Pogrom di Jedwabne

10 luglio 1941, nel paesino di Jedwabne avvenne un terribile pogrom

Contesto storico geografico

Come al solito iniziamo dal contesto, ci troviamo nel nord est della Polonia nella contea di Lomza in particolare nel paesino di Jedbawne, tra il XVII e il XVIII secolo si stabilisce una comunità ebraica nel luogo, gli anni passano fino ad arrivare al censimento del 1937 dove i polacchi di discendenza rappresentano il 60% della popolazione mentre gli ebrei il rimanente mentre la popolazione totale si aggira tra i 2720/2800 abitanti.

Nella zona molti abitanti supportavano l’ala nazionalista (Stronnictwo Narodowe fondato nel 1928) del movimento nazional democratico (Narodowa Demokracja fondato nel 1886), un movimento tra l’altro caratterizzato per il proprio contrasto al governo socialista di Pilsudski e uno spiccato antisemitismo che vedeva negli ebrei dei concorrenti sleali alle attività economiche cattoliche polacche.

Periodo interwar e pre operazione “Barbarossa”

Come viene riportato dallo studio di Anna Cienciala prima del 1939 i rapporti tra ebrei e popolazione locale erano piuttosto buoni nel paesino, viene ricordato un episodio come massima tensione tra le due comunità in cui venne uccisa una donna ebrea e a distanza di qualche giorno dopo in un villaggio limitrofo fu trovato ucciso un contadino, dei pettegolezzi sostenenti il movente della vendetta ebrea cominciarono a circolare, a questo punto gli ebrei temevano un pogrom ma fortunatamente il parroco e il rabbino intervennero trovando una soluzione insieme.

Rimanendo sul contesto storico la giornalista Anna Bikont sostiene che gli abitanti conoscessero bene la vicenda del pogrom di Radzilow del 23 marzo 1933 organizzato dai nazional democratici (fazione OWP), in cui morirono una donna ebrea e quattro carnefici uccisi dalla polizia (nel 1941 pochi giorni prima dal 7-9 luglio avvenne un secondo pogrom nella zona, molto più violento), questa fazione politica chiamava le violenze contro gli ebrei come rivoluzione già dal tempo del massacro di Radzilow perché vedeva il governo come protettore degli ebrei, dopo la carneficina lo OWP venne bandito dal governo per attività razziste contro lo stato. Interessante notare che come riportato dalla ricerca di Anna Bikont documenti di archiviano provano che il governo polacco al tempo era contrapposto all’ala nazionalista a causa dell’antisemitismo e degli attacchi allo stato commessi dai nazionalisti il governo si sentiva in dovere di proteggere gli ebrei arrestando i violenti.

Con l’invasione nazista iniziata il 1° settembre 1939 e quella sovietica avvenuta verso fine mese la zona viene ceduta dai tedeschi ai sovietici secondo quanto stabilito dal trattato di amicizia tra Germania e USSR, un protocollo supplementare al patto Molotov-Ribbentrop successivamente modificato il 28 settembre 1939.

Secondo alcune fonti, in particolare Anna Cenciala gli ebrei locali accolsero con maggior piacere i sovietici ritenuti meno crudeli dei tedeschi nonostante gli ebrei ortodossi non condividevano l’ideologia comunista e gli uomini d’affari non si fidavano dei piani dell’invasore. In effetti l’NKVD si mosse contro gli ebrei potenti arrestando i leader del Jewish labour bound (partito socialista ebraico) e nazionalizzando imprese private. Dai rapporti dello NKVD sul paesino viene citato: “pochi ebrei erano coinvolti come agenti ed informatori, di fatto meno dei polacchi”, a supporto di questa tesi basta anche ricordare che alcuni di questi accettarono di ricoprire funzioni di basso livello nell’amministrazione e nella milizia sovietica siccome alcuni giovani credevano in slogan comunisti di uguaglianza e giustizia sociale pur accogliendo una certa mobilità sociale non tipica del comunismo. In questo periodo rimase impressa nei paesani polacchi un’immagine di ebrei collaborazionisti e comunisti che aiutavano anche l’NKVD.

Sotto il dominio comunista ebrei e polacchi cominciarono ad avere molte esperienze diverse che di per se ampliarono quei dissidi preesistenti infatti gli ebrei e il servizio segreto cominciarono a fornire alle autorità sovietiche i nomi degli antisemiti e degli anti comunisti, specialmente i membri del partito nazionalista. Come viene riportato da Anna Bikont i polacchi raccontavano che la milizia fosse composta da ebrei che si asservirono ai sovietici in questo primo periodo mentre gli ebrei cercano di sostenere che solo pochi fossero arruolati nella milizia.

Passando oltre il quesito storico sulla collaborazione questo fatto non fece che rinvigorire la propaganda nazionalista sul comunismo giudaico raccontata varie volte prima dello scoppio della guerra, questo potrebbe anche essere la causa di un bias che portò la popolazione locale a vedere a priori gli ebrei come collaborazionisti.

