Il Giogo Mongolo, ovvero l’origine di (quasi) tutti i mali della Russia

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Nel 1237 l’Impero mongolo creato da Gengis Khan col genio militare, il terrore ed il genocidio era già immenso, andando dalla Cina settentrionale all’Asia Centrale. Quell’anno i nipoti del conquistatore guidarono le orde nomadi (composte da popolazioni mongole, turche e tatare) nell’invasione della Russia. Una Russia che fino a quel momento si stava sviluppando in modo simile alla Germania: una serie di Principati de facto indipendenti e de jure sottoposti all’autorità del Gran Principe di Kiev, il tutto condito da classi nobiliare e mercantile ben sviluppate che contestavano il potere assoluto dei monarchi. Né più né meno che una vasta regione facente pienamente parte della Civiltà Europea.

Tuttavia in cinque anni gli eserciti messi in campo dai Principati russi vennero annientati dai mongoli ed il Paese sottomesso. Se è vero che la società feudalizzata della Rus’ di Kiev mancò di coordinazione nell’organizzare la difesa collettiva, a sua discolpa vi è il fatto che Gengis Khan ed i suoi eredi avevano assemblato uno dei migliori eserciti della storia, uno strumento bellico che in pochi anni conquistò il più grande quanto effimero impero terrestre mai esistito.

L’invasione asiatica rase al suolo le principali città, provocò un disastro demografico (secondo Colin McEvedy in Atlas of World Population History mezzo milione di morti su sette milioni e mezzo di abitanti), ridusse in schiavitù decine di migliaia di sopravvissuti, cancellò i commerci e l’artigianato e ridusse la civiltà dell’antica Russia alla barbarie. L’unico importante centro abitato a sfuggire all’apocalisse mongola fu Novgorod, in quanto il disgelo primaverile trasformò il territorio circostante in un immenso acquitrino che i mongoli preferirono evitare. Tuttavia anche la Repubblica di Novgorod fu costretta ad inchinarsi come vassalla del Grande Khan. In tal modo, a fronte di un gravoso tributo annuale, poté salvare le sue istituzioni interne per l’epoca all’avanguardia.

Purtroppo per la Russia e per il mondo l’invasione mongola fu solo l’inizio. Fu la lunga oppressione che ne seguì ad arrecare i danni maggiori. Batu Khan (1205-1256), nipote di Gengis, fondò l’Orda d’Oro, ovvero la sezione più occidentale dell’Impero che col tempo si rese indipendente. Questo khanato esistette dal 1242 al 1502 e si islamizzò dal 1313. Per 250 anni la Russia ne fu vassalla, o, ad essere precisi, schiava. Tale asservimento comportava un tributo economicamente debilitante in denaro, merci e schiavi, oltre che l’obbligo di mobilitazione qualora i Khan lo richiedessero. Un accenno di disobbedienza significava stragi di massa, saccheggi e stupri da parte delle orde asiatiche. Un periodo oscuro, non a caso definito “Giogo Mongolo”. Con l’islamizzazione della classe dirigente dell’Orda d’Oro la situazione peggiorò ulteriormente. In mezzo a tanta ferocia, infatti, la legge gengiskhanide aveva la peculiarità di essere molto tollerante dal punto di vista religioso: per i mongoli il Dio supremo Tengri regnava sotto l’eterno cielo azzurro, poco cambiava quali altri Dei venissero adorati dalle genti, purché non contrastassero il dominio del Khan. Dopo la conversione alla fede musulmana, invece, i sovrani dell’Orda alle loro efferatezze aggiunsero l’intolleranza della legge coranica, che prevede una tassazione maggiorata per i non islamici ed il diritto di questi ultimi a convertire con la forza o rendere schiavi gli infedeli.

Le cronache parlano chiaro. La devastante invasione di Batu Khan che rese i vari principati russi dei vassalli impoveriti iniziò nel 1237 e si concluse nel 1242. Da allora e fino al 1480, con cadenza quasi annuale, gli eserciti dei predoni asiatici saccheggiarono senza sosta quasi tutte le terre della Russia europea, bruciando, uccidendo, schiavizzando ed abbrutendo la popolazione. Inoltre, dal 1243 al 1431, decine di principi dovettero recarsi a Karakorum, nel cuore della Mongolia, o nelle varie capitali dell’Impero mongolo prima e dell’Orda d’Oro poi per rendere omaggio ai Khan. Molti di questi principi vennero giustiziati o fatti avvelenare dai signori delle steppe per semplici sospetti di scarsa fedeltà.

Questo regno del terrore non mancò inoltre di un abile machiavellismo. Per meglio dominare le terre russe i mongoli (che la storiografia russa preferisce chiamare mongolo-tatari) nelle loro continue scorrerie spesso integrarono i propri eserciti con truppe locali. In questo modo costrinsero i loro soggiogati a massacrarsi tra loro, indebolendone le forze militari, creando odio tra i principati e ritardando la nascita (o rinascita) di un’identità nazionale russa. Sarebbe stato l’astuto cinismo dei sovrani di Mosca a scardinare progressivamente questo perverso meccanismo di dominio, ma per questo ci sarebbero voluti 200 anni.

