Il “Paese dei cedri”: il Libano nella morsa del conflitto israelo-palestinese

Dall’ormai triste vicenda legata all’esplosione al porto di Beirut nell’agosto 2020 si può dire che il paese era ormai fossilizzato in uno stallo politico imbarazzante. Gli unici “fattori” in costante aumento sono stati l’inflazione, la disperazione del popolo in balia di una consapevole impotenza e, ultimo ma non ultimo, il balletto politico di molti personaggi deputati a cariche di spicco.

Innanzitutto è importante ricordare come le anime che compongono il tessuto sociale siano così diametralmente diverse da aver portato ad una spartizione del potere statuale in chiave confessionale. Infatti è previsto che il presidente sia un cristiano maronita, il primo ministro un musulmano sunnita ed il presidente del parlamento un musulmano sciita. Questo potrebbe sembrare il tentativo migliore per convergere in chiave democratica istanze diverse, ma non è difficile immaginare come una così saggia intuizione crei in realtà una forma di immobilismo ed una sorta di protezione d’interessi per categoria.

La crisi

Il Libano si trova sull’orlo del collasso, servendo come strumento per bypassare le sanzioni internazionali contro l’Iran, che dipende da circuiti finanziari funzionanti. Questo paese è dominato da Hezbollah, l’unico gruppo armato presente, che ha costruito alleanze strategiche per controllare la presidenza, tradizionalmente affidata ai maroniti. Questo periodo di decadenza è accentuato da una pervasiva incapacità politica, con molteplici attori locali coinvolti. La crisi economica profonda e la bancarotta dello stato rendono difficile tracciare una linea netta tra gli integri ed i compromessi, soprattutto considerando che persino i governi di unità nazionale, che attualmente contrastano Hezbollah, hanno preso decisioni critiche in passato. Documenti ufficiali attuali attestano la supremazia di Hezbollah, solidificata sul campo.

Esplosione al porto di Beirut

Il 4 agosto 2020, il porto di Beirut è stato teatro di una catastrofica esplosione che ha segnato un punto di svolta nella crisi economica del Libano. L’incidente ha annientato il principale snodo commerciale della città e ha reso inabitabili interi quartieri limitrofi; in seguito, le indagini si sono concentrate sul perché grandi quantità di nitrato d’ammonio fossero state stoccate in un’area criticamente strategica sotto l’influenza di Hezbollah, che controlla anche l’aeroporto. Nonostante le implicazioni di figure governative, inclusi alcuni ministri, le autorità hanno più volte intralciato gli sforzi giudiziari, piuttosto che collaborare. A distanza di quattro anni, le indagini sono state abbandonate, i dialoghi interrotti ed i familiari delle vittime sono stati esposti a minacce dirette.

Fotogrammi tratti dal video dell’esplosione dle porto di Beirut

I rifugiati siriani

Un’altra situazione di grave tensione è rappresentata dalla presenza di un vasto numero di rifugiati siriani, che continua ad essere fonte di instabilità. Le politiche governative si sono limitate a due strategie principali: favorire gli interessi di Damasco, stretto alleato di Hezbollah, e trasformare i rifugiati in un capro espiatorio per deviare l’attenzione pubblica dai fallimenti e dalla corruzione endemica del sistema politico del paese.

La crisi finanziaria che ha colpito il Libano a partire dal 2019 ha avuto un profondo impatto sulla percezione dei rifugiati siriani nel paese. La situazione di impoverimento diffuso tra i libanesi ha minato ogni possibile solidarietà verso i siriani, spesso accusati ingiustamente di contribuire alle difficoltà economiche e sociali del paese. Il crimine organizzato, intensificatosi particolarmente nei traffici illeciti al confine con la Siria, vede coinvolti numerosi siriani, spinti dalla necessità di sopravvivenza. Tuttavia, è essenziale riconoscere che la problematica centrale non risiede nei singoli individui, ma nelle ampie e potenti reti criminali consolidate nel territorio.

La povertà che colpisce anche i bambini libanesi

Un esempio della tensione esacerbata da queste dinamiche è l’assassinio di Pascal Sleiman, leader di un partito cristiano anti-siriano. L’omicidio, presumibilmente perpetrato da ladri siriani in un’imboscata montana, è stato accolto con forte scetticismo dalla comunità, che vede nelle spiegazioni ufficiali un tentativo di occultare la realtà. I rifugiati siriani vengono generalmente divisi in due categorie: gli agenti del regime di Assad, liberi di muoversi, e i “fuggitivi”, costretti a lasciare la Siria, che insieme sono circa un milione e mezzo di persone. Nonostante le sfide, questi rifugiati cercano di sopravvivere accettando lavori in condizioni degradanti o, in casi disperati, ricorrendo a piccoli crimini, ma sempre entro il contesto urbano e non nelle impervie zone montane.