Con l’arrivo dei nazisti i nazionalisti polacchi salutarono la wehrmacht come una forza liberatrice, anche se i nazisti avevano il controllo del territorio tra i polacchi cominciava a pullulare un sentimento di vendetta e rivalsa sugli ebrei che oltre al gusto della rapina e del saccheggio giocarono indubbiamente opinioni politiche ultranazionaliste infatti, i massacri di Jedwabne Radzilov e altri paesini polacchi videro il nascere di pogrom in un momento ben preciso come la partenza di uno scomodo occupante che da due anni era presente in zona, propaganda antisemita che portarono a vedere gli ebrei come un blocco omogeneo di persone nemiche, ovviamente a questo si aggiunse anche l’incoraggiamento nazista. Come ricorda Christopher Browning gli ordini criminali provenienti dall’alto uniti a impulsi violenti dal basso crearono un clima di violenza sfrenata.

Ordini dall’alto

Dopo l’inizio dell’operazione barbarossa il 22 giugno 1941 i tedeschi conquistarono le regioni polacche tenute dai sovietici, a questo punto Heinrich Himmler si lamentò perché non erano ancora scoppiati pogrom nelle zone limitrofe a Jedwabne. Questa lamentela venne inviata immediatamente a Reinhard Heydrich capo dell’RSHA [1] il quale emanò prontamente ordini il 29 giugno e il 2 luglio riguardanti i territori polacchi occupati dove le forze tedesche avrebbero dovuto supportare azioni di autopulizia da parte degli attivisti antisemiti e anticomunisti locali contro coloro che erano accusati di collaborazionismo sovietico.

L’istigazione a massacrare comunisti ed ebrei fu oggettivamente ed indiscutibilmente parte del piano tedesco per lo sterminio.

L’ordine di Heydrich citava: “nessun ostacolo deve essere posto agli sforzi volti all’autopulizia tra gli ambienti anticomunisti e antisemiti nei territori di nuova occupazione. Al contrario dovrebbero essere istigati senza lasciare traccia, e se necessario intensificato e indirizzato sulla retta via, ma in modo tale che i circoli di autodifesa locali non possano riferirsi agli ordini o alle promesse politiche loro fatte”.

Come ricorda l’ottimo storico Peter Longerich: “Anche se gli omicidi sono stati compiuti da gente locale, o più precisamente da un gruppo di una quarantina di uomini, distinti dagli altri membri della popolazione indigena, per lo più non dalla città stessa ma dalle zone limitrofe, un’analisi più attenta del delitto ha ora dimostrato che il pogrom è stato pianificato da un’unità della SiPo, probabilmente un commando dell’ufficio della gestapo a Zichenau che era stato assegnato all’ einsatzgruppe B come truppa ausiliaria e che aveva organizzato diversi pogrom nella parte occidentale del Voivodato e Bialystok; aveva reclutato polacchi locali come polizia pogrom ausiliaria per questo scopo”.

Scoppia la violenza

Dopo l’occupazione nazista i paesani polacchi parteciparono a 23 pogrom nella zona di Lomza e Bialystok le violenze cominciarono a sfociare in piccoli attacchi nei villaggi di: Pilki, Wizna, Choroszcz, Grajewo, Goniadz, Kleszczele, Jasionowka, Kolno, Knyszyn, Piatnica, Narewka, Kuznica, Suchowola, Szczuczyn, Tykocin, Stawikski, Sokoly, Rajgrod, Razilow, Wasosz e Wasilkow.

Le violenze cominciarono ad aumentare nel pogrom di Wasosz il 5 luglio 1941 quando i polacchi accoltellarono e picchiarono a morte dai 150 ai 250 ebrei mentre due giorni dopo a Razilow vennero uccisi 800 ebrei di cui 500 bruciati vivi in un fienile, tutti questi eccidi avvennero dopo che la Gestapo arrivò nei paesini.

Nei giorni precedenti al pogrom la popolazione ebraica aumentò a causa degli sfollati da Radzilow e Wizna dove l’autorità cittadina Wojt ordinò l’espulsioone di 230/240 ebrei verso Jedwabne. Nei giorni precedenti i tedeschi costituirono una feldgendarmerie a Jedwabne composta da 8 a 15 poliziotti militari che istituirono un consiglio comunale collaborazionista guidato da un ex sindaco, Marian Karolak, che a sua volta creò una polizia locale tra cui dei famosi nazionalisti locali come Eugeniusz Sliwecki, Josef Sobutka, Josef Wasilewski e Karol Bardon l’interprete coi tedeschi.

Il pogrom del 10 luglio 1941

Varie fonti riportano la presenza di ufficiali della Gestapo e dell’intelligence nazista il giorno prima e la mattina stessa del 10 luglio, i quali si incontrarono col consiglio comunale questo viene anche confermato dalla testimonianza di Szmuel Wasersztajn del 1945, e da altre testimonianze in che raccontano di un discorso della Gestapo al municipio (al tempo la gente chiamava gestapo i nazisti vestiti di nero). [2]

Dal resoconto del IPN il 10 luglio uomini polacchi provenienti dalle zone limitrofe alla città iniziarono ad affluire con la chiara intenzione premeditata di partecipare al massacro, cosa interessante è che tra le guide del pogrom figurano i collaborazionisti sovietici (aiutarono l’NKVD) Karol Bardon, Jerzy Laudanki i quali non persero l’occasione di voltare sponda e fare le spie dei nazisti.