Per il momento analizziamo il tipo di statualità che per 250 anni martirizzò la Russia. Come abbiamo visto l’Impero di Gengis Khan nacque con guerre di sterminio di massa. Una volta stabilizzate le conquiste i mongoli erano usi lasciare una certa autonomia ai territori che avessero salvato un minimo di struttura governativa (non tutti furono così fortunati), purché i tributi venissero pagati e con la spada di Damocle di subire una delle ricorrenti invasioni. Ma la sovranità suprema passò in mani mongole. Tale sovranità comprendeva la dipendenza feudale dei principati russi; la prerogativa giudiziaria del Khan, che poteva ordinare la morte di chiunque (principi compresi), personalmente o tramite i propri funzionari; la dipendenza fiscale russa, col pagamento del tributo; la sottomissione amministrativa, in quanto i funzionari del Khan, detti baskaki o darughachi (la prima forma è turca, la seconda mongola) avevano un’autorità superiore a quella dei principi; la dipendenza militare, ovvero l’obbligo imposto ai russi di fornire contingenti di truppe per le guerre dei padroni asiatici.

Ovviamente nei 250 anni di durata del Giogo le suddette leggi variarono in crudeltà e puntualità d’esecuzione, ma l’essenza rimase fino al 1480, anno in cui Mosca spezzò definitivamente la schiavitù e si impose come unificatrice delle terre russe. Tuttavia Mosca, per ottenere tale imprescindibile risultato geopolitico ed antropologico, dovette assimilare parte della ferocia e dell’autoritarismo dei suoi nemici asiatici, un po’ come la Castiglia dovette plasmarsi in una sorta di caserma autoritaria al fine di liberare la penisola iberica dall’occupazione islamica.

Tutto ciò impresse un marchio di autoritarismo e durezza nella mentalità russa. Nel XIX secolo un intellettuale destinato ad una controversa celebrità scrisse “La melma di sangue della schiavitù mongola e non la gloriosa rudezza dell’epoca normanna forma la culla della Moscovia, di cui la Russia moderna non è che una sua metamorfosi… la Moscovia infatti si è allattata ed è cresciuta alla scuola terribile ed abietta della schiavitù mongola.” L’intellettuale autore di queste parole si chiamava Karl Marx (citato in The Russian Tradition, di Tibor Szamuely, Londra, 1974). L’assemblatore dell’ideologia comunista colse nel segno, in quanto i 250 anni di Giogo Mongolo non solo impoverirono terribilmente l’economia e lo sviluppo culturale della Russia, ma la isolarono dall’Europa occidentale. Un’Europa che proprio allora stava attraversando una fase di crescita che, dopo la battuta d’arresto dovuta alla peste del Trecento, si sarebbe sviluppata nel Rinascimento. Basti pensare che nel 1215 in Inghilterra i nobili strapparono al re un documento giuridicamente feudale chiamato Magna Charta Libertatum. Tale documento divenne l’origine dei concetti di monarchia costituzionale e delle libertà individuali legalmente garantite dall’abuso governativo. In breve il seme della democrazia per come la intendiamo oggi. Tutti questi sviluppi, e altri paralleli, in Russia non poterono avvenire a causa del regime di terrore imposto dai mongoli.

Anche la condizione femminile subì una crudele involuzione. Nella Rus’ di Kiev le donne avevano goduto di libertà paragonabili a quelle delle contemporanee scandinave e tedesche. Questo non deve indurci a idealizzare una quasi uguaglianza tra i sessi, ma le biografie di personaggi storici come Olga la Santa (893/920-969) e della regina consorte di Francia Anna di Kiev (1025/1036-1075/1079) mostrano che il gentil sesso godeva di una certa autonomia intellettuale. Il Giogo Mongolo e ancor più l’islamizzazione dell’Orda d’Oro avrebbero invece ridotto ad una condizione di servaggio le popolane e di recluse le nobili, come riportato dalle parole dell’ambasciatore del Sacro Romano Impero Sigmund von Herbertstein, che all’inizio del XVI secolo scrisse “La condizione della donna è assolutamente miserabile, poiché viene considerata onesta solo la donna che vive reclusa nella propria casa, sorvegliata tanto strettamente da non poterne giammai uscire. È considerata un’impudica colei che si lasci scorgere da estranei o da forestieri.

Di fronte a tutto questo non è un caso che la grande maggioranza degli storici russi, europei e statunitensi abbia visto il Giogo Mongolo per ciò che oggettivamente fu: l’origine dell’arretratezza socio-politica (e di conseguenza in parte anche economica) russa e la base, psicologica ancor prima che ideologica, della propensione russa all’autocrazia.


Riferimenti bibliografici:

  • Nicholas V. Riasanovky, Storia della Russia, Tascabili Bompiani, Milano, 2001.
  • Francis Conte, Gli Slavi. Le civiltà dell’Europa centrale e orientale, Mondadori, Milano, 2011.
  • Franco Adravanti, Gengiz Khan, Rusconi, Milano, 1984.
  • Robert Marshall, Tempesta dall’Est, Neri Pozza Editore, Vicenza, 2001.
  • Richard Nixon, La vera guerra, Editoriale Corno, Milano, 1980.

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