L’intervento dell’Ue si scontra con le dinamiche locali

Il dono di un miliardo di euro concesso dall’Europa al Libano per un triennio, con la condizione di dedicare una parte di questi fondi al controllo marittimo per combattere l’immigrazione illegale, ha scatenato notevoli proteste all’interno del paese. Le critiche principali si sono concentrate contro la politica europea di opposizione al rimpatrio coatto dei rifugiati, sollevando così una serie di richieste per l’implementazione di tale misura, nonostante la netta incompatibilità di quest’ultima con le linee guida europee. Questo ha messo l’Europa in una posizione di accusa, nonostante la magnanimità del suo contributo finanziario. Accettare le vere ragioni della presenza dei rifugiati siriani potrebbe infatti intaccare gli interessi di chi trae vantaggio da traffici illeciti, specialmente in armi e droghe, tra cui il captagon, la cui produzione è dominata da Maher Assad, fratello del presidente della Siria.

In questo contesto, si distingue la posizione di Hezbollah e del suo leader Nasrallah sui rifugiati siriani. Nasrallah ha proposto che il Libano faciliti la migrazione clandestina di questi individui verso l’Europa, ritenendo questa la sola via per convincere Bruxelles a consentire il loro rimpatrio. Tale consenso, tuttavia, appare improbabile data la grave situazione che i rifugiati rischierebbero al loro ritorno. L’intenzione di Nasrallah, però, sembra mirare al sostegno del suo alleato siriano per ottenere aiuti finanziari dall’Europa e rinnovare le relazioni diplomatiche, in cambio della riammissione dei rifugiati, un accordo che porterebbe a conseguenze desolanti per gli stessi.[1]

Le tensioni tra Tel Aviv e Beirut

Il Ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, ha evidenziato l’escalation delle tensioni con Hezbollah ed il Libano, anticipando possibili revisioni nelle strategie di sicurezza nazionale. Nel corso di una dichiarazione rilasciata sulla piattaforma X, Katz ha fatto riferimento ad un video pubblicato da Hezbollah che mostra un drone, identificato come un “Hodhod” di fabbricazione iraniana, mentre sorvola Haifa. Questa città portuale, situata vicino al confine con il Libano, è spesso stata il fulcro degli scontri tra le due parti, in un conflitto che perdura formalmente dal 2006.

Secondo Katz, un conflitto diretto porterebbe alla distruzione di Hezbollah ed a danni considerevoli per il Libano. Il video diffuso da Hezbollah offre una panoramica dettagliata di Haifa, compresi i suoi distretti residenziali ed industriali, oltre ad importanti infrastrutture militari ed al porto. Quest’ultimo riveste un ruolo cruciale, fungendo da base per varie unità militari israeliane, inclusi sottomarini e scuole di formazione dell’accademia navale, e serve altresì come punto di appoggio per le unità americane della Sesta Flotta operanti nel Mediterraneo.

Katz ha inoltre richiamato l’attenzione su affermazioni recenti di Hassan Nasrallah, guida spirituale di Hezbollah, che ha espressamente minacciato il porto di Haifa, sottolineando come esso sia gestito da compagnie internazionali provenienti da Cina ed India. Tali minacce amplificano le preoccupazioni per la sicurezza nella regione, introducendo ulteriori complicazioni nelle già tese dinamiche di sicurezza internazionale.

Il porto di Haifa

Il porto di Haifa, situato nell’area orientale del Mediterraneo, ha guadagnato notorietà strategica grazie all’inaugurazione di un avanzato terminal container. A settembre 2021, il Gruppo Portuale Internazionale di Shanghai ha investito circa un miliardo di euro per assicurarsi la gestione di questo impianto, capace di movimentare un milione di navi annualmente attraverso un contratto della durata di venticinque anni. Quest’operazione ha generato perplessità negli Stati Uniti, considerando il delicato equilibrio tra gli Accordi di Abramo e l’espansione della Via della Seta promossa dalla Cina.