Gli ebrei vennero buttati fuori dalle loro abitazioni e portati nella piazza del mercato dove fu loro ordinato di diserbare la zona sradicando erbacce dal porfido nel mentre vennero picchiati a morte e costretti a ballare soddisfacendo il sadismo perfido degli abitanti locali.

Rimanendo sulla falsa riga della propaganda antisemita e antisovietica che aveva instaurato il mito della Zydokumona (collaborazionismo giudaico comunista), una cinquantina di uomini vennero costretti ad abbattere la statua di Lenin in una piazzola limitrofa e portare un pezzo rimasto su una barella in legno alla piazza del mercato poi in un fienile cantando canzoni comuniste in una processione guidata dal rabbino Awigdor Bialostocki e dal macellaio Mendel Nornberg.

Riprendendo la testimonianza di Szmuel Wasersztajn, il gruppo venne portato al fienile dove scavarono una fossa per seppellilre la statua di Lenin, dove vennero poi uccisi e seppelliti nel medesimo fosso che venne poi scoperto da un’inchiesta polacca del 2001 dove vennero ritrovati i resti di 40 persone, il coltello del macellaio e la testa di Lenin.

I rimanenti, circa 300 persone uomini, vecchi, bambini e donne vennero rinchiusi in un fienile dato alle fiamme usando del cherosene lasciato dai sovietici, poi vennero seppelliti nel fienile limitrofo vicino al primo gruppo anche questo riesumato nel 2001.

I vari testimoni della strage raccontano che i tedeschi fotografarono ripetutamente il massacro e secondo alcune voci sarebbe pure stato filmato.

Alcuni ebrei vennero avvertiti da alcuni polacchi il giorno precedente i quali raccontavano che si era orchestrata un’azione collettiva contro gli ebrei di conseguenza, riuscirono a mettersi in salvo tra le 100 e le 125 persone i quali vivevano in un ghetto aperto in Jedwabne prima di essere trasferiti nel ghetto di Lomza nel novembre 1942 ma in questo mese i nazisti cominciarono la deportazione ad Auschwitz, soltanto 7 individui tra cui Moshe Olszewicz e la moglie Lea il fratello Dov, Lea e Jacob Kubran, Josef Gradowski e Szmuel Waserstajn riuscirono a fuggire nella frazione di Janzcewko dove vennero ospitati e nascosti dalla signora Antonina Wyrzykowka e il marito Aleksander Wyrzykowski fino a gennaio 1945 nonostante l’aggressività di alcuni vicini e dei tedeschi nei loro confronti riuscirono a nasconderli per tutto questo tempo fino all’arrivo dell’armata rossa.

Poco dopo la coppia Wyrzykovski fu picchiata da un gruppo di nazionalisti polacchi per aver aiutato gli ebrei nella guerra, i due coniugi furono obbligati a trasferirsi a Milanowek vicino a Varsavia.


Riferimenti


Note di approfondimento

[1] RSHA Reichssicherheitshauptamt che controllava direttamente la SiPo polizia di sicurezza Sicherheitspolizei di conseguenza gli squadroni della morte SS Ensatzgruppen

[2] da Persak: “The direct perpetrators of those crimes was a sizeable group of residents of Jedwabne and neighboring villages. Those involved in the pogrom took different roles: some killed the victims with their own hands, others supervised the Jews assembled in the market square and escorted them to the execution site in the barn, while some robbed Jewish homes or simply formed a hostile crowd of onlookers. The witnesses were fairly unanimous in assigning the role of pogrom organizers to members of the temporary municipal authorities, with Mayor Karolak at the head. Probably a significant part of the massacre was performed by members of the order service subordinated to them, of which, however, we know very little.

Far less clear is the role played in Jedwabne by representatives of the German occupation authorities. Undoubtedly, they fully approved and possibly inspired the murder. According to testimony of the then-messenger at the gendarmerie post, Jerzy Laudański, before the pogrom ‘four or five Gestapo men had arrived in a cab, and they began to talk in the town hall.’ In colloquial Polish, a ‘cab’ (taksówka) denoted a motor car, and ‘Gestapo man’ referred to any German in a black uniform. This reference, no doubt, relates to the meeting of the temporary municipal authorities with—probably—functionaries of the German Security Police or Security Service (Sicherheitspolizei or Sicherheitsdienst), mentioned by other witnesses as well. Although accounts regarding that issue are all secondhand, their common denominator is that during that ‘conference’ the decision to murder the Jedwabne Jews was taken.”

[3] IPN: “The presence of German military policemen from the police station at Jedwabne, and of other uniformed Germans (assuming they were present at the events), even if passive, was tantamount to consent to, and tolerance of, the crime against the Jewish inhabitants of the town.”

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