La ricerca delle leggi immutabili della vittoria in guerra. Dai primi trattati seicenteschi, all’età contemporanea.
La guerra si fa con gli Eserciti, che sono lo scudo e l’ultima garanzia per la sopravvivenza culturale ed economica di uno Stato. Senza un Esercito, uno Stato non è nelle condizioni di proteggere i propri interessi o di progettare in sicurezza il proprio sviluppo, qualunque essi siano e ovunque essi siano. Ma gli Eserciti sono organismi complessi e costosi, da organizzare, equipaggiare e mantenere e hanno un solo scopo, vincere sul campo di battaglia, evento che è in sé distruttivo.
Esiste una evidente relazione tra efficacia militare e vittoria, intesa come la capacità di infliggere danni al nemico limitando al contempo i danni che egli può infliggere in cambio[1]. Gli Eserciti sono, quindi, un “asset” prezioso, che non può essere sprecato perché non può essere velocemente o facilmente ricostruito.
Conciliare la necessità di garantire la vittoria al minor costo possibile, ha portato a ragionare su come utilizzare al meglio un Esercito, preparandosi per un confronto futuro, in un contesto e con un avversario sconosciuto. Questa esigenza ha trovato una risposta in un percorso intellettuale che parte dall’elaborazione dell’esperienza della guerra, individuale o collettiva.
Gli Eserciti possono guardare ai conflitti contemporanei e del passato per capire quali lezioni questi possono offrire[2], per cercare e definire le relazioni e le dinamiche che collegano quelle lezioni o generalità e proporre l’insieme come spiegazione teorica di qualche aspetto della strategia o della guerra o della tattica[3]. In breve, si cerca la formula della vittoria o i principi che la governano.
La ricerca dei principi che regolano il fenomeno della guerra è un lungo percorso storico. Possiamo tuttavia distinguere diversi approcci a seconda della comprensione della natura della guerra. Uno di questi i è quello di considerare la guerra come una scienza, che obbedisce a un chiaro insieme di leggi e principi fissi[4].
L’altro è riconoscere che la guerra non può essere ridotta a regole o principi immutabili, perché è un fenomeno troppo complesso, caotico e imprevedibile per essere condotta con metodi scientifici, per quanto avanzati[5]. La guerra è perciò un’attività libera e creativa[6], pratica e artistica, un “sistema di espedienti” volto a stabilire, per quanto possibile, le condizioni per il successo[7].
La guerra come scienza
Per Maurizio di Sassonia (1696-1750) “la guerra è una scienza così oscura e imperfetta … altre scienze sono fondate su principi fissi … mentre questa sola ne rimane priva” e credeva che la guerra, come ogni altro ambito, “dovesse … sicuramente obbedire ad alcune leggi e principi scientifici”[8]
La rivoluzione scientifica newtoniana portò alla convinzione che la guerra potesse essere studiata sistematicamente e si potesse creare una teoria chiara e universale. La teoria militare del tempo era dominata dai sostenitori della cosiddetta scuola geometrica o matematica, secondo la quale l’Esercito è paragonabile ad un dispositivo meccanico che, “come tutte le altre macchine”, è composto da varie parti e il suo corretto impiego dipende dal modo in cui queste parti sono disposte, concetto esemplificato nella metafora dell’orologio, simbolo dell’ordine, della regolarità e della prevedibilità[9].
Di conseguenza, la professione militare si doveva basare sullo studio della scienza meccanica e non solo sulle esperienze di combattimento. In breve, l’Esercito sul campo era come una figura su una scacchiera. Le prestazioni personali e creative sul campo di battaglia non avevano un ruolo importante e le azioni dei grandi capitani si spiegavano con la loro adesione alle regole dell’arte della guerra.[10]
Il generale gallese Henry E. Lloyd (1720-1783) considerava la guerra un ramo della meccanica newtoniana e la vera arte della guerra non era combattere battaglie sanguinose, ma nel condurre abili manovre per mettere in scacco il nemico attraverso marce e movimenti calcolati.[11] Il Prussiano Dietrich Heinrich Freiherr von Bülow (1757-1807) elaborò una teoria matematicamente precisa, arrivando ad affermare che le sue teorie potevano offrire la chiave della vittoria consentendo una precisione scientifica del risultato prima che gli eserciti si impegnassero in battaglia.[12]
Anche se la scuola geometrica venne superata dalle Guerre della Rivoluzione Francese e da Napoleone I, la ricerca di teorie o principi universali per la vittoria continuò. Antoine-Henri de Jomini (1779-1869), generale e scrittore militare svizzero, studiò con zelo scientifico le campagne di Federico II di Prussia e di Napoleone I per identificare i principi universali centrali dell’arte della guerra, “da cui non si può deviare senza pericolo, mentre la loro applicazione è sempre stata coronata dal successo”.[13]
Jomini ha forse contribuito ai principi della guerra più di qualsiasi altro teorico prima di lui. Benché fosse “consapevole della complessità della guerra” così come dell’impossibilità di ridurre il fenomeno a una formula semplice[14], l’opera di Jomini è caratterizzata da una visione lineare e deterministica della guerra[15], riflessa in un dettagliato vocabolario di termini geometrici come basi, linee strategiche e punti chiave.[16]
La scuola geometrica continuò ad influenzare il pensiero militare ben oltre la sua fase storica. Nel diciannovesimo secolo, gli insegnamenti di Jomini servirono da guida nelle scuole militari europee, con la possibile eccezione della Germania. In Francia, Gran Bretagna e negli Stati Uniti si aprì un lungo dibattito sull’esistenza di principi e, in caso affermativo, su quali fossero[17].
Dopo la Prima Guerra Mondiale, fu il generale britannico J.F.C. Fuller (1878-1966), “il più influente contributo al moderno concetto di “principi di guerra” [18], che riaffermò l’approccio scientifico alla guerra, senza cadere nel dogmatismo Illuminista. Influenzato dalle teorie di Lloyd, per Fuller[19] la guerra deve essere ridotta a scienza prima di poter essere praticata correttamente[20], solo l’approccio scientifico e storico consente di individuare i principi che governano la guerra e che “probabilmente esisteranno durante la prossima guerra[21][22].
Dopo le due guerre mondiali, con eserciti di dimensioni senza precedenti, i metodi di pianificazione, le procedure e le organizzazioni di staff sempre più complesse, i principi della guerra vengono istituzionalizzati e codificati nelle dottrine e nei regolamenti delle grandi potenze[23].
La ricerca “newtoniana” di identificare delle leggi universali del combattimento è ancora viva e, con l’avvento delle tecnologie informatiche, sono stati compiuti ampi sforzi per ridurre a “dato” ogni cosa in guerra, sia per risolvere problemi gestionali, che per prevedere i risultati del combattimento.
A partire dalla Guerra Fredda (1947-1991), gli analisti[24] si concentrarono sugli aspetti quantificabili della guerra, suscettibili di essere integrati in modelli matematici e calcoli di input-output. Tutto ciò che non poteva essere quantificato veniva escluso o sottovalutato[25].
Numerosi sono stati i tentativi di applicare alcuni elementi di analisi quantitativa alla comprensione delle fonti di vittoria, ma senza reale successo. Durante la Guerra del Vietnam (1965-1972), il Segretario alla Difesa Robert McNamara, utilizzò ampiamente l’analisi dei sistemi per prendere decisioni chiave, cercando di condurre la guerra come una scienza. Anche se statisticamente gli Americani stavano vincendo[26], tuttavia non riuscirono a comprendere la determinazione dei loro avversari e del contesto sociopolitico.
Questa tendenza neo-newtoniana non si esaurisce con il Vietnam, ma è alla base dei nuovi approcci e teorie caratterizzati dall’adozione di nuove tecnologie e dall’analisi dei sistemi[27], quasi un rifiuto inconscio della visione clausewitziana della natura della guerra.
La guerra come arte
I cambiamenti più drammatici nella teoria militare si sono verificati in Prussia tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo. Per il romanticismo tedesco il mondo era altamente complesso e sempre in uno stato di flusso e solo un approccio storico alla comprensione della realtà era possibile, visto come il risultato delle dinamiche del proprio tempo e del proprio luogo[28].
Il romanticismo, che vede la realtà come il risultato dell’incontro delle passioni e l’ingegno dell’uomo, ha esercitato una notevole influenza sui teorici e gli operatori militari tedeschi. Per il generale Prussiano Johann Gerhard von Scharnhorst (1755-1813) l’arte della guerra era una scienza pratica, che doveva basarsi sullo studio della realtà, ma lo studio senza il genio non farà mai un grande generale[29].
Ma fu il Prussiano Carl von Clausewitz (1780-1831) il primo teorico occidentale che elaborò una filosofia della guerra[30]. Per Clausewitz la guerra è un fenomeno complesso, governato da molte variabili, in cui gli esiti non possono mai essere certi, ma è piena di possibilità e di probabilità all’interno delle quali lo spirito creativo è libero di vagare.[31] La guerra reale è spinta dalle passioni e dall’irrazionalità dell’uomo, ma è governata dalle incertezze, gli errori, gli incidenti, le difficoltà tecniche e gli imprevisti, e i loro effetti sulle decisioni, sulle azioni e sul morale.[32]
In sintesi, la tradizione prussiana considerava il combattimento più un’arte che una scienza. Poiché ogni guerra è piena di ambiguità, confusione e caos, bisogna accettare la confusione della battaglia. Ma questa diviene una fonte di potenziali opportunità e costruirono una filosofia di comando e controllo decentralizzato, nota come “Auftragstaktik”, in cui questo potenziale poteva essere realizzato[33]. Negli anni tra le due guerre (1919-1939), i Tedeschi consideravano la guerra un’attività libera e creativa, o un’arte che richiedeva un enorme sforzo intellettivo.
Le situazioni di combattimento sono diverse, cambiano spesso, improvvisamente e raramente possono essere previste in anticipo. Elementi incalcolabili hanno un’influenza decisiva. Le nuove armi dettano forme sempre diverse del combattimento e la loro comparsa deve essere anticipata e la loro influenza valutata[34].
Clausewitz riconosceva che il nemico ha una sua volontà. Può reagire in modo imprevedibile o irrazionale, perché il nemico è il prodotto di una società, di tradizioni e di una cultura diverse. Di conseguenza, può prendere decisioni considerate irrazionali per una parte, anche se pienamente in linea con i suoi valori sociali e la sua cultura militare.
Conclusioni
Nonostante i dubbi sollevati da teorici e militari sul loro valore, ogni esercito moderno ha i propri elenchi di principi di guerra[35], anche se le differenze nelle condizioni geostrategiche, nelle culture nazionali e nell’esperienza storica si riflettono nelle diverse priorità[36]. Come dimostrano gli eventi in Ucraina, le guerre tra Stati sono diventate così complesse che nessun singolo insieme di “Principi” può essere applicato a tutte le varianti. Il nemico è sempre “dinamico, imprevedibile, e in continua evoluzione”.
Come spiega Martin van Creveld “il valore di un esercito come strumento militare è pari alla qualità e alla quantità del suo equipaggiamento moltiplicato per la sua capacità di combattimento. Quest’ultima poggia su basi mentali, intellettuali e organizzative; le sue manifestazioni, in una combinazione o nell’altra, sono la disciplina e la coesione, morale e l’iniziativa, il coraggio e la durezza, la volontà di combattere e la disponibilità, se necessario, di morire”[37]. Questo non cambierà mai.
Gianluca Notari
[1] A. R. Millett, W. Murray and K. H. Watman (1986) The Effectiveness of Military Organizations – International Security, Vol. 11
[2] Shurkin M. (2020) Modern war for romantics: Ferdinand Foch and the principles of war – https://warontherocks.com/2020/07/modern-war-for-romantics-ferdinand-foch-and-the-principles-of-war/
[3] Kelly, J. (2011), “On Paradigms”, Infinity Journal, Issue No. 3
[4] Alloui-Cros, B. (2022) “What is the Utility of the Principles of War?”, Military Strategy Magazine, Volume 8
[5] Vego, M. (2012) “Science vs. the Art of War” Joint Force Quarterly 66
[6] Condell, Bruce and Zabecki, David T.. (2001) On the German Art of War: Truppenführung
[7] Echevarria II, A,J. (1996) “Moltke and the German Military Tradition: His Theories and Legacies,” Parameters 26, no. 1
[8] Saxe de, Maurice. Reveries, or Memoirs Concerning the Art of War
[9] Bousquet A. (2009) “The Scientific Way of Warfare: Order and Chaos on the Battlefields of Modernity”
[10] I più importanti teorici militari del periodo furono il conte Turpin de Crissé (1709-1799), Paul Gideon Joly de Maizeroy (1719-1780), Federico il Grande, Pierre-Joseph de Bourcet (1700-1780), Jacques Antoine Hippolyte, Comte de Guibert (1743-1790), Henry E. Lloyd (1720-1783) e Dietrich Heinrich Freiherr von Bülow (1757-1807)
[11] Starkey A. (2003) “War in the Age of Enlightenment, 1700–1789”
[12] Gat A. (2001), “A History of Military Thought from the Enlightenment to the Cold War”
[13] Jomini, A. H. (1838) “Précis de l’art de la guerre ou nouveau tableau analytique”
[14] Improving Maneuver Warfighting with Antoine-Henri Jomini Warfighting Functions, the Single Battle Concept, and Interior Lines – https://www.usmcu.edu/Outreach/Marine-Corps-University-Press/Expeditions-with-MCUP-digital-journal/Improving-Maneuver-Warfighting-with-Antoine-Henri-Jomini/
[15] Gat A. (2001), “A History of Military Thought from the Enlightenment to the Cold War”
[16] Rajeev, B. “Principles of War: Revisit the Histories” – Online International Interdisciplinary Research Journal, , Volume-IV, Issue-V, Sept-Oct 2014
[17] Jan Angstrom & J. J. Widen (2012) Adopting a Recipe for Success: Modern Armed Forces and the Institutionalization of the Principles of War, Comparative Strategy
[18] Alger, John I.. (1982) “The Quest For Victory: The History Of The Principles Of War.”
[19] Fuller, J.F.C. (1926) The Foundations of the Science of War
[20] Trythall, A.J. (1977) “Boney” Fuller: Soldier, Strategist, and Writer, 1878–1966”
[21] Singh G. (2007) “The Science of War” Journal of the Singapore Armed Forces Vol. 33 No. 1
[22] Nonostante l’approccio scientifico, i principi di Fuller passarono da sei, a otto, a diciannove, a nove.
[23] Rajeev, B. “Principles of War: Revisit the Histories” – Online International Interdisciplinary Research Journal, Volume-IV, Issue-V, Sept-Oct 2014
[24] A differenza del XIX secolo, gran parte delle nuove teorie o metodi per studiare la guerra furono portati avanti da ricercatori e analisti civili, che avevano solo una conoscenza accademica del fenomeno guerra. La RAND Corporation, fondata nel 1946 per collegare la pianificazione militare con le decisioni in tema di ricerca e sviluppo tecnologico, ne è l’esempio più famoso.
[25] Gat A. (2001), “A History of Military Thought from the Enlightenment to the Cold War”
[26] Misurare i progressi in un conflitto è difficile. Nel 1965 l’Esercito americano usò il conteggio dei corpi per dimostrare che gli Stati Uniti stavano vincendo la guerra. L’assunto, teoricamente valido, era che alla fine i Viet Cong (VC) e l’Esercito Popolare del Vietnam (PAVN) avrebbero perso per effetto del logoramento umano e materiale. Tuttavia, il risultato fu solo un’improbabile inflazione statistica delle perdite.
[27] Come il Network-Centric Warfare (NCW), il Network-Centric Operations (NCO), l’Effects-Based Operations (EBO), Effects-Based Approach to Operations (EBAO) e il Systemic Operational Design (SOD). Una caratteristica comune è che sono basate su tecnologie innovative (Digital Information Age), sono il risultato di analisi accademiche senza supporto empirico/storico e sono state adottate senza un’adeguata sperimentazione. EBO e EBAO vengono abbandonate durante la prima decade del 2000.
[28] Gat A. (2001), “A History of Military Thought from the Enlightenment to the Cold War”
[29] Vego, M. (2012) “Science vs. the Art of War” Joint Force Quarterly 66
[30] Intesa come lo studio sistematizzato e critico del reale, nella sua complessità e molteplicità di aspetti.
[31] Roxborough, I. (1997) “Clausewitz and the Sociology of War,” The British Journal of Sociology 45, no. 4
[32] Paret P. (1986), “Makers of Modern Strategy: From Machiavelli to the Nuclear Age”
[33] Hughes D. (1993) “Moltke on the Art of War: Selected Writings”
[34] Condell B. and Zabecki D.T. (2001) “On the German Art of War: Truppenfuehrung”
[35] A titolo d’esempio, la Nato riconosce 13 principi, gli USA 9, la Francia 5, la Russia 8, la Cina 8, la Gran Bretagna 10 e Israele 8, per un totale cumulativo di 18 principi elencati. Molti sono riconosciuti da tutti, alcuni sono specifici (es. Russia e Israele hanno come principio l’Annientamento) altri unici. Forum international de prospective – Les principes de la guerre en 2035 – Parigi 1919
[36] Zvi Lanir (1993) The ‘principles of war’ and military thinking – Journal of Strategic Studies
[37] van Crevald M. (1982) “Fighting Power”