A meno di un anno da questo evento, durante una visita in Israele, il presidente statunitense Joe Biden ha presieduto il lancio del primo summit virtuale dell’I2U2, un forum che unisce India, Israele, Emirati Arabi Uniti e USA. Al summit hanno partecipato figure chiave come Narendra Modi, Mohammed Ben Zayed e il primo ministro israeliano dell’epoca, Yair Lapid, sottolineando il ruolo cruciale di Haifa nel contesto geostrategico dell’Indo Mediterraneo.

Contemporaneamente, le autorità statunitensi hanno intensificato le pressioni su Israele per ridurre l’ingresso cinese nelle infrastrutture essenziali, esemplificato dalla decisione di escludere le compagnie cinesi dall’appalto per l’ampliamento della metropolitana di Tel Aviv, affidato infine ad Alstom ed ai suoi soci israeliani all’inizio del 2022. Nel frattempo, con la formazione dell’I2U2 ed in un clima di crescenti tensioni geopolitiche, il Gruppo Adani, un gigante indiano guidato da Gautam Adani e stretto alleato di Modi, ha acquisito il 70% delle quote del porto di Haifa, rafforzando così l’asse strategico nella regione.

Nonostante le sue dimensioni modeste nel traffico di container (movimenta circa la metà delle quantità rispetto al porto di Trieste), il porto di Haifa ha guadagnato un rilievo cruciale nello scacchiere internazionale. È diventato un fulcro per l’iniziativa Belt & Road della Cina ed un elemento chiave nel progetto Imec, che mira ad unire India, Medio Oriente ed Europa. Presentato al G20 in India lo scorso settembre, questo corridoio vede Haifa come una porta d’accesso fondamentale per l’Europa, attirando l’attenzione di Hezbollah.

Hezbollah, ben consapevole del significato strategico di Haifa, ha puntato il porto non solo per il suo simbolismo, ma anche per la sua importanza pratica. Il porto fu infatti il punto di arrivo per gli immigrati che, terminata la Seconda Guerra Mondiale, sognavano di fondare lo Stato ebraico. Oggi, il porto è vitale per i piani che intendono rafforzare le connessioni tra l’India ed il Mediterraneo, conferendo a Haifa una statura internazionale.

Unico punto di convergenza tra le iniziative Bri (Belt and Road Initiative) ed Imec (Corridoio India – Medio Oriente – Europa), Haifa incarna un’ambiguità strategica che interessa più l’Occidente che il Medio Oriente, sfruttata da Hezbollah per sottolineare la potenziale insicurezza dell’area. Nonostante Israele debba garantire sicurezza, i continui conflitti, come quello nella Striscia di Gaza, frenano i processi di normalizzazione con l’Arabia Saudita, impedendo così una trasformazione regionale che faciliterebbe il commercio dall’India verso Israele. Questo nonostante Pechino e New Delhi comprendano il valore limitato ma strategico di Haifa nell’ambito di Imec.

Comparazione tra l’IMEC e la BRI

Il 7 ottobre, una rilevante iniziativa internazionale per la connettività logistica ha incontrato un ostacolo significativo, messo in pericolo ancora una volta dalle minacce del gruppo Hezbollah. Nel frattempo, gli Houthi, un gruppo indipendentista yemenita, rappresentano una continua minaccia per le cruciali rotte geoeconomiche nel corridoio del Suez-Bab El Mandeb, aggravando le tensioni nell’area Indo-Mediterranea.

Questi eventi sottolineano quanto la sicurezza sia fondamentale per tali iniziative, rivelando la vulnerabilità delle grandi potenze di fronte ad entità armate non statali che hanno il potere di destabilizzare regioni ed interferire con progetti di vasta portata. È importante notare che gruppi come Hamas, Hezbollah e gli Houthi, sostenuti dall’Iran ed in collegamento con i Pasdaran, attribuiscono all’Iran un ruolo influente nelle dinamiche regionali, anche se questi gruppi godono di una crescente autonomia, rendendo il loro controllo sempre più complesso.[2]


Riferimenti bibliografici

[1] https://formiche.net/2024/06/libano-hezbollah-israele-inviato-speciale-usa/#content

[2] https://formiche.net/2024/06/haifa-hezbollah-indo-mediterraneo/#content

Una risposta

  1. La sempre convincente chiarezza espositiva di Arianne Ghersi all’interno di un panorama internazionale sempre più complesso

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *