dell’asse revisionista. Fiona Hill, ex consigliere dell’amministrazione Trump ed attualmente membro del nuovo governo laburista britannico, definisce questo asse come il “quartetto mortale” (Cina, Russia, Iran e Corea del Nord): un serio campanello d’allarme anche per la NATO e per il nuovo rappresentante speciale chiamato a occuparsi del “vicinato meridionale”.[2]


Note bibliografiche:

[1] https://www.ilsussidiario.net/news/gli-attacchi-houthi-tra-il-disimpegno-degli-usa-e-la-distrazione-dellue-lobiettivo-e-israele/2734544/amp/

[2] https://formiche.net/2024/07/cosi-gli-houthi-mettono-nei-guai-suez-e-marginalizzano-il-mediterraneo/#content

Una risposta

  1. La situazione ci interessa assai da vicino. Il Mediterraneo è “colpito” dalla crisi che si sta sempre più complicando tra Israele e mondo arabo, o parte del mondo arabo. Arianne Ghersi ce ne fornisce un quadro assai vivo e lucido. Complimenti all’autrice!